“Un’invasione organizzata, voluta e finanziata in questi anni, porta allo scontro sociale.” Debunking di un’ordinaria dichiarazione di Matteo Salvini.
Subito dopo la tentata strage di Macerata, Matteo Salvini ha sostanzialmente giustificato l’azione di Luca Traini — neofascista e candidato con la Lega Nord a Corridonia nel 2017 — affermando: “È chiaro ed evidente che un’immigrazione fuori controllo, un’invasione come quella organizzata, voluta e finanziata in questi anni, porta allo scontro sociale.”
A parte la scarsa opportunità del momento, questa frase è tutta sbagliata. Dato che rinfocola la stessa retorica portata avanti dalla Lega Nord — e dai suoi alleati — negli ultimi anni, la stessa su cui Luca Traini ha basato i suoi intenti omicidi, vale la pena analizzarla e smontarla pezzo per pezzo.
La violenza non è mai la soluzione, la violenza è sempre da condannare.
E chi sbaglia, deve pagare.
L’immigrazione fuori controllo porta al caos, alla rabbia, allo scontro sociale.
L’immigrazione fuori controllo porta spaccio di droga, furti, rapine e violenza.#Macerata pic.twitter.com/zWDicTNEp6— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) February 3, 2018
Immigrazione fuori controllo
Luca Traini si sarebbe mosso per “vendicare” l’uccisione di Pamela Mastropietro, diciottenne romana scappata dalla comunità terapeutica per tossicodipendenti di Corridonia. Il presunto assassino, che si trova tutt’ora in carcere, è Innocent Oseghale, un nigeriano di 29 anni, spacciatore, richiedente asilo con permesso di soggiorno scaduto. Ma è sbagliato e pericoloso suggerire, come ha fatto il Ministro dell’Interno Minniti, che una sparatoria indiscriminata a danno di persone di colore abbia qualcosa a che fare con il “farsi giustizia da soli.” Significa suggerire che gli altri richiedenti asilo, per una sorta di proprietà transitiva (evidentemente veicolata dalla provenienza geografica), siano colpevoli dei crimini commessi da un singolo individuo.
I richiedenti asilo sono i veri protagonisti della propaganda anti-immigrazione di questi ultimi anni. La domanda che dobbiamo porci è: siamo davvero “invasi” da richiedenti asilo e rifugiati politici, come affermano non soltanto Salvini e i suoi, ma anche gli editorialisti in prima pagina sul Corriere della Sera?
C’è una distanza enorme tra il discorso politico sull’immigrazione e l’asilo, e la dimensione reale dei fatti. “La maggior parte degli italiani, insieme ai media e agli stessi decisori politici, identificano l’immigrazione con gli sbarchi sulle coste meridionali. Sono convinti che il nostro paese stia facendo fronte con crescente affanno a un’imprevista e immane ondata di immigrazione. Faticano a distinguere sbarcati, richiedenti asilo e immigrati.” Spiega così, nel libro Non passa lo straniero, il professore Maurizio Ambrosini, uno dei massimi esperti di immigrazione in Italia.
Ripetiamo: l’86% dei rifugiati (65,3 milioni nel 2015) è accolto in paesi del cosiddetto Terzo mondo. Dodici anni fa era il 70%. L’Unione europea ne accoglie meno del 10% del totale. Meno del 10%. I paesi più coinvolti nell’accoglienza sono Turchia (2,5 milioni), Pakistan (1,6 milioni) e Libano (1,1 milioni.) Seguono: Iran (980.000), Etiopia (736.000), Giordania (664.000).
Per capirci, in rapporto agli abitanti, il Libano ospita 183 richiedenti asilo per 1.000 abitanti; l’Italia circa 3.
Nel rapporto annuale dell’UNHCR, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, si legge: “I primi mesi del 2016 sono stati caratterizzati da arrivi imponenti; confrontando i numeri con quelli del 2015, però, si nota che non è possibile stabilire un trend di aumento. […] Il totale degli arrivi di maggio si mantiene al di sotto di quelli del maggio 2015 (18.788 persone contro 21.235).” Nel 2017, al prezzo dell’esternalizzazione della frontiera italiana in Libia, della criminalizzazione delle operazioni di soccorso delle Ong nel Mediterraneo, e della permanenza di un maggior numero di persone nei centri di detenzione libici, gli sbarchi sono ulteriormente calati nel 2017. La risposta quindi è no, non siamo invasi.
Un’invasione organizzata, voluta e finanziata in questi anni
Appurato che non ci sia alcuna invasione, almeno non nella nostra Penisola, andiamo avanti con la nostra analisi. Chi sono i colpevoli delle migrazioni internazionali? La risposta è ovvia: le condizioni invivibili nei paesi di provenienza, e quindi, in primis, le guerre. Ogni crisi internazionale produce richiedenti asilo. “La cruenta geopolitica contemporanea sta producendo milioni di rifugiati, con un epicentro che oggi si trova in Siria (3,88 milioni di persone coinvolte), ma arriva all’Afghanistan passando per l’Iraq e allargandosi ai conflitti africani dimenticati,” continua Ambrosini.
Negli ultimi cinque anni nel mondo sono scoppiati o sono riesplosi quindici conflitti, di cui otto in Africa. Sempre secondo i dati richiamati prima, i principali paesi di origine dei richiedenti asilo in Italia sono: Nigeria (21%), Eritrea (11%), Guinea (7%).
La maggior parte dei richiedenti asilo nel mondo cerca rifugio in altre regioni del proprio paese (40 milioni su 65) o nelle immediate vicinanze. Infatti, come regola, i profughi fanno poca strada. Secondo la Convenzione di Dublino, i rifugiati hanno l’obbligo di presentare domanda di richiesta asilo nel primo paese riconosciuto come “sicuro”. L’Italia è passata dall’essere un paese storicamente riconosciuto di “transito”, a un paese di accoglienza. I profughi hanno da sempre attraversato l’Italia nella speranza di raggiungere gli stati del Nord Europa, e dove hanno parenti e amici da raggiungere.
Ovviamente in questo passaggio l’Italia si è trovata impreparata, spesso da sola e incapace di affrontare adeguatamente il problema. Sempre il professore Ambrosini spiega:
“L’Italia salva in mare i profughi, ma poi li lascia transitare sul suo territorio, consentendo che vadano a chiedere asilo al di là delle Alpi. Gran parte degli interessati per la verità non chiede di meglio. I paesi non affacciati sul Mediterraneo, come la Germania, hanno ricevuto nel 2014 202 mila domande di asilo, il 32% del totale europeo, mentre la Svezia ne ha registrate 81 mila, pari al 13%, dunque più dell’Italia. Questa è la motivazione che invocano i governi transalpini per rifiutare di collaborare con l’Italia nei salvataggi in mare. Le regole di Dublino e la gelosa gestione nazionale dei temi dell’immigrazione e dell’asilo generano politiche letteralmente disumane.”
Il diritto di asilo è sancito dalla conferenza di Ginevra. Non è un regalo da donare alle persone che riescono a convincersi di essere delle vittime “vere,” non è un favore che facciamo, è un diritto e di conseguenza un dovere. Le persone che arrivano sulle nostre coste sono persone che non hanno altra scelta, come lo erano i migranti italiani verso le Americhe un secolo fa. Se bisogna trovare un colpevole, bisogna cercarlo nelle norme nazionali ed europee, che non si sono impegnate ad adottare una soluzione realistica, umana, che risponda agli obblighi del diritto internazionale e che prenda in causa tutti i paesi.
Lo scontro sociale
Le tendenze principali riguardo l’immigrazione sono di tipo restrittive, puntano alla chiusura delle frontiere e soprattutto alla definizione della mobilità non autorizzata come una minaccia per la sicurezza nazionale. A questo proposito i sociologi Schiller e Salazar parlano di “regimi di mobilità,” e soprattutto di stratificazione del diritto alla mobilità.
Gli stati favoriscono la mobilità di alcuni e vietano la mobilità di altri. Per uomini d’affari, manager, professionisti, artisti, turisti, studenti (tutti “highly skilled”) la mobilità non solo è tollerata ma addirittura incentivata. Rappresenta un’occasione per innalzare la propria posizione, fa raggiungere i gradi alti della stratificazione sociale. Quando invece si parla di “labour migrants,” lavoratori debolmente qualificati, la mobilità viene ristretta, non si parla più nemmeno di mobilità ma di immigrazione.
Oggi è la mobilità il fattore più importante nella determinazione della posizione degli individui nella gerarchia della disuguaglianze sociale, e per questo infatti si parla di “mobility turn.” La ricchezza sbianca molti immigrati (che non vengono mai etichettati con questo termine) come calciatori, sportivi, attori o artisti e risiedono tranquillamente nei paesi ospitanti.
È inesatto parlare di immigrati irregolari, ancora peggio di clandestini. Nessun essere umano può essere definito irregolare — al massimo può trovarsi in una condizione irregolare in relazione alle leggi del paese in cui vorrebbe entrare. L’immigrazione irregolare non è un dato di natura, è una condizione politica, una questione che nasce dall’interazione tra alcune forme di mobilità e i sistemi normativi dei paesi riceventi.
Ma innescare la paura, indicare un colpevole nello straniero, è la cosa più facile, non prevede costi eccessivi e ha un grande impatto sull’opinione pubblica. I governi, infatti, incapaci di controllare gli effetti della globalizzazione economica cercano di riaffermare la propria sovranità e legittimità di fronte ai cittadini (elettori) rafforzando i controlli non sulla mobilità in generale, ma sull’immigrazione di individui etichettati come poveri, minacciosi e bisognosi.
Lo scontro sociale, quindi, non è causato dall’immigrazione, ma di chi sistematicamente la fa percepire come un fattore di pericolo, instillando odio, disprezzo e ricerca di un capro espiatorio per tutte le cose che non vanno bene o non abbiamo voglia di sistemare o ci annoiamo di capire. Con il paradosso, già spesso sottolineato, che l’immigrazione — regolare e irregolare — è una componente indispensabile nell’economia del nostro paese. Basti pensare al numero elevatissimo di assistenti domestiche (che raramente vengono definite come “clandestine” — è curioso che questo termine venga usato esclusivamente nell’accezione maschile) che colmano le grandi lacune nel sistema assistenziale italiano, ai braccianti richiesti nelle coltivazioni del Sud Italia, spesso costretti a vivere in tendopoli con scarse o nulle condizioni di sicurezza.
Eppure, la retorica dell’invasione e l’affermazione del “pericolo sociale” costituito dall’immigrazione continua ad essere sbandierata tutti i giorni, nel dibattito politico così come nei discorsi spiccioli di chi dichiara di non essere razzista, “ma.” Questo mix di ipocrisia, ignoranza e propaganda politica ha generato mostri, e ha armato la mano di Luca Traini.
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