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I ponti sulla Milano-Meda sono quelli più allarmanti, ma non sono gli unici: tra viadotti e cavalcavia, la rete infrastrutturale lombarda ha bisogno di interventi urgenti.

Il crollo del ponte Morandi a Genova, in cui hanno perso la vita 35 persone, ha riportato l’attenzione sullo stato di salute delle infrastrutture stradali e autostradali nel nostro paese. La procura di Genova ha aperto un fascicolo per omicidio plurimo e disastro colposo, che dovrà accertare le responsabilità di una tragedia che — dati i segnali d’allarme ripetutamente lanciati sulla pericolosità del viadotto negli ultimi anni e i lavori di manutenzione già svolti — sembra aver sorpreso davvero soltanto Autostrade per l’Italia, la società concessionaria, che anche dopo il crollo ha continuato a ribadire che “non c’erano avvisaglie di pericolo.”

Dal 2013 ad oggi si contano dieci casi di crolli del genere, a fronte di un calo considerevole degli investimenti e delle spese di manutenzione. “La sequenza di crolli di infrastrutture stradali sta assumendo, da alcuni anni, un carattere di preoccupante ‘regolarità’,” ha scritto in un comunicato stampa Antonio Occhiuzzi, il direttore dell’Istituto di tecnologia delle costruzioni del Cnr. “In pratica, decine di migliaia di ponti hanno superato, oggi, la durata di vita per la quale sono stati progettati e costruiti.”

Sentito da TGCOM24, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli ha detto ieri che i ponti e i viadotti costruiti negli anni Cinquanta e Sessanta sono “certamente tanti,” aggiungendo in maniera poco rassicurante che “non sono ponti abbandonati. Almeno io spero.” Poi ha auspicato, con una formula ad effetto un po’ trita, “un piano Marshall per la messa in sicurezza delle nostre opere infrastrutturali.”

“Avvieremo una mappatura per valutare quali siano le infrastrutture potenzialmente a rischio e poi faremo prevenzione.”

Dato che come al solito si parla di rischio e prevenzione solo a tragedie già avvenute — è lo stesso discorso che si fa puntualmente dopo ogni terremoto, frana o alluvione — una mappatura il più possibile completa sarebbe davvero auspicabile, così che le autorità competenti (le società concessionarie o gli enti locali) possano intervenire tempestivamente, e i cittadini fare pressione quando questo non dovesse avvenire.

Purtroppo una mappatura del genere ancora non esiste — nonostante se ne richieda da tempo la realizzazione. A quanto pare nemmeno gli “addetti ai lavori” hanno presente con chiarezza l’entità e i numeri del problema, anche a causa della frammentazione dei centri di responsabilità. Per questo bisogna accontentarsi delle stime, che sono allarmanti: Settimo Martinello, direttore di una società specializzata in ispezioni e verifiche sullo stato dei ponti, ha calcolato in totale la presenza “tre o quattro milioni di strutture,” calcolando le campate di ciascun ponte (circa un milione e mezzo in tutta Italia) di cui soltanto sessantamila sono poste sotto monitoraggio. Considerando che anche il viadotto Morandi era sotto monitoraggio, quest’ultimo dettaglio non sembra molto rassicurante.

Lo stesso Martinello riferiva già due anni fa al Secolo XIX che ogni anno crollano “dai 10 ai 15 ponti l’anno a causa di mancate ispezioni. Non tutti fanno rumore allo stesso modo, perché non tutti fanno vittime, ma tutti i gestori dovrebbero prendere coscienza della situazione e non solo dopo un disastro.”

Sulla Repubblica di stamattina un ingegnere citato in anonimato parla di “più di 300” tra ponti, viadotti e gallerie che presentano criticità di livello uno, ovvero anomalie gravi.

In Lombardia com’è la situazione? Appena due giorni fa, il 13 agosto, il Corriere della Sera ha rivelato che ci sono quattro cavalcavia pericolosi soltanto sulla superstrada Milano-Meda, di cui soltanto uno attualmente è bloccato al traffico. Secondo i documenti riservati visionati dal quotidiano milanese, già nell’agosto dell’anno scorso il perito incaricato dalla Provincia (Monza-Brianza) di verificarne le condizioni aveva detto che avrebbero potuto sopportare traffico al massimo per altri 12 mesi. Ma lo stop non sembra all’ordine del giorno e i lavori per il consolidamento dei quattro ponti dovrebbero partire soltanto nel 2019. Roberto Invernizzi, dalle pagine milanesi del Corriere, prova a rassicurare: “Non dormirò sonni tranquilli finché la vicenda non sarà chiusa, ma non sono un incosciente: i ponti della Milano-Meda sono sicuri, qui non succederà come a Genova.”

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Dopo il crollo del cavalcavia di Annone Brianza ad ottobre 2016 — che causò un morto e quattro feriti — l’allora presidente della Regione Roberto Maroni aveva chiesto una ricognizione delle infrastrutture sul territorio lombardo. Solo nella provincia di Pavia si contavano quell’anno ben otto ponti a rischio.

Tra questi, il ponte Becca è stato chiuso al traffico per una decina di giorni ad aprile, per realizzare lavori di manutenzione, e poi di nuovo chiuso al transito di notte tra il 18 giugno e il 7 luglio, per interventi sui giunti intermedi. Sul ponte Gerola, l’altro dei ponti storici sul Po costruiti nel primo Novecento, sono stati svolti lavori e test alla fine del 2016, ma il traffico ai tir resta interdetto, tra le proteste degli autotrasportatori per le deviazioni troppo lunghe. Idem per il ponte di Pieve Porto Morone, che collega le province di Pavia e Piacenza — ma il cui traffico è stato deviato su un altro ponte “critico”, quello di Spessa. Da poco riaperto anche ai mezzi pesanti, invece, il ponte sull’Agogna.

Quello dei ponti sul Po è un dossier particolarmente problematico. A settembre 2017 era stato chiuso urgentemente il ponte tra Casalmaggiore (Cremona) e Colorno: i fondi per il suo restauro sono arrivati a gennaio.

Nella provincia di Brescia da marzo 2017, su 480 viadotti, 140 sono stati controllati da un pool di ingegneri dell’Università, e su 5 sono già stati realizzati interventi di consolidamento. Nessun ponte è stato chiuso per rischio crollo, ma su 12 sono imposte limitazioni ai trasporti eccezionali oltre le 44 tonnellate. Alcuni lavori su ponti critici, come quello sulla Sp 19 a Concesio, inizieranno solo nella primavera del 2019. Nello stesso anno dovrebbero terminare i controlli anche sul resto dei viadotti.

A scorrere le cronache degli anni passati si incontrano decine di segnalazioni, chiusure temporanee, lavori straordinari, interdizioni al traffico: l’impressione è che le autorità fatichino a star dietro alla mole di lavoro resa necessaria da una rete infrastrutturale invecchiata e sempre più fatiscente. Il calo progressivo delle spese e degli investimenti in manutenzione, la lentezza nello stanziamento dei fondi, si sommano a disegnare un quadro allarmante, che vale per la Lombardia come per le altre regioni d’Italia. La mappatura del rischio è soltanto il primo passo — ma l’auspicio è che questa volta, dopo una tragedia inconcepibile e inaccettabile come quella di Genova, ci si muova davvero.


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