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in copertina, foto CC Michael Vadon

Come sta la nostra generazione? Secondo uno studio, il 25% degli studenti universitari statunitensi potrebbe soffrire di “angoscia clinicamente significativa” causata dalla campagna elettorale del 2016.

La retorica, in Italia ma in tutto il primo mondo in realtà, vuole i giovani contemporanei completamente alienati, a un passo dall’essere NEET, immersi in Netflix, brutte serie tv e meme. Il luogo comune, però, vuole anche che molti siano “buonisti,” “rosiconi,” facili allo scandalizzarsi — che dovrebbero prendersi un Maalox.

Sono, ovviamente, narrative incompatibili, o quasi.

Ma allora come sta la nostra generazione? È la domanda che si è posta Melissa Hagan, assistente di Psicologia all’Università statale di San Francisco. Piú specificamente, la ricercatrice voleva scoprire come fosse essere giovani negli Stati Uniti, durante la campagna elettorale che ha portato all’elezione di Donald Trump.

Il team di Hagan ha intervistato 769 studenti di psicologia dell’Università statale dell’Arizona e ha pubblicato i risultati nell’ultimo numero del bimestrale Journal of American College Health.

Secondo lo studio, il 25% degli studenti soffre di “angoscia clinicamente significativa,” che, essendo collegata ad un evento specifico, potrebbe svilupparsi in quello che a tutti gli effetti possiamo chiamare disturbo da stress post–traumatico, quello che le serie di Netflix di cui sopra ci hanno insegnato a chiamare in inglese PTSD.

I numeri si fanno ancora piú alti se limitiamo le risposte alle sole studentesse donne: tra loro i livelli di stress sono stati registrati dai ricercatori superiori del 45% a quelli dei propri colleghi uomini.

Solo il 10,4% dei giovani intervistati da Hagan ha evidenziato effetti “benefici” sulla propria psiche nel corso della campagna elettorale.

Lo studio rivela che i predittori piú comuni dei livelli di stress sono il genere, il non essere cristiani, e la sensazione che propri cari potessero essere colpiti da conseguenze legali in seguito all’elezione di un presidente misogino e razzista.

Uno studio precedente, di DeJonckheere, Fisher e Chang aveva già misurato crescenti livelli di stress tra i giovani nelle settimane precedenti al voto, e aveva registrato sintomi negativi sia prima delle elezioni che in un successivo aggiornamento quattro mesi dopo. DeJonckheere et al. erano arrivati alla conclusione che stress e ansia causati dall’elezione di Trump avevano solo persistito nei mesi successivi.

Un sondaggio dell’American Psychological Association ha rivelato che due terzi dei cittadini statunitensi si stressano pensando a quale futuro attenda il proprio paese.

Il gozzo di Trump, fotografato da Marc Nozell
Il gozzo di Trump, fotografato da Marc Nozell

Ma il caso dei giovani in età universitaria è particolarmente importante, sottolineano Hagan e i suoi colleghi, perché questa è l’età in cui si è esposti a maggior rischio di sviluppare disturbi causati da eventi stressanti.

I ricercatori ammettono che l’analisi di qualsiasi reazione tra la salute mentale e l’elezione di Trump ha una forte limitazione: tutti gli eventi successivi al voto sono stati così lontani dalla norma da sporcare fortemente il valore “di ricerca” della propria analisi, ed è impossibile scartare ipotesi di ulteriore inquinamento legato a eventi non collegati alla politica. Ma fuori dalle pagine piú rigorose di una testata medica il legame tra le politiche retrograde del governo e la crescente tensione razziale nel paese è evidente — esattamente come è evidente che possa costituire una ulteriore fonte di stress per gli studenti che hanno risposto alle domande dei ricercatori.

Hagan sottolinea anche che l’elezione del 2016 non può essere classificata come un’esperienza traumatica. Ma insiste che l’ondata di notizie su deportazioni e sul trattamento delle donne da parte del capo dello Stato non possa essere minimizzata, e sia una forte fonte di stress.

Hagan sottolinea che questa reazione non è un segno di debolezza — non siamo, insomma snowflakes — ma che sia inevitabile che i giovani siano scossi da notizie legate a politiche estremiste come la separazione dei bambini dalle loro famiglie.

I ricercatori non si fermano qui: è fondamentale nel contesto di questa ricerca sottolineare, dicono, che per i giovani che fanno parte delle minoranze prese d’assalto dal partito repubblicano, la costante esposizione a stereotipi che inquadrano la propria identità come negativa sia fortemente malsana.

Domani si apriranno le urne negli Stati Uniti, in elezioni di metà mandato che sono tradizionalmente molto poco frequentate dai giovani.

L’elettorato post Generazione X è oggi maggioritario, negli Stati Uniti, ma non è finora riuscito a imprimere nella politica del paese segnali di vero rinnovamento — neanche banalmente generazionale. Un sondaggio di NBC/GenForward della scorsa estate aveva misurato che metà dell’elettorato giovane del paese prevedesse di astenersi dalle venture elezioni — e che 60% dei giovani aveva opinioni “sfavorevoli” dei repubblicani.

Non ci risultano studi simili realizzati sui giovani italiani — che a differenza di quelli statunitensi possono contare su una rete di mutuals molto meno fitta con cui dar sfogo alle proprie paure e ai propri dubbi. Al netto dei titoli che avevano dato il Movimento 5 Stelle come “partito dei giovani,” una divisione del foto per fasce d’età realizzata da Ipsos ha sottolineato una sostanziale conformità del voto dei giovani ai risultati totali. Come stanno i giovani oggi in Italia? Si sentono rappresentati dal governo dei condoni e della lotta ai migranti? Come si vive nelle classi multietniche a cui è stata negata la normalità dello ius soli?

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.