La guerra contro il dominio pubblico minaccia tutta l’arte
Come Disney stessa ha dimostrato — con Alice nel paese delle meraviglie, Aladdin, Frozen, il Re Leone — le opere di dominio pubblico sono una fonte di inestimabile ispirazione per creativi di tutte le arti.
Come Disney stessa ha dimostrato — con Alice nel paese delle meraviglie, Aladdin, Frozen, il Re Leone — le opere di dominio pubblico sono una fonte di inestimabile ispirazione per creativi di tutte le arti.
Come ogni anno, il primo gennaio si celebra il giorno del dominio pubblico: ogni anno, in questa data, si espande la lista delle opere artistiche per cui terminano le limitazioni del diritto d’autore — e possono così essere riprodotte, modificate, ristampare e archiviate liberamente e da chiunque.
In Europa le opere entrano nel dominio pubblico dopo settant’anni dalla morte della propria autrice o autore.
È un anno importante per testi che raccontano della lotta di genere a cavallo tra Ottocento e Novecento, liberando le opere di Susan Glaspell, Maria Olga de Moraes Sarmento da Silveira, e Na Hye-sok. Il 2019 segna in Europa anche l’anno della liberazione dei film di Ejzenstejn e Griffith.
Negli Stati Uniti questo primo gennaio è stato a maggior ragione un’occasione speciale, perché il dominio pubblico è tornato a espandersi dopo vent‘anni di aridità imposta. Nel 1998 un’asse di lobbysti, guidati da Disney, fece pressione sul Congresso per estendere i limiti del copyright. Per le opere pubblicate prima del 1978 la legge negli Stati Uniti prevedeva una copertura di cinquant’anni oltre la pubblicazione: secondo la legge vigente all’epoca, nel 2004 sarebbe entrato quindi nel pubblico dominio Steamboat Willie, il film che introdusse il personaggio di Topolino.
Disney e altri grandi detentori di copyright ottennero con il Sonny Bono Copyright Term Extension Act l’estensione del copyright per le opere precedenti al 1978 di altri vent’anni, portando così l’ingresso di Topolino nel pubblico dominio al 2023.
Quest’estate, il congresso statunitense ha giocato con l’idea di estendere ulteriormente il diritto d’autore, fino a un allucinante 144 anni, dibattendo del Compensating Legacy Artists for their Songs, Service, and Important Contributions to Society Act— il CLASSICS Act. Oggi come allora, in realtà, Topolino è protetto da una diciannove trademark che di fatto impediscono l’uso del personaggio in qualsiasi contesto da parte di qualunque entità che non sia la Disney.
Come Disney stessa ha dimostrato — con Alice nel paese delle meraviglie, Aladdin, Frozen, il Re Leone — le opere di dominio pubblico sono una fonte di inestimabile ispirazione per creativi di tutte le arti.
Per gli Stati Uniti, insomma, si tratta di un evento semplicemente storico, che libera The Chip Woman’s Fortune, il primo spettacolo di Broadway scritto da un autore afroamericano, the Vanishing American di Zane Grey, una critica accesissima dello sterminio dei nativi americani, e the Real Story of a Bootlegger, una testimonianza che racconta come il proibizionismo alimentava la criminalità. Oltre a queste, verranno certamente scoperte nei prossimi anni dozzine di opere che sarebbero state altrimenti dimenticate.
Un po’ come questa:
Infatti, se Topolino e Bing Crosby che canta “White Christmas” sono proprietà che hanno un valore commerciale pressoché eterno, ed è naturale che ci sia chi difende il proprio guadagno, il danno principale della limitazione dell’espansione del dominio pubblico è un altro: oltre alla arte di grande successo e di grande impatto, c’è tutta l’arte sottovalutata, incompresa, e anche quella semplicemente poco ispirata, ma che può raccontare tantissimo sulle caratteristiche e le sfaccettature di un determinato periodo storico.
Lo scenario di un’ulteriore espansione del diritto d’autore mette in pericolo tantissime opere orfane, rimaste senza un chiaro detentore di diritti, ma ancora non liberamente riproducibili. Sia il diritto d’autore europeo che quello statunitense prevedono la protezione preventiva di queste opere, che di fatto diventano impossibili da ristampare, adattare o commentare senza ingenti investimenti per risalire a un avente diritto.
Mentre il dibattito si concentra giustamente sulle opere il cui ingresso del dominio pubblico è imminente — se non altre leggi liberticide non saranno approvate da Stati Uniti e Unione Europea nei prossimi anni — il problema si fa drasticamente piú complesso per le opere prodotte nelle decadi successive, nel corso della Seconda guerra mondiale per un motivo e dal dopoguerra in poi per altri. La produzione artistica novecentesca è multiforme e di archiviazione complessissima, e piú si allontana la data del loro ingresso nel dominio pubblico, piú si allunga la lista di opere che inevitabilmente saranno perse.
Dalle pubblicazioni letterarie mai digitalizzate e ai piccoli progetti cinematografici indipendenti sfuggiti agli archivi gestiti dai grandi studi: ogni anno che passa, nel silenzio, stiamo certamente perdendo alla memoria sempre più opere. E tutto questo senza riconoscere il valore artistico di tante produzioni artistiche digitali, dai primi videogiochi a esperienze sul web contemporaneo, che sono difficilmente conservabili senza ampi lavori di restauro o emulazione.
Oggi come non mai la produzione della cultura popolare è un complesso e barocco discorso di citazioni, distorsioni, remix. Senza un lavoro di ristrutturazione del diritto d’autore per la massa creativa e non per gli esistenti detentori la cultura di questo secolo, e più precisamente la cultura che stiamo vivendo oggi non ha nessuna speranza di sopravvivere attraverso i secoli. Dai videogiochi per iOS e Android, destinati a rimanere sepolti dagli aggiornamenti di sistema di Apple e Google, alla lotta contro gli emulatori di Nintendo, passando per l’inevitabile deterioramento di pellicole magnetiche, dischetti floppy, CD e DVD, la lotta miope per proteggere le opere d’arte degli anni Venti e Trenta rischia di distruggere il futuro dell’arte che stiamo producendo oggi.