La guerra commerciale è appena iniziata

Con dazi reciproci altissimi, Washington e Pechino devono cercare altri strumenti per fare pressione contro il proprio avversario. Tra le altre notizie: il report annuale sulla comunità rom in Italia, continuano a diminuire gli arrivi di migranti in Europa, e un’email compromettente di Zuckerberg

La guerra commerciale è appena iniziata
2019. Xi in visita a uno stabilimento di terre rare a Ganzhou. Foto: Xinhua

Durante il primo trimestre del 2025 il PIL cinese è cresciuto del 5,4%, battendo le previsioni, in uno slancio che ora inevitabilmente andrà a scontrarsi con le difficoltà causate dalla guerra commerciale lanciata dall’amministrazione Trump. L’economia cinese è fortemente dipendente dalle esportazioni, e i dati di questo trimestre possono essere stati in parte drogati proprio dai dazi: moltissime aziende in tutto il mondo hanno anticipato i propri ordini per evitare di incappare nelle nuove tasse statunitensi. Nel contesto del clima di guerra commerciale, l’Istituto nazionale di statistica della Cina sottolinea che le prospettive di crescita del paese — almeno quelle di lungo periodo — restano inalterate nonostante le ovvie difficoltà immanenti. Sul China Daily è stato pubblicato un editoriale durissimo contro Washington, in cui si chiede alla Casa bianca di “smettere di piagnucolare” presentandosi come una vittima nel contesto del commercio globale: “Gli Stati Uniti non si stanno facendo fregare da nessuno. Il problema è che gli Stati Uniti vivono da decenni al di sopra delle proprie possibilità. Consumano più di quanto producono. Hanno esternalizzato la produzione e preso in prestito denaro per avere un tenore di vita più alto di quello a cui avrebbero diritto in base alla loro produttività. Altro che essere ‘truffati,’ gli Stati Uniti hanno fatto un giro a sbafo sul treno della globalizzazione.” (Reuters / Xinhua / China Daily)

Con i dazi già così alti, inevitabilmente sia Washington che Pechino ora cercheranno altri strumenti per continuare ad applicare reciprocamente pressione. Diverse voci nel partito repubblicano, e in prima fila il senatore Rick Scott, hanno in mente la possibilità di espellere le società cinesi dalla borsa statunitense. Non è chiaro quanto l’amministrazione statunitense stia prendendo seriamente in considerazione la cosa, ma il segretario al Tesoro Bessent la settimana scorsa ha lasciato apertamente la possibilità sul tavolo. Pechino, nel frattempo, potrebbe contrattaccare con misure sulle terre rare, un ambito di vitale importanza strategica su cui la Cina ha una posizione dominante, e nell’ambito del quale gli Stati Uniti non avrebbero praticamente nessuna possibilità di risposta. La Cina si intesta il 61% dell’estrazione di terre rare al mondo, ma ha il controllo del 92% della produzione finale globale. Martedì Trump ha ordinato l’avvio di un’indagine sulle terre rare, per valutare l’impatto sull’economia statunitense di questi import. Nel testo dell’ordine la stessa Casa bianca scrive che si tratta di una “vulnerabilità,” con “possibili rischi alla sicurezza nazionale.” (Sito di Rick Scott / POLITICO / CNN / Casa bianca)