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in copertina, foto via Twitter

“Lo spazio che si è costruito attorno a Mediterranea, non solo sulla terra, ma anche sul mare, è uno spazio che sta diventando sempre più ampio e plurale”

È di ieri la notizia che le navi Mare Jonio e Open Arms hanno avuto il permesso di lasciare il porto di Zarzis dove erano bloccate da sabato sera a causa del maltempo. Domenica le autorità avevano sequestrato i passaporti, che sono stati riconsegnati all’equipaggio dopo 24 ore, nonostante il divieto ancora attivo di lasciare il porto. Mare Jonio è la nave della piattaforma Mediterranea, nata a luglio, quando il governo Lega-M5S ha cominciato a chiudere i porti alle navi delle Ong e a cambiare il modo in cui era stato interpretato fino a quel momento il concetto di “porto sicuro.” Il progetto è stato appoggiato da organizzazioni di tipo diverso – Arci, Ya Basta Bologna, il magazine online I Diavoli, imprese sociali come Moltivolti di Palermo, tra gli altri – e da alcune Ong, come la tedesca Sea-Watch. I garanti dell’operazione – resa possibile grazie a un prestito di 465 mila euro di Banca Etica e altri 300 mila euro raccolti (finora) con una campagna di crowdfunding – sono Nicola Fratoianni (segretario di Sinistra Italiana, eletto deputato con Liberi e Uguali), Rossella Muroni (ex presidente di Legambiente, deputata di Liberi e Uguali), Erasmo Palazzotto (deputato di Liberi e Uguali) e Nichi Vendola (ex presidente della Puglia e fondatore di SEL).

Il 4 ottobre la nave è salpata dal porto di Augusta, in Sicilia, diretta verso le acque internazionali del Mediterraneo centrale. La nave Mare Jonio, battente bandiera italiana, ha lo scopo di “svolgere attività di monitoraggio, testimonianza e denuncia della drammatica situazione in cui si trovano i migranti che in assenza di soccorsi tentano di raggiungere le coste italiane dalla Libia,” ci racconta Ada Talarico, attivista e giornalista freelance, promotrice di Mediterranea. “Si tratta di un’azione non governativa, di disobbedienza morale e obbedienza civile,” continua Talarico. “Un mare in cui le Ong sono state bandite e in cui è sempre più difficile intervenire a causa degli interventi della guardia costiera libica, che blocca le navi in partenza per l’Europa. Lo spazio che si è costruito attorno a Mediterranea, non solo sulla terra, ma anche sul mare, è uno spazio che sta diventando sempre più ampio e plurale. Attorno ad essa c’è una spinta potente di attivazione che non è solo sostegno esterno, ma che è una volontà di partecipare e provare a costruire degli spazi di trasformazione della situazione attuale, provando a rispondere in maniera concreta al clima di odio che si respira nel nostro paese, e in generale in Europa, costruita dalle politiche governative degli ultimi anni, non solo da questo governo. È fondamentale perché ci dà la possibilità, intorno all’azione concreta, di costruire un assetto nuovo insieme alle forze che si stanno mobilitando.”

L’importanza dell’azione di Mediterranea — e delle altre due Ong al momento attive nelle operazioni di SAR, Proactiva Open Arms e Sea-Watch — non sta soltanto nella concretezza dei salvataggi, ma nella possibilità di svolgere un ruolo indipendente di monitoraggio in un tratto di mare sempre meno controllato e, di conseguenza, sempre più letale per chi cerca di attraversarlo con imbarcazioni di fortuna. È stato proprio l’allarme lanciato da Mediterranea, pochi giorni fa, a permettere il salvataggio di 120 migranti, grazie alla pressione esercitata sulla guardia costiera libica e su quella italiana, che per ore hanno ignorato la chiamata.

foto via Twitter
foto via Twitter

Un’altra voce attiva di Mediterranea è quella di Sandro Mezzadra attivista e professore di filosofia politica all’Università di Bologna, che abbiamo incontrato di recente per avere la sua opinione. “Ho iniziato come attivista e ho proseguito come ricercatore all’inizio degli anni Novanta, mentre l’Italia era in piena transizione migratoria,” ci ha raccontato. “Oggi non viviamo più la transizione, ma le retoriche emergenziali convergono nell’occultare questo lato fondamentale. Viviamo in una congiuntura in cui dobbiamo prendere atto di questa forte reazione anti migrazione e anti migranti, che deriva da una paura manipolata.”

L’emergenza migranti non è un’emergenza, bensì una delle sfide richieste a chi vuole veramente ripensare un nuovo assetto, sociale e politico, basato non semplicemente sul concetto di integrazione, ma su quello di convivenza.

“Quello che cerchiamo di fare come Mediterranea,” continua Mezzadra, “è intervenire nel luogo dove si generano le immagini dell’emergenza, come quella che riporta un salvataggio in mare. Intervenire in loco è fondamentale per generare un diverso modo di collegare quello che accade in mare con quello che accade a terra. Il tentativo è di rovesciare la prospettiva, presentando la normalità della migrazione, un fenomeno che richiede l’aiuto di tutti. Non si tratta di ragionare su come aiutare loro. Si tratta di partire dall’assunto che i migranti sono protagonisti della loro vita, di molte lotte sociali, che sono parte integrante della nuova lotta di classe. Bisogna lavorare sulle differenze per costruire dei dispositivi di messa in comune. Il compito è arduo, richiederá tempo e non è rimandabile.”

Queste parole fanno riflettere anche alla luce dell’inchiesta della Procura di Catania sul presupposto smaltimento illecito dei rifiuti da parte delle navi umanitarie Aquarius e Vos Prudence nei porti siciliani. Con questa accusa il gip di Catania Carlo Cannella, su richiesta del procuratore Carmelo Zuccaro, ha disposto il sequestro della nave Aquarius di Medici senza frontiere e Sos Mediterranée, ferma da settimane nel porto di Marsiglia dopo il ritiro della bandiera da parte delle autorità panamensi.

In 44 sbarchi, negli ultimi due anni e mezzo, secondo il procuratore Zuccaro, sarebbero state smaltite illecitamente 24 tonnellate di rifiuti pericolosi, con un risparmio di costi di 460 mila euro — cifra per la quale è stata sequestrata la Aquarius. Le ventiquattro persone indagate, secondo la procura, erano consapevoli della pericolosità degli indumenti recanti agenti patogeni di meningite, Hiv, tubercolosi e scabbia. MSF ha sottolineato il carattere grottesco di questa indagine, definendola una sorta di “dagli all’untore 2.0,” una “fake news dell’untore” che ha trovato terreno fertile nella propaganda dell’estrema destra xenofoba. La paura alimentata da queste notizie, già evocata da Mezzadra, è il nemico peggiore di iniziative che si pongono di raccontare e monitorare la realtà dei fatti. Ma proprio per questo simili iniziative sono necessarie, nel tentativo di smontare le narrazioni fuorvianti e riportando il dibattito sull’unico vero punto: le vite degli esseri umani.



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