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Abbiamo parlato con Pier Antonio Panzeri, della Commissione esteri del Parlamento europeo, del futuro delle politiche migratorie e dei rimpianti per “non aver provato a narrare un’altra storia.”

Pier Antonio Panzeri è un eurodeputato di Liberi e Uguali ed è membro della Commissione affari esteri del Parlamento europeo, oltre che Presidente della Sottocommissione per i diritti umani. L’abbiamo intervistato per capire meglio qual è il futuro delle politiche migratorie in Europa e in Italia, e dove abbiamo sbagliato.

Abbiamo raggiunto Panzeri il giorno successivo all’affossamento della proposta bulgara di revisione degli accordi di Dublino. La proposta, nata zoppa, preservava lo status quo, prevedendo la ridistribuzione dei profughi solo in base a un meccanismo di emergenza. Dopo aver raccolto lo scetticismo già del governo Gentiloni, è stata silurata con gioia da Salvini e il resto della destra xenofoba europea. Ne abbiamo parlato ieri su the Submarine.

Onorevole Panzeri: il governo italiano, adesso, a cosa punterà in sede europea, secondo lei?

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Ecco, qui vorrei che fosse reso evidente un elemento che sfugge un po’ in questo momento. Qualcuno ha scritto che il no al regolamento di Dublino da parte di Salvini e Soci è in continuità con Minniti. Il problema è che ci sono due elementi sostanzialmente diversi — lungi da me difendere Minniti. Mentre comunque il governo di Gentiloni aveva detto no alla bozza proposta dalla presidenza bulgara perché non proponeva nessun sistema di ripartizione — e quindi di solidarietà — interna all’Europa, il no di Salvini è il no ad un regolamento anche più avanzato, perché un regolamento anche più avanzato obbliga il governo italiano a gestire gli arrivi: e loro non vogliono gestire questo tema.

Preferiscono la strada molto più semplice dell’innalzamento di barriere — che poi, innalzamento a parole, perché i processi migratori come ben sappiamo sono fenomeni troppo complessi per essere trattati così.

Ieri scrivevamo che sembra una strategia di innalzamento continuo della tensione. Ma fino a che punto può essere tirato questo gioco da parte delle destre?

Fino a che punto di preciso non lo so, ma senz’altro verso derive molto pericolose. Già adesso il linguaggio non è accettabile. Ad esempio, quando Salvini si è insediato al ministero dell’Interno e ha pronunciato la frase “per i clandestini la pacchia è finita” ha già detto qualcosa di falso: ha usato il termine “clandestino” a sproposito. Banalmente, chi è clandestino è sconosciuto e non pesa a livello economico allo stato italiano. Salvini però si riferisce ai richiedenti asilo, è questa la cosa grave. In quella frase, oltre che a raccontare una falsità, indirizza il suo intervento verso un problema che invece dev’essere affrontato: i richiedenti asilo devono essere verificati, le loro domande vagliate, e così via. La mia preoccupazione è che cambiamento di linguaggio possano innescare derive che sono oggettivamente pericolose.

Ieri il segretario di stato per le migrazioni del Belgio Theo Francken ha detto che “dovremmo cercare di aggirare” la convenzione dei diritti umani e riprendere con i respingimenti in mare.

l tema dell’immigrazione è oggettivamente molto complesso, e c’è un tentativo di semplificarlo. Bisogna affrontarlo agendo su più tasti. A cominciare dai paesi d’origine, in cui dovremmo modificare come Ue il nostro approccio perché le risorse che destiniamo possono avere ricadute positive su tutta la popolazione e non su pochi. Bisogna agire sul piano della politica estera europea perché se continuano a partire conflitti hai voglia che ci siano immigrati — la gente scappa. C’è un altro tema, di cui c’è una paura maledetta a parlare: la migrazione climatica. Facciamo solo l’esempio del Guatemala: sotto quel vulcano lì non credo che costruiranno un altro paese. Il problema si pone complessivamente coi fenomeni che stanno avvenendo.

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Dobbiamo chiudere quei centri di detenzione, penso ad esempio alla Libia, dove i migranti sono in condizione disumane; dobbiamo rendere possibile il processo di stabilizzazione di alcuni paesi come la Libia per evitare che gli immigrati diventino carne da macello e vengano giocati strumentalmente per la politica interna di quel paese; dobbiamo attuare una politica comune sull’immigrazione a livello europeo che però — ahimè — manca e rischia di mancare definitivamente se prevalgono certe logiche. Bisogna far comprendere all’opinione pubblica che non si può rispondere “ognuno a casa propria” a un problema di questa natura, di grande serietà.

foto cc Wikimedia Commons
foto cc Wikimedia Commons

In questi anni la sinistra italiana ed europea ha inseguito la destra su questi temi nel cercare di far la voce grossa a sua volta per togliere terreno alla destra, vedi Minniti. Secondo lei ci si è resi conto che è una strategia suicida?

L’errore principale — mi ci metto anche io — è stato non aver compreso la complessità del tema e non aver provato a narrare un’altra storia. Provato. E quando perdi la voglia di narrare un’altra storia purtroppo ti imbevi di altra cultura: quando goccia per goccia ti viene instillata, quell’altra cultura, provi a mettere in campo politiche che non appartengono alla tua e rischi di pappagallare gli altri. E però — anche qui, non scopro l’acqua calda — poi la gente sceglie l’originale, non la fotocopia. Il tema principale è che c’è una sorta di timore a ingaggiare una battaglia culturale per narrare diversamente le cose. E la mia preoccupazione è che si rischi di perdere forza a narrare. Ho paura del silenzio, non so se è chiaro.

Kickl, ministro dell’Interno austriaco, ha detto che l’Austria, durante il proprio semestre di presidenza, proporrà una rivoluzione copernicana sull’accoglienza. Cosa può intendere, quale può essere lo scopo della destra europea oggi?

Francamente non sono in grado di dirlo, quella di Kickl è una semplice affermazione. Non vorrei che invece che copernicana la rivoluzione fosse tolemaica — dire che è il sole che gira intorno alla terra e non viceversa. Dobbiamo semplicemente attendere, perché a giugno inizia il semestre di presidenza austriaco. Dubito però che possa affrontare seriamente un tema che invece ha caratteri di profondità e di urgenza.

Dunque non c’è il rischio che ci sia un avvitamento veloce verso misure drastiche, come la chiusura delle frontiere?

L’avvitamento veloce è già nei fatti per la verità. Continuo a ribadire un concetto che spero ormai sia chiaro a tutti: questi governi che si stanno affermando, ultimo quello italiano, stanno spostando decisamente il baricentro politico in Europa e si stanno ponendo con forza un modello di conquista della leadership europea, basata su due elementi che considero per loro ideologicamente molto importanti: il primo è quello di un sovranismo europeo, inteso con l’Europa come fortezza, inespugnabile per gli immigrati, l’altro è un cemento basato sulla cristianità, sul rifiuto — ricordiamo le frasi ricorrenti sul pericolo dell’“islamizzazione” dell’Europa. Questo processo è chiaro che porta con sé anche molti rischi di un salto di qualità negativo della trattazione del tema immigrazione.


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