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Dalla crisi della NATO alla COP 25, passando dalla situazione della scuola e del mercato del lavoro, non è mai stato più evidente come in questi giorni lo scollamento tra mondo reale e dibattito politico italiano. Ma come mai in Italia non si può più dire niente di vero?

La spaccatura tra i temi trattati dal resto del mondo e quelli trattati in Italia non è mai stata più evidente come negli ultimi giorni: sono infatti in corso due importantissimi appuntamenti internazionali — la COP 25 di Madrid e il summit della NATO a Londra — e in Italia nessuno dei due impegni è stato affrontato neanche lontanamente con l’importanza che riveste, perché tutti i partiti dell’arco parlamentare sono impegnati a discutere dei propri stessi giochi di potere quando va bene, e di più o meno teorie del complotto — come il terrorismo sul MES o su Bibbiano — quando va male. 

Non stiamo parlando di temi iscrivibili a linee politiche estremiste o altamente minoritarie, che non sono nel dibattito perché buttate fuori dalla finestra di Overton. Si tratta di appuntamenti istituzionali, dove si dibatte di argomenti delicati e vitali per il futuro del nostro Paese. Come è allineata l’Italia, ad esempio, nella spaccatura interna alla NATO che si è manifestata in bella vista a Londra ieri? Il nostro Paese ha già tenuto una linea quanto più possibile debole e vaga sull’invasione turca del Rojava, e per far firmare a Di Maio lo stop all’esportazione di armi ad Ankara è servita una mobilitazione dal basso ampissima. Ma non si tratta di una crisi lontana dall’Italia: l’avvicinamento di uno dei paesi membri della NATO alla Russia, proprio mentre gli Stati Uniti sono sempre più alienati dalla politica internazionale, dovrebbe essere un argomento di capitale importanza per tutti i paesi europei — tanto da rimettere seriamente in discussione l’utilità stessa della NATO. Francia e Germania l’hanno capito bene, e i loro politici parlano con coscienza della gravità della situazione. In Italia qualcuno in qualche ufficio a Roma di sicuro è molto preoccupato, ma evidentemente ce l’hanno chiuso dentro.

Anche volendosi alienare dall’attualità stretta e per qualche motivo parlar d’altro, ci sono dozzine di problemi più urgenti che il MES o Bibbiano. Il dibattito italiano di questi giorni potrebbe ad esempio occuparsi della crisi climatica montante, dato che — come abbiamo osservato durante un tragico mese di novembre — l’Italia è uno dei paesi occidentali che ne sono più esposti. In occasione della COP 25 si sarebbe potuto discutere di un intervento di ampio respiro, con lo scopo generale di metter in sicurezza il paese uscendo dalle logiche di “emergenza.” Niente.

Oppure, potrebbe concentrarsi sul disastro dell’economia nazionale, dato che l’Italia è sistematicamente il Paese con la crescita più bassa d’Europa e la disoccupazione è sempre a livelli da collasso sociale. Potrebbe affrontare con serietà i capitoli Ilva e Alitalia, simboli di questo appassimento nazionale. Un Paese che sembra una nave da cui si vuole scappare il più in fretta possibile, con un tasso di emigrazione mai così alto e con colossi aziendali come UniCredit che annunciano di voler tagliare più di 6.000 posti di lavoro. Niente.

Oppure della costante erosione dei servizi pubblici essenziali, come quello della sanità o dei trasporti, che quando non sono annaspanti nell’inefficienza sono un obiettivo di speculazione da parte dei privati. E delle scuole che sono sempre più precarie, sempre più pensate in funzione del mercato del lavoro, con alunni italiani che sono sempre meno preparati — secondo un impietoso rapporto OCSE — e professori italiani che sono tra i meno pagati d’Europa, mentre entità come regione Lombardia elargiscono fondi pubblici per ingrassare il business delle scuole private. Niente.

Per non parlare poi di temi come divario Nord-Sud, criminalità organizzata, concessione del diritto di voto ai lavoratori stranieri, che al momento attuale sembrano interessare meno che letteralmente l’ultimo numero di Topolino.

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Un compito fondamentale di politici e giornalisti, in un Paese in cui la democrazia è sana e il dibattito pubblico si svolge in modo tutto sommato costruttivo — un Paese che non dia l’impressione di essere sul costante orlo del collasso, insomma — è la scelta degli argomenti da trattare, approfondire, dibattere, e su cui alla fine prendere una decisione. Dalle divisioni, confronti aspri, scontri verbali e fattuali — anche molto ruvidi — solitamente nascono i presupposti di una determinata azione politica. Solo attraverso un percorso di sensibilizzazione del pubblico verso un argomento si crea, in qualche modo, la domanda per azioni di governo a riguardo. La si chiama, in modo insopportabile, dettare l’agenda. Non si tratta però di un meccanismo problematico, anzi: l’Italia in questo momento avrebbe grande necessità di qualcuno che dettasse l’agenda su alcuni dei temi che abbiamo citato in questo pezzo.

Non deve stupire che la deriva a destra dell’Italia sia coincisa con uno scivolamento nell’assurdo, e nel ridicolo, e nel triviale, del dibattito pubblico. La destra in tutte le sue forme ha infatti al suo cuore un nocciolo più o meno visibile di autoritarismo, in quanto fondata sulla convinzione che in pochi, per un motivo o per l’altro, hanno più diritto di governare degli altri: ed essendo nemica della democrazia, è nemica anche dell’impostazione di un dibattito democratico sano. Del resto — senza fermarsi agli ultimi dodici mesi — basta ripercorrere gli ultimi tre decenni di storia italiana per capirlo: l’ascesa del berlusconismo ha infatti segnato l’apice del controllo da parte dell’innominabile della maggioranza delle reti televisive, della produzione editoriale mainstream, dell’editoria — in una parola, degli ingranaggi culturali italiani. Bisogna ricordare cosa andava in onda sulle reti Mediaset negli anni ottanta, novanta, duemila? E ancora oggi?

In questo senso, il precedente governo Conte 1, mosso dai burattinai Salvini e Di Maio, ha accelerato drasticamente questo fenomeno, forse molto di più di quanto non fosse evidente nello stretto immediato. In questo momento, infatti, al governo c’è un’alleanza che più o meno si riconosce come opposta alle destre: il Partito democratico, ovviamente, ma anche il Movimento 5 Stelle, che sebbene non riesca a separarsi dai temi dell’ex alleato di governo deve per necessità di sopravvivenza presentarsi come sua alternativa. La necessità di dettare un’agenda “nuova,” o per lo meno riconoscibile (!) è evidentemente necessaria.

Invece, niente.

Segui Stefano e Alessandro su Twitter. In copertina, composizione di foto dagli account Facebook di Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti, Matteo Salvini


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