smog Milano

In mancanza di un Grande Romanzo Milanese, il modo migliore per conoscere questa città attraverso la narrativa è una raccolta di sei racconti pubblicata da Sellerio nel 2015, in cui Milano emerge come un luogo di contraddizioni per eccellenza

Trovare romanzi che parlino della Milano di oggi non è facile quanto ci si potrebbe aspettare. I librai che ho consultato, arroccati dietro i banconi di vetusti negozi in centro, sono rimasti perlopiù confusi. Ambientati a Milano vi è una caterva di noir: grigio, nebbia e antipatia, uniti a lusso e miseria, si incastrano fin troppo bene nel classico mix di morto ammazzato, femme fatale, detective alcolizzato. In alternativa, esiste un surplus di romanzi, perlopiù scritti da umanisti in pensione, che proiettano le premesse del noir milanese in un passato medievale, ingrassando la narrazione con palesi scarti di monografie storiche sulla Controriforma nell’alta Brianza. Oltre questi generi? La nebbia.

A muovermici a tentoni, non dubito, prima o poi pesterò il pollice contro un Grande Romanzo Milanese. Se nessuno si palesa immediatamente, mi piace pensare sia in parte colpa di predecessori illustri, Manzoni in primis. Scrivere un romanzone su Milano è un po’ come mettersi a scriverne uno sulle balene.

Angoscia dell’influenza a parte, temo che la difficoltà del narrare Milano venga dal fatto che, tutto sommato, nessuno ci capisca poi molto. Su Venezia, per fare un esempio, si scrive assai e in ogni genere. Perché Venezia è bella, unica al mondo, Coi canali e l’acqua alta! Però è invasa da folle che non la rispettano! Ma è anche un punto di incrocio per tutto il mondo! Eccetera.

La bellezza di Milano, come dice il protagonista di “Salvi quasi per caso” — un racconto di Giorgio Fontana incluso nella raccolta Milano (Sellerio, 2015) — rifiuta invece ogni collocazione da guida turistica. È “così labile da vivere di istantanee: uno squarcio del quartiere Isola sotto una luce che non tornerà mai più, la facciata giallo ocra di un palazzo, un tram che appare dietro l’angolo.” Come ammetterà chiunque l’abbia a cuore, Milano è bellissima, e al contempo è proprio brutta. Sarebbe comodo distinguere tra centro e periferie, ma la verità è che più ci passo più mi convinco che via Torino sia il Male, mentre certi palazzoni di viale Monza, quando il sole li colpisce in modo giusto, diventano castelli.

Come ammetterà chiunque l’abbia a cuore, Milano è bellissima, e al contempo è proprio brutta

Forse il percorso narrativo migliore per approcciare un posto come Milano non è dato da un unico, monolitico Grande Romanzo, ma proprio da una raccolta di racconti come la Milano pubblicata da Sellerio nel 2015. Sei storie brevi per cercare di dare un senso agli eccessi e alle contraddizioni della città all’alba di un EXPO che, nei racconti, ancora non c’è stato, ma di cui pare si sappia già tutto: senz’altro porterà prosperità, cantieri, volontariato a gratis. Ciò che non è chiaro è chi, di tutto questo, beneficerà davvero.

L’EXPO è poi una scusa per parlare di dicotomie — moralismo/corruzione, sfarzo/stenti — che a Milano riemergono cicliche. E intendiamoci: non è che nascosta nella raccolta ci sia la chiave d’argento per trarre un senso da queste contraddizioni. Al contrario, quanto si legge nei sei racconti è noto e stranoto a chi la città la vive o l’ha vissuta. È semmai il modo illuminante in cui i racconti inseriscono queste contraddizioni nelle vite impossibili dei propri personaggi che vi getta una luce nuova. Molto spesso il bello della letteratura è che ti fa scoprire cose che sapevi già, e che magari non sapevi tradurre in parole, nero su bianco.

Così Milano emerge, con una contraddittorietà che non stona mai, come luogo solitario per eccellenza, una città facile da ignorare “mentre lei faceva altrettanto con te,” e al tempo stesso dove la folla dona sempre nuove chance per “sentirsi intimamente con gli altri,” parte di un gruppo. “Quasi nulla a Milano è fantasia, tutto è concretezza”: eppure certe viuzze di Brera creano “un allegro e macabro paese dei balocchi di cartomanti e artisti,” dove è facile perdersi con l’immaginazione.

Le storie di Milano giocano sugli stereotipi, usandoli come punto di partenza per trattare l’ineffabilità della città. E non sempre li confermano: la nebbia fitta di cui tutti parlano, ammettiamolo, “a Milano non si vede più chissà da quanto.” Nell’immagine del milanese che si ammazza in ufficio, invece, pare esserci molto di vero: “La fibra moralista della città fa coincidere da sempre l’esistenza con il lavoro.”

Un tratto, questo, che certi miti moderni dipingono in chiave simpatica, ma che è vissuto nelle storie di Milano in tutta la sua bruttezza. Le storie della raccolta non sono tanto un’elogio della città del guadagno, ma un insieme di prospettive di personaggi rimasti indietro: licenziati, disoccupati, giovani laureati divenuti “braccianti culturali” e inseriti in un mercato precario e spietato, dove l’opportunità più misera è spacciata per manna dal cielo.

Di fronte a uno scenario così cangiante, è la perplessità, più che la disperazione o la rabbia, a farla da padrona. “Milano la bilancia la rimette sempre in pari,” dice un personaggio per convincersi a concedersi un’altra serata di bevute. Ciò che stupisce è come quest’ottimismo, amaro che sia, goccioli ovunque in queste storie: così che l’estate alcolica di “Salvi quasi per caso” è paradossalmente ricca di libertà, e dona al protagonista quella prospettiva sulla cose perdute che si acquista solo nella sofferenza. In “La minaccia fantasma” di Helena Janeczek, racconto-chat e allegoria di una Milano nei cui successi già si annida la prossima crisi, non risalta tanto l’isolamento del protagonista, chiuso in casa a giocare ai videogame; quanto il legame sincero e profondo che riesce ad allacciare con un gamer siciliano.

Milano emerge con una contraddittorietà che non stona mai, come luogo solitario per eccellenza, una città facile da ignorare “mentre lei faceva altrettanto con te”

Ed è forse inevitabile che, in una città così contraddittoria, non ci si possa nemmeno disperare per bene. Chiedetelo all’Ingegner Boris Mladic, protagonista de “I vecchi sono i peggiori” di Paolo Di Stefano, di gran lunga la migliore delle storie raccolte. Lui che da Milano è stato truffato e insultato, ma della quale, è fin troppo chiaro, rimane innamorato. Per lui il grigio di Milano è “grigio acciaio, grigio-tubo, grigio-idraulica, ghisa, polietilene, grigio-ferro zincato o nichelatoÈ; e questo, da un idraulico, ce lo possiamo anche aspettare. Ma ancora di più, è un grigio nelle cui mille sfumature “ci sono tutti i colori.”


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