A dancers in a colorful dress

Questa è Click, World!, la nostra rassegna settimanale di cultura fotografica. Ogni settimana, un pugno di link e le mostre da noi consigliate.

Una scelta che alimenta grandi dibattiti e che in qualche modo unisce la comunità fotografica amatoriale e professionale: bianco e nero o colore? Sia una parte che l’altra ci sono eserciti di sostenitori, ed esiste tutta una letteratura di citazioni che si potrebbero usare a vantaggio delle due correnti. Spesso si arriva a parlare di coerenza stilistica ed espressiva per risolvere la questione, lasciando dunque il beneficio del dubbio.

Parlando di fotografi celebri, molti sono stati segnati da carriere a senso unico, in cui la scelta dell’uso del bianco e nero o del colore era in qualche modo il marchio distintivo. Da questi autori ci arrivano varie citazioni spesso utilizzate dagli appassionati per motivare la propria scelta cromatica.

Ma la scelta è vista, in particolare dagli addetti ai lavori, come una scelta da valutare e da giustificare, non da prendere in maniera distratta. Bisogna comunque tenere presente che si sta parlando di una scelta che, seppur criticabile, si sottende univoca: ad ogni foto è attribuibile una e una sola scelta.

Cosa succede quando una foto viene mostrata sia a colori che in bianco e nero? La riflessione è nata dopo aver visto una fotografia utilizzata nelle due varianti. L’autore è un fotografo italiano, di cui manterremo l’anonimato. Alcune indicazioni: in origine la foto faceva parte di un lavoro a colori, la versione in bianco e nero invece ha vinto un premio dedicato proprio alle fotografie monocromatiche.

Prima del digitale la scelta era obbligata: il rullino poteva tirare fuori una sola cosa — o i colori o il bianco e nero. Il negativo registrava quello per cui era predisposto. Il negativo digitale, a dire il vero, registra anch’esso una sola cosa, ma può essere lavorato in due maniere diverse. Prima ancora di un raddrizzamento o di un ritaglio della foto, la scelta ricade infatti sulla post-produzione del negativo digitale, a colori o in bianco e nero.

Sosta tecnica per i profani: della stessa immagine le macchine digitali registrano due file: uno cosiddetto grezzo a colori — il RAW — e il file jpeg. Solo quest’ultimo può essere nativo o a colori o in bianco e nero. Questo vuol dire che, anche quando scegliamo di scattare in bianco e nero il file RAW, una volta aperto con il nostro pc lo vedremo a colori.

La semplicità con cui il negativo digitale può essere sdoppiato per creare due versioni diverse della stessa foto non porta comunque ad abusare di questa possibilità. Sebbene, vista la situazione da cui queste riflessioni partono, ci si potrebbe vedere dell’opportunismo — il concorso è riservato alle sole fotografie in bianco e nero. In molti concorsi, anche molto famosi come il World Press Photo, ai fotografi che partecipano viene richiesta la consegna dei negativi digitali, per poter stabilire se la quantità di modifiche alla foto originaria non eccede troppo rispetto agli standard imposti. Ora, è naturale che tutte le foto in bianco e nero potrebbero essere considerate zoppe già in partenza, in quanto il RAW non potrà che essere un file a colori. Perchè le giurie non chiedono il jpeg piuttosto? Almeno sapremo con certezza se era intenzione del fotografo scattare in bianco e nero o a colori.

La nostra selezione di mostre

Prima Visione 2018: L’aria del tempo, Massimo Sestini
Galleria Belvedere, Milano. Fino al 23 febbraio.

Masahisa Fukase, Private Scenes
Fondazione Sozzani, Milano. Fino al 31 marzo.

Fabula, Charles Fréger
Armani Silos, Milano. Fino al 24 marzo.

Rassegna stampa

In occasione del conferimento da parte dell’Accademia di Brera della Laurea Honoris Causa a Thomas Demand, una intervista all’autore, presente durante il convegno  “The Gentle Art of Fake”.

#tenyearschallange per l’ambiente. Alcune immagini satellitari messe a confronto per il monitoraggio di laghi e ghiacciai in giro per il mondo.

Matera Capitale Europea della Cultura è ufficialmente stata inaugurata il 19 gennaio. Tra le diverse attività proposte anche una serie di mostre e convegni che copriranno l’intero anno. Il progetto, chiamato Coscienza dell’uomo, è curato da Maurizio Rebuzzini.

Il fotografo polacco Michal Iwanowski ha percorso a piedi un tragitto di 1900km, partendo dal Galles per tornare nel suo paese natale, Mokrzeszów, in Polonia. Tutto è iniziato nel 2008 dopo aver visto una scritta in Galles, paese in cui viveva al tempo, che recitava “go home polish”: “Ho scattato una foto a quel muro e l’ho lasciata stare per un po’…e con il referendum dell’Ue e la successiva ondata di aggressione verso gli immigrati ho deciso che era giunto il momento di rispondere fotograficamente alla situazione”. L’intervista all’autore e alcune immagini dal suo sito.

La video intervista a Paolo Pellegrin in occasione della mostra al MAXXI di Roma.

Presso la Fondazione Sozzani a Milano, è in corso la mostra Masahisa Fukase, Private Scenes, con opere inedite esposte. È una retrospettiva che per la prima volta raccoglie diverse serie dell’autore. A seguito di una tragica caduta dalle scale Fukase rimase in coma per 20 anni e in quell’arco di tempo la Fondazione che custodiva le sue fotografie non ha mai reso accessibili le opere.

Dal “realismo magico” di Sandy Skoglund, in mostra a Camera, Torino, per la prima retrospettiva dell’autrice, al “realismo Traumatico” di Geert Goiris, in mostra a Bologna, all’interno del  Salone della Banca di Palazzo De’ Toschi. L’intervista ai curatori della mostra di Goiris.

Fatevi i selfie, ma fateli senza barare: il giudizio di voi stessi sarà meno viziato da una falsa memoria che avreste potuto creare solo con i sorrisoni. Lo dice una psicologa, spiegandolo bene.

Alla prossima! ??