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foto di Myles Cullen via Flickr

Dopo solo una settimana, Trump è già terrorizzato dalle conseguenze economiche del virus, e sembra disposto a sacrificare la salute dei lavoratori statunitensi per proteggere Wall Street.

La contrapposizione tra capitalismo e salute è stata al centro del dibattito italiano sul nuovo coronavirus dell’ultima settimana, con il governo finito in mezzo ad uno scontro frontale tra i sindacati e gli interessi di Confindustria. Lo stesso conflitto di classe sta cominciando a presentarsi ancora più acuto, e sempre con maggiore evidenza, negli Stati Uniti. All’inizio della seconda settimana di misure per impedire la diffusione del virus, Trump — insieme a molti industriali ed economisti conservatori — sta prendendo in considerazione la possibilità di sollevare le restrizioni e di “riaprire” il paese, ignorando i consigli di tutti i suoi esperti in materia sanitaria, pensando evidentemente che centinaia di migliaia di morti tra i propri cittadini siano meglio di una crisi economica.

La dialettica della “cura peggio della malattia” era già stata aperta venerdì scorso dal New York Times, che aveva pubblicato la lettera di David Katz, direttore del Yale-Griffin Prevention Research Center, in cui si suggeriva un approccio “più chirurgico” alla lotta al virus. Katz aveva suggerito di concentrare le risorse per proteggere i più vulnerabili, lasciando invece che la maggioranza ritorni al lavoro e “sviluppi immunità di gregge al virus” mentre stabilizza l’economia. A rendere particolarmente odiosa questa tesi non è tanto il contenuto, valutabile sul piano scientifico, quanto le ragioni per cui è stata formulata: l’ennesima prova che alla classe dirigente degli Stati Uniti — ma forse di tutto il mondo — sono molto più veloci a pensare al proprio portafoglio che al benessere dei propri concittadini.

Negli Stati Uniti i casi sono aumentati in una settimana da poco più di mille a oltre 40 mila, indicando che il virus potrebbe essere molto più diffuso di quanto non si riesca a misurare. Durante un briefing alla Casa bianca, Trump si è spiegato in parole povere: “Il nostro paese non è stato costruito per essere chiuso. L’America riaprirà presto — molto presto. Molto prima di tre o quattro mesi, come suggerisce qualcuno. Molto prima. Non possiamo lasciare che la cura sia peggio del problema stesso.” Molto prima, capito?

“Non possiamo lasciare che la cura sia peggio del problema stesso” è una frase che Trump aveva anche twittato, in caps lock, domenica sera. Il presidente è agitato perché vede le borse colare a picco, e teme che questa crisi influirà sulle sue possibilità di essere rieletto. Ma far riaprire le aziende non garantisce in nessun modo che l’economia riparta: al contrario, espone il paese alla certezza dell’implosione del già precario sistema sanitario, con un picco che potrebbe vedere fino a 9,4 milioni di persone malate contemporaneamente.

Trump non è il solo a sostenere che produrre sia più importante di rimanere vivi. Lloyd Blankfein, ex ad e presidente senior di Goldman Sachs, ieri ventilava l’ipotesi di rimandare a lavorare le persone “a rischio minore” entro poche settimane:

Durante la propria conferenza stampa quotidiana, il governatore dello stato di New York Cuomo si è espresso sostanzialmente sulla stessa linea di pensiero: “Non si può fermare l’economia per sempre.” “Mi prendo la completa responsabilità di aver fermato l’economia, ma dobbiamo anche pensare a come farla ripartire, no? Dobbiamo iniziare a pensare a soluzioni — continuiamo a non andare a lavorare tutti, ad esempio, o le persone giovani potrebbero ricominciare a lavorare prima?” Nello stato di New York sono stati registrati metà dei casi di tutto il paese.

E le persone anziane che vivono vicine a quelle giovani? Non preoccupatevi, il vicegovernatore texano Dan Patrick parla a titolo di tutti, sostenendo che le persone anziane preferirebbero morire piuttosto che lasciare che il virus danneggi l’economia statunitense. “Molti nonni là fuori la pensano come me,” ha specificato, parlando con Fox News. Ok?