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New York 52 è il viaggio di Bianca Giacobone attraverso la New York multiculturale del ventunesimo secolo: una collezione di momenti cittadini, una piccola guida turistica, il tentativo di andare oltre la superficie, un quadro incompleto ma coinvolgente della metropoli più famosa del mondo.

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I rooftop bar si annidano in cima ai grattacieli, e per il prezzo non indifferente di un cocktail ti offrono la soluzione al dilemma dell’altezza, offrendoti l’altezza stessa.

La prima volta che venni a New York avevo dieci anni, e all’inizio rimasi delusa. Dov’erano i grattacieli? Dov’era la skyline promessa da tutti i film e da tutte le fotografie che avevo visto, e che avevano composto nella mia mente il collage aereo e scintillante di una città da sogno? C’erano solo strade piene di gente e palazzi alti, che messi tutti insieme sembravano ai miei occhi di bambina molto più piccoli di quello che avrebbero dovuto essere.

La cima dei grattacieli non si vedeva mai, e le rassicurazioni di mio padre sull’incredibile altezza di tutte quelle torri mi lasciavano vagamente scettica. Era più alto quel palazzo, o l’edificio della nonna in piazza Tricolore a Milano, chiedevo diffidente, e i vertiginosi numeri dei piani negli ascensori rimanevano quello che erano, numeri.

new york 52Forse se mi avessero portato in cima all’Empire State Building a vedere il dispiegarsi di Manhattan sotto di me avrei capito meglio dove mi trovavo, ma più probabilmente avremmo solo condiviso un episodio familiare di vertigine e insofferenza alle frotte di turisti. Lasciai New York con la sensazione di aver trascorso una settimana in uno spazio incomprensibile (e molto freddo, era gennaio).

New York non è una città per bambini, è vero. Ma anche da adulta l’estensione verticale di Manhattan rimane un dilemma che faccio fatica a comprendere. Quanto è il alto il cinquantesimo piano di un grattacielo? E come posso quantificarlo, io, che vivo nella bassa Brooklyn, e al cinquantesimo piano di un grattacielo non ci sono mai andata?

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Se vivi a New York nella maggior parte dei casi vivi in basso, nelle strade, e per una considerevole quantità di tempo sotto le strade, nella metropolitana. I primi giorni a camminare per Manhattan sforzi il collo all’indietro, allungando l’occhio verso le cime irraggiungibili dei palazzi, e cerchi di comprendere la dimensione, l’altezza. Poi succede che devi andare da qualche parte, che hai degli impegni, che ti viene il torcicollo e non c’è più tempo di stare con il naso per aria a guardare i piani alti. Ti dimentichi della meravigliosa skyline perché non la vedi mai, e la New York che vivi si distingue nella tua mente dalla favolosa fotografia di Manhattan dall’alto, con tutte le sue punte.

Quando arrivo dall’Italia mi piace andare sulla riva del fiume a Brooklyn e guardare Manhattan tutta insieme, perché altrimenti il mio subconscio è rallentato, e non capisce davvero dove sono, a New York, la città della mitologia contemporanea. Lo skyline da Brooklyn è bellissimo, e aiuta a mettere in prospettiva, soprattutto se si ha la fortuna di ammirarlo dal tetto di qualche casa, magari al tramonto, quando sembra un gioiello di luci e riflessi. Ma l’altezza di quello skyline rimane lo stesso difficile da comprendere, perché Manhattan è lontana, e i grattacieli appaiono piccolini.

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Poi succede che una notte decidi di seguire i tuoi doveri giornalistici autoimposti e vai a bere in uno di quei rooftop bar di cui si legge spesso online, di cui qualcuno ti parla ogni tanto, e poi ti dimentichi e non ci vai mai, che comunque uscire a bere nel tuo quartiere è più economico. I rooftop bar si annidano in cima ai grattacieli, e per il prezzo non indifferente di un cocktail ti offrono la soluzione al dilemma dell’altezza, offrendoti l’altezza stessa, da dentro Manhattan, e le finestre per guardarla (con rilassante musica jazz e divanetti di velluto rosso, o musica elettronica e folle da sabato sera annesse, a seconda dei gusti). Indipendentemente da dove vai, la vista della parte superiore e sconosciuta di New York che si apre all’improvviso dopo un vertiginoso viaggio in ascensore è un’epifania, tutta luci, e punte, e scorci di case altrui, e le avenue perfettamente verticali, dall’alto così lunghe, con i taxi gialli in dimensione di un giocattolo. È la risposta a quel che di incomprensibile che ti rimane addosso quando stai con il naso per aria, da terra, allungando l’occhio verso l’alto. È la visione aerea, l’idea della città. E anche se poi svanisce in fretta, quando si scende e si torna sottoterra a prendere la metropolitana, in quel momento davvero c’è la possibilità di meraviglia, e di realizzazione, e si può dire: wow, sono a New York.

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Rooftop bar dove l’autrice ha sperimentato l’epifania della città, non necessariamente il migliore o il più aereo (tenere a mente che l’autrice soffre di vertigini):

Ophelia Rooftop Lounge, che si dice fosse frequentato da Frank Sinatra nei tempi andati, e sta in cima alla Beekman Tower. — 3 Mitchell Place, New York, NY, 10017.  Per il modico (?!) prezzo di 18 dollari si può ordinare un buon Martini cocktail, preparato con Hendrick’s gin e servito con 3 grasse olive. Per il non modico prezzo di 27 dollari si può ordinare il Martini speciale della casa “Beekman’s Classic Martini”, che sono sicura sia buonissimo, ma non lo so perché non l’ho voluto pagare.

Rooftop bar a Greenpoint, Brooklyn, da dove vedere Manhattan da lontano nella sua scintillante interezza, e che l’autrice ha abbandonato quasi immediatamente dopo essere uscita dall’ascensore per sovraffollamento da venerdì sera:

Westlight, il cui edificio è oggettivamente piuttosto brutto, ma una volta che ci si sta sopra non lo si vede. — 111 N 12th St, Brooklyn, NY 11249 22nd Floor.