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È iniziata oggi a Madrid la COP25. Alla conferenza sul clima dell’ONU i leader del mondo dovranno confrontarsi con un’emergenza climatica sempre piú pressante, provando a superare la stasi attuale.

È iniziata oggi a Madrid la Conferenza sul cambiamento climatico organizzata dalle Nazioni Unite, nota come COP25, e proseguirà fino al 13 dicembre. 

Inizialmente la COP25 si sarebbe dovuta tenere in Cile. A causa delle proteste che si stanno svolgendo nel Paese, a fine ottobre il governo ha deciso però di rinunciare ricevendo l’offerta della Spagna, che si occuperà quindi dell’organizzazione della Conferenza sul cambiamento climatico in collaborazione con il governo cileno. La conferenza è stata anticipata i giorni scorsi dalla pubblicazione su Nature di un importante articolo che ricorda quanto sia vicino il punto di non ritorno del cambiamento climatico.

Com’era andata la COP24

La COP25 arriva a un anno esatto di distanza dal ciclo di convegni precedente svoltosi in Polonia, a Katowice. La scorsa conferenza era stata anticipata dalla pubblicazione di un rapporto dell’IPCC — commissionato dalla COP21 — che sottolineava quanto fosse urgente ridurre in maniera drastica le emissioni di anidride carbonica entro il 2020 almeno del 45% — in modo da contenere l’aumento di temperatura a livello globale entro gli 1,5 °C. Alcuni paesi come il Kuwait, l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti e la Russia non avevano però riconosciuto le conclusioni dell’IPCC, ostacolando di fatto l’adozione delle conclusioni a cui era giunta la comunità scientifica. I paesi più ricchi si erano inoltre accordati per aiutare i paesi in via di sviluppo a ridurre le proprie emissioni. A questi ultimi, inoltre, era stata garantita maggiore flessibilità nell’attuazione delle regole per ridurre la quantità di anidride carbonica immessa in atmosfera. 

Siamo (quasi) nel 2020

A pochi mesi dal traguardo stabilito dalla COP24 bisogna considerare come, a livello globale, durante l’ultimo anno si sia fatto poco o nulla per raggiungere quell’obiettivo molto ambizioso di riduzione delle emissioni. Un segnale sconfortante è inoltre rappresentato dalle singolari prese di posizione di alcuni presidenti che, non solo ignorano quotidianamente la criticità della situazione in cui versa il pianeta, ma sembrano voler ostacolare in ogni modo la rivoluzione climatica. Lo scorso agosto il presidente del Brasile Jair Bolsonaro si è dimostrato incapace di affrontare il problema dei roghi nella foresta amazzonica ipotizzando complotti internazionali strampalati che coinvolgevano anche personaggi dello spettacolo come Leonardo DiCaprio. Nel 2020 Donald Trump ritirerà ufficialmente gli Stati Uniti — producono il 22% dell’anidride carbonica emessa ogni anno in atmosfera nel pianeta — dall’accordo di Parigi sulla riduzione delle emissioni. L’uscita del Paese dagli accordi, annunciata il 1° giugno 2017, è stata confermata a inizio novembre dal Segretario di Stato Mike Pompeo, il quale ha tenuto a precisare come gli Stati Uniti si siano già impegnati molto nella riduzione delle emissioni. Alcuni paesi arabi si sono inoltre detti scettici riguardo le conclusioni presentate lo scorso anno dall’IPCC. Anche la Cina, lo Stato che ogni anno emette più anidride carbonica in atmosfera (circa il 30% del totale) non si sa esattamente cosa farà per ridurre le sue emissioni, che dagli anni Ottanta sono cresciute gradualmente a causa dell’impiego massiccio di centrali a carbone per la produzione di energia elettrica.

Volete farvi venire l’ansia? Dal 2017 è attivo sul sito del Guardian un conto alla rovescia che vi dice quanta anidride carbonica possiamo emettere ancora in atmosfera prima che la temperatura terrestre si alzi di 2 °C. Non ce ne rimane molta.

Stiamo per raggiungere il “punto di non ritorno” climatico

I paesi membri si riuniscono solo una settimana dopo la pubblicazione su Nature di un pesante report, secondo cui “il tempo rimasto per evitare l’arrivo di un punto critico è arrivato quasi a zero.” I ricercatori temono che non ci siano già più speranze per evitare il disastro climatico, e che per questo sia necessario lavorare ancora più in fretta, almeno per cercare di limitare i danni. Il testo descrive nove “punti critici,” divisi in tre categorie — ghiaccio, terra, e acqua — che interagiscono tra di loro, creando il rischio di un vero e proprio “effetto domino.”

infografica di T. M. Lenton

Cosa sta facendo il governo italiano per fronteggiare il problema climatico

Secondo i dati dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) in Italia le emissioni di gas serra in atmosfera sono in calo dal 2005. La riduzione delle emissioni di gas serra, scrive l’ISPRA, è però imputabile alla crisi economica, alla delocalizzazione di alcuni settori produttivi, alla crescita della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e all’incremento dell’efficienza energetica.

Nei mesi caldi del perfezionamento della legge di bilancio 2020 si è parlato spesso di Green new deal, cercando — senza particolare successo — di presentarla come una delle misure simbolo del nuovo esecutivo. L’operazione è fallita, oltre che per le difficoltà della maggioranza di prendere posizione su letteralmente ogni misura, anche perché mancava una disposizione bandiera a cui si potesse indicare. Conte ha più volte ripetuto di voler realizzare un Green new deal italiano, ma non hai mai sostanziato la propria proposta, che non c’entra niente con l’ambizioso omonimo statunitense presentato da Alexandria Ocasio–Cortez. Questo non vuol dire che in legge di bilancio non ci siano misure di profilo ambientalista e di azione climatica. Ma continua a mancare un disegno che sappia coniugare le necessità di conversione con quella, tra le altre, di rivitalizzare il mercato del lavoro italiano. Dalla proroga a fine 2020 degli eco–bonus sulle ristrutturazioni all’introduzione di una tassa sui prodotti inquinanti utilizzati per la produzione di energia — una specie di carbon tax — passando per risorse destinate ai comuni che lavorano per migliorare la propria efficienza energetica dell’edilizia pubblica, si tratta di circa 2 miliardi di euro di risorse

Cosa stanno facendo le persone per fronteggiare il problema climatico

Il 29 novembre si è svolto il quarto sciopero globale per il clima, nato dall’impegno dell’attivista Greta Thunberg, che nel frattempo sta tornando in Europa in barca a vela — è quasi arrivata, si sta avvicinando al Portogallo.

Secondo gli organizzatori la manifestazione di Milano ha coinvolto circa 20mila studenti e studentesse, che hanno protestato contro l’inefficacia dei leader politici in merito alla questione ambientale e criticando in particolare il Black friday e la grande distribuzione di Amazon, chiedendosi: “Amazon è il più grande colosso dell’e-commerce mondiale e, in questa giornata, fattura un miliardo ogni ora, istigando al consumo sfrenato. Ma quanto ci costa davvero tutto questo?”

Altre manifestazioni si sono svolte a Roma, Venezia e Taranto e dimostrano quanto siano miopi i leader del mondo di fronte al più grande problema dei prossimi decenni.

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