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Siamo di fronte ai segni di una “rivoluzione globale”? Ne è convinto Alan Woods, storico attivista e segretario della Tendenza Marxista Internazionale. Abbiamo scambiato qualche parola con lui a margine di una conferenza all’Università Statale

“We live in very exciting times”, “viviamo in tempi davvero eccitanti.” Esordisce così, echeggiando il famoso proverbio cinese, Alan Woods, attivista politico, saggista e segretario della Tendenza Marxista Internazionale, un movimento di orientamento trotskista con ramificazioni in tutto il mondo, da lui fondato nel 1992 insieme a Ted Grant. Classe 1944, originario di Swansea, nel Galles, Woods si è fatto le ossa entrando come militante nell’ala trotskista del partito laburista britannico all’età di 16 anni. Negli anni Settanta, trasferitosi in Spagna con la famiglia, ha partecipato alle lotte e agli scioperi operai che hanno portato alla caduta del regime franchista. 

Noto per la sua vicinanza a Hugo Chavez nei primi anni Duemila, Woods è un instancabile agitatore, commenta regolarmente l’attualità sul sito internazionale della IMT, In Defence of Marxism, e gira il mondo per presentare i propri scritti. Abbiamo avuto modo di incontrarlo ieri a Milano, in occasione della presentazione della traduzione del secondo volume della sua Storia del bolscevismo, organizzata da Sinistra Classe Rivoluzione, la sezione italiana della IMT (il video completo della presentazione è su Facebook). 

Ma perché prestare attenzione alla storia del bolscevismo, a un secolo esatto dalla Rivoluzione d’Ottobre? Non certo per un puro interesse accademico — anche perché Woods nutre pochissima stima per il mondo dell’accademia, e specialmente per i marxisti accademici (“You can be an academic, or you can be a marxist”). Al contrario: il presupposto è che la storia del partito bolscevico — ovvero, la storia di come un piccolo e isolato gruppo di rivoluzionari, in uno dei paesi economicamente più arretrati d’Europa, è arrivato a fare la rivoluzione — abbia molto da insegnare ai movimenti di sinistra di oggi. Non solo in termini di strategia e di organizzazione, ma anche in merito alla difficile arte del non perdersi d’animo

Le difficoltà affrontate e superate dai bolscevichi prima e dopo lo scoppio della Grande guerra fanno impallidire, infatti, tutti i mali tipici dei partiti di sinistra radicale in Occidente: settarismi, scissioni, percentuali elettorali sotto l’1%… Ma soprattutto, insegnano che il “momento rivoluzionario” può arrivare quando e dove meno ce lo si aspetta. “Lenin — ricorda Alan Woods — nel gennaio 1917 diceva di essere troppo vecchio e che probabilmente non avrebbe vissuto abbastanza da vedere la rivoluzione. Nel gennaio 1917.”

L’importante, quindi, è saper cogliere i segni della rivoluzione futura, e farsi trovare pronti per sfruttarli nel modo giusto. E questi segni, secondo Woods, sono già intorno a noi, nelle sollevazioni popolari che stanno agitando molti paesi del mondo da qualche mese a questa parte.

Da Hong Kong alla Catalogna, passando per l’Iraq, il Cile, il Libano… Pochi giorni fa, hai definito queste proteste una “rivoluzione mondiale.” Ma non è un errore accomunare tanti movimenti diversi, che nascono in contesti differenti e con differenti rivendicazioni?

È vero, questi movimenti hanno ciascuno le proprie peculiarità. Ma ciò che colpisce di più sono le loro somiglianze. Se li osservi da vicino, scopri che hanno tutti un’origine simile: molti anni di tagli, riduzione degli standard di vita, aumenti delle tasse… Il che è un riflesso della crisi del capitalismo. Se si trattasse solo di uno o due paesi si potrebbe dire “beh, è soltanto una coincidenza, non ci sono connessioni tra l’uno e l’altro caso.” Ma non è così: ci sono movimenti in Cile, Ecuador, Libano, Iraq… In diversi continenti! È un processo generale e bisogna guardare alle sue cause generali.

Quindi pensi che ci sia una differenza rispetto ad altre stagioni di protesta che abbiamo visto negli anni passati, per esempio le Primavere Arabe nel 2011?

Beh, le Primavere Arabe erano simili, ma erano innanzitutto lotte contro regimi dittatoriali. Ora, invece, la base di tutti questi movimenti è quella che ho detto: la crisi del capitalismo, i tagli, l’abbassamento degli standard di vita — insomma, cause economiche.

Spesso si sente dire che i giovani, negli Stati Uniti come in Europa, sono sempre più attratti dalle idee socialiste. Allo stesso tempo però vediamo una preoccupante crescita dei movimenti di estrema destra, per esempio nell’est della Germania, in Italia e in Spagna. Secondo te, a livello globale, la sinistra sta facendo più passi avanti, o più passi indietro?

[Ride] Bisognerebbe chiedersi: quale sinistra “globale”? Sono molto scettico su un concetto del genere. Ma la domanda è interessante: quella che vediamo, infatti, è un’acuta polarizzazione tra la destra e la sinistra, e questo costituisce anche una seria preoccupazione per le classi dominanti. Ciò che dimostra, in realtà, è la presenza di un crescente fermento nella società, visibile ovunque, e di un crescente malcontento: è una sorta di umore generale, che si muove sotto la superficie. Malcontento, rabbia, furore, e soprattutto frustrazione, che le istituzioni e i partiti politici esistenti non riflettono. Per questo sono tutti in crisi. Le persone cercano disperatamente una strada per uscire dalla crisi del capitalismo, ed è vero, a volte guardano a destra, ma guardano anche a sinistra — per esempio nel Regno Unito con Jeremy Corbyn. Hai menzionato gli Stati Uniti: anche l’elezione di Trump è stata segno di un malcontento verso lo status quo, “un uomo del popolo contro l’establishment”— nonsense, naturalmente, Trump è un demagogo, ma nondimeno è stato un sintomo. La cosa ancora più interessante, però, è che c’è stato un sondaggio, proprio durante la campagna elettorale, che chiedeva agli elettori se avrebbero votato un presidente socialista. Il 69% dei più giovani, tra i 18 e i 29 anni, ha risposto positivamente. Ancora più incredibile è la percentuale degli over 65 (34%), se pensi alle campagne di propaganda anticomunista a cui sono stati esposti i cittadini americani nell’ultimo mezzo secolo. L’anno scorso, la Casa bianca ha pubblicato un lungo documento contro il socialismo [si tratta del report The Opportunity Costs of Socialism, pubblicato il 23 ottobre 2018 dal CEA – Council of Economic Advisers, leggibile qui. Qui un commento di Dylan Matthews su Vox, che lo definisce come “un documento davvero bizzarro.” Ndr] In questo documento si riconosce che c’è una crescita “allarmante” delle idee socialiste tra i più giovani, ed è vero. 

A proposito di Jeremy Corbyn: nel 2015 hai parlato della sua elezione alla leadership del Labour come una “rivoluzione.” A che punto siamo adesso? Cosa ti aspetti dalle prossime elezioni generali che si terranno di qui a un mese?

Se risaliamo anche soltanto a quattro anni fa, la Gran Bretagna era considerata uno dei paesi più stabili dell’Unione europea, politicamente parlando. Ora è il più instabile: per questo è davvero difficile prevedere il risultato di queste elezioni, ma sono abbastanza fiducioso che Corbyn e il Labour Party possano vincere. Ha un programma di sinistra — si tratta sempre comunque di sinistra riformista, ma molto più a sinistra di quanto siano stati i leader del Labour negli anni passati — e un grande supporto, specialmente da parte dei giovani, ma non solo. Da quando è stato eletto, il Labour ha visto un forte aumento dei tesseramenti, ora ha circa mezzo milioni di membri, è il partito politico più grande d’Europa. Questo sta mettendo in agitazione l’establishment: la classe dominante britannica ha perso il controllo del partito conservatore, e anche del partito laburista, che un tempo erano i due pilastri della stabilità. Il bipolarismo tradizionale è completamente sparito. Per questo è difficile prevedere come andrà, ma ci sono buone ragioni per credere che il sostegno al Labour continuerà a crescere. 

Per finire, una domanda personale: hai dedicato tutta la tua vita all’attivismo politico, e dopo più di cinquant’anni di battaglie non hai mai perso la tua fiducia. Che consiglio daresti al te stesso di 16 anni?

Mettiamola così: sono passati sessant’anni da quando mi sono unito al movimento, ero un marxista e comunista allora, e sono un marxista e comunista ancora adesso. Perché? Ma perché le idee di Marx sono più rilevanti oggi di quanto non fossero sessant’anni fa. La crisi del capitalismo ora è sotto gli occhi di tutti. Il Manifesto del partito comunista è il documento più rilevante e contemporaneo che ci sia. Per questo non vedo ragioni per cambiare le mie idee — altri, se vogliono, possono cambiare le proprie. Il marxismo ha dato mille volte prova di essere corretto, e il movimento che stiamo vedendo è un’ulteriore indicazione in questo senso. Il Manifesto inizia con le famose parole: “Uno spettro si aggira per l’Europa.” Bene, ora non si sta aggirando solo per l’Europa, ma per tutto il mondo!

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Tutte le foto credit Sinistra Classe Rivoluzione