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Abbiamo intervistato Riccardo di dellacasa maldive, che suoneranno alcuni brani dell’album amore italiano domani sera all’Ostello Bello, in anteprima per Tracklist.

È uscito il 1° marzo “amore italiano,” il debut album di dellacasa maldive, per La Valigetta. Il progetto di Riccardo Dellacasa, Edoardo Castroni, Dario Canepa e Davide Beziér torna dopo i singoli “genova,” “davide” e “ferrara di furio” con dodici brani inediti.

Domani sera, a formazione ridotta, suoneranno qualche brano all’Ostello Bello (via Medici) di Milano in anteprima per Tracklist, un nuovo progetto proprio di Ostello Bello di cui siamo molto felici di essere media partner.

Abbiamo chiesto a Riccardo Dellacasa di raccontarci il loro album appena uscito.

Partiamo da una curiosità: come mai tutto minuscolo? Il nome della band, il titolo dell’album, la tracklist.

Tutto minuscolo perché è un progetto musicale in cui ha senso che parli la musica, non servono i grandi capslock. A questo si aggiunge una scelta personale perché odio le persone che urlano, noi non vogliamo urlare.

Raccontaci un po’ chi siete e come nasce dellacasa maldive.

dellacasa maldive nasce come band neanche un anno fa dall’incontro di 4 ragazzi, principalmente dalla mia cameretta a Milano dove facevo i demo. Poi ho incontrato a Roma Edoardo e abbiamo registrato le prime cose. In seguito ho conosciuto Dario di Genova e poi si è aggiunto Davide, che suona il basso e che conosco da anni. Tra di loro però non si conoscevano — si sono conosciuti meno di un anno fa.

E la storia bizzarra da cui è nato il vostro nome?

Sì, il nome del progetto ha un’origine un po’ assurda: un paio di estati fa ho conosciuto un ragazzo a Genova che si chiamava Davide. Una notte, dopo aver suonato, stavo facendo due passi quando si è avvicinato e mi ha chiesto una sigaretta. Siamo rimasti a parlare fino alle prime ore dell’alba, mi ha raccontato dei suoi viaggi, di una ragazza e poi quando mi ha salutato mi ha detto “sei mai stato alle Maldive?”. È un luogo in cui nessuno di noi quattro è mai stato, sperduto e lontano, è un nome che mi è sempre piaciuto, in più avevo una maglietta anni ’80 che mi piaceva tanto e così è nato il nome.

Questo ragazzo non l’hai più incontrato?

No, non so chi sia, non ho contatti e non l’ho più incontrato. Ricordo quella sera e magari la ricorda anche lui, ma non so chi sia. È nato tutto molto per caso dall’incontro tra noi quattro, all’incontro tra Davide e me.

È appena uscito amore italiano: raccontaci un po’ la fase creativa, le ispirazioni e le influenze da cui è nato il vostro debut album e cos’ha di diverso rispetto a pezzi precedenti.

Tutti i brani di amore italiano sono nati all’interno di camera mia a Milano dai racconti che Davide in quella notte lì mi aveva fatto. Sono molto parafrasati e rimaneggiati, perché ormai erano dei ricordi lontani quindi ci ho giocato un po’ intorno. Di nuovo c’è che siamo stati in tre a registrare, non solo io ed Edoardo, ma anche con Dario che ha registrato le batterie. Siamo stati 3 settimane chiusi in studio per fare 23 tracce di cui abbiamo selezionato 12 sia brani. Alcuni li avevo già scritti più due anni fa, altri invece li ho scritti a luglio, poco prima di entrare in studio.

A livello personale e anche per Riccardo è come se fosse un best of. A livello di lavorazione è un disco, non sono singoli separati: i singoli possono suonare in maniera diversa, invece il disco deve avere un senso, una compiutezza, a livello di suono e costruzione. Poi ha influito anche il fatto di aver lavorato con Marco Fasolo che si è occupato del mix, ha tirato fuori il suono del disco e ci ha dato alcune dritte di produzione. In generale, un tipo di lavoro diverso rispetto a quanto prodotto fino ad oggi.

Che cosa ascolta in viaggio la band

Cosa ne pensate e come vi ponete all’interno di quello che è diventato il macrocosmo dell’indie italiano?

Mah io sono cresciuto con un botto di concerti e per me l’indie erano gli Zen Circus con 4 persone a sentirli, erano concertini che non si cagava nessuno. Ora l’indie è diventato il pop italiano, ma con un livello di scrittura diverso dal pop classico. Noi suoniamo, siamo una band che fa canzoni pop con sonorità assolutamente non italiane, con ispirazioni che vengono da fuori, con ascolti internazionali sia dal passato che contemporanei. Abbiamo una nostra forma e siamo coscienti del fatto che questo suono non sia troppo simile a quello che già c’è, facciamo canzoni pop in senso classico ma con tematiche diverse, con un’ironia nei testi molto sottile. Vogliamo divertirci e far divertire, sono canzoni pop ma che vogliono far ballare quindi sono anche un po’ disco, un po’ psichedeliche.

Cosa porterete allo showcase di domani all’Ostello Bello?

Saremo io ed Edoardo con un set molto minimal: chitarrina e tastierina, per intenderci, e una voce. Faremo 3 o 4 pezzi e chiacchiereremo; magari chiamiamo Dario con skype call che è in Antartide. Poi suoneremo il 30 marzo all’Ohibò in formazione completa.


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