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I Coma Cose sono Fausto Zanardelli e California. Venerdì scorso hanno pubblicato il loro primo ep dal titolo “Inverno Ticinese”. Da milanesi non potevamo ignorare una delle proposte rap più fresche dell’anno così ci siamo dati appuntamento per un brunch al Madama Bistrot. Abbiamo parlato dei loro pezzi, delle influenze musicali e ci siamo chiesti se abbia ancora senso nel 2017 produrre un album tradizionale.

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Dopo l’ultimo concerto di Edipo mi avevi anticipato che avresti voluto cambiare completamente genere. Mi ricordo che dicesti  – voglio fare una roba tipo Battiato, senza neanche comparire sul palco. Alla fine sul palco ci sei, non sei solo e sono cambiate un bel po’ di cose. Cos’è successo in questi due anni?

F Sicuramente verso la fine del tour di “Preistorie di tutti i giorni” è maturata un’idea di cambiamento. Sentivo la necessità di fare una cosa diversa, avevo capito di essere arrivato ad un giro di boa, o meglio, sentivo di aver detto tutto con il vestito “Edipo”. Poi, in realtà, io faccio musica da prima di Edipo, anni fa avevo un gruppo che faceva psichedelia inglese, quindi il cambiamento posso dire che è nel mio modo di vivere la musica. In quel momento avevo voglia di stare un pochino più indietro, di creare qualcosa in cui mi sentissi maggiormente a mio agio e potessi divertirmi con più libertà, quindi mi sono preso del tempo per ripartire e in quel periodo ho conosciuto California. Da lì tutto è nato in modo naturale. Le facevo sentire i miei provini, vedevo che tra di noi c’era una bella sintonia così ci sono stati i primi esperimenti in casa, provando a canticchiare e più avanti a registrare qualcosa insieme. Piano piano il tutto ha preso rotondità ed è diventato Coma Cose.

Nei vostri pezzi Milano è centrale. Ricorrono i luoghi e i quartieri: le case di ringhiera, Lorenteggio, Giambellino, le colonne, Ventiquattro Maggio, i navigli, Vuccirìa. Mi date l’idea di vivere molto la città.

C Milano la viviamo normalmente, come due persone che ci vivono e ci lavorano.

Non siamo due persone che escono tutte le sere a fare serata. Viviamo molto la nostra zona, il quartiere. Sicuramente però, le sere che usciamo, cerchiamo di vivere il più intensamente possibile, quindi ci piace poi raccontare quello che ci succede in giro.

F È vero, noi siamo molto didascalici nei testi, però in realtà i posti di cui parliamo sono spesso dei luoghi aperti. Non sono locali, posti chiusi, situazioni specifiche quindi che si chiami Lorenteggio o via tal dei tali, che può essere una via o un quartiere di una qualsiasi città, secondo me non ha troppa importanza.

Ad esempio la zona dei navigli secondo me è rappresentata piuttosto fedelmente nei vostri pezzi.

F Beh si perché ci abbiamo vissuto per un anno. Cioè io mi svegliavo proprio con il rumore degli spazzini che pulivano le bottiglie. Sono zone che tutti i milanesi vivono per via dei locali. Ma, per dire, anche uno di Roma che viene in vacanza o per lavoro a Milano sicuramente finisce per trovarcisi. Quindi l’essere molto “geografici”, penso che possa avere appeal anche per uno che non è di Milano.

A proposito di Roma. Quando in Deserto dite: “e intanto mezza Winston se la fuma il vento, c’è un polentino polentone in centro” mi ricordate Carl Brave x Franco126. Anche loro sono dei grandi narratori urbani.

C È vero, quella frase in particolare è praticamente un assist Roma-Milano. Loro raccontano la quotidianità in modo vivido e con tanti riferimenti. Forse questa è la rivoluzione che è in atto in questo momento. Anche se questo modo di scrivere c’è sempre stato magari adesso c’è più attenzione perchè, forse, la musica più cosmica che ha dominato per tanti anni i palinsesti radiofonici o che comunque ha fatto i grandi numeri è arrivata un po’ alla frutta. La gente probabilmente ha bisogno di immagini più a fuoco, che sente più vicine. Sai, nei nostri ascolti, fin dall’infanzia, c’è tanto cantautorato. Quindi, nel momento in cui lo sposi con un linguaggio urbano, il fatto che questa cosa diventi molto poetica è inevitabile, succede senza neanche volerlo. Non è per menarcela e voler fare i poeti. In Deserto dico “il mio artista rap preferito è De Gregori” ed è vero. Secondo noi De Gregori o Guccini o De’ Andrè, per come scrivono, ma proprio a livello metrico, sono dei grandissimi rapper.

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Vale anche il contrario? Un rapper può essere considerato un cantautore?

F Il cantautore racconta ciò che lo circonda, lo mette in musica e dà anche una visione sua, personale, di critica sociale. L’hip hop è nato per fare questo. Il rap è il linguaggio dell’hip hop quindi è tutto collegato. Certo è che se usi il rap per parlare di altro, allora non si può più parlare di cantautorato. Il rap è semplicemente un mezzo, non un fine. L’hip hop invece è un fine.

Voi a cosa vi ispirate nella scrittura dei pezzi?

F Per quanto riguarda i testi direi veramente alla vita di tutti i giorni, alla quotidianità.

Dal punto di vista musicale, invece, dobbiamo sicuramente ringraziare i nostri produttori, i Mamakass. Sono sempre perfettamente sintonizzati con noi sul portare le nostre canzoni ad avere una tridimensionalità perfetta, cucita addosso a noi due. Da questo punto di vista c’è anche molta ricerca. Anima Lattina, ad esempio, è stata una cosa che è arrivata una mattina mentre cazzeggiavamo. La sera prima avevamo ascoltato Battisti così ci siamo chiesti – potrebbe esistere Battisti con i Coma Cose? È stata una scommessa, se vuoi. In una giornata abbiamo scritto la canzone e, in generale, abbiamo capito che in realtà stiamo trovando una formula molto personale che si può sposare con tanti generi senza venire travisata. Quindi sulle sonorità ci ispiriamo veramente a qualsiasi cosa. Magari, che ne so, il prossimo brano avrà delle sonorità andine, giusto per citare la canzone “Il cucciolo Alfredo” di Dalla.

Tornando all’ep uscito venerdì, Inverno Ticinese. Questi tre brani mi sembra abbiano un suono abbastanza diverso dai singoli dei mesi scorsi.

C Diciamo che in questo caso volevamo fare un viaggio sonoro più compatto.

L’idea iniziale era quella di fare una canzone sola ma non ci stava tutto in un brano così ne abbiamo fatti tre. L’ep è compatto proprio perché la scrittura è stata fatta per una canzone sola. Poi è stato distribuito il tutto equilibrandolo per tre brani. In realtà, se ci fai caso, fin dal primo nostro brano, ogni pezzo è sempre stato diverso come suono dal precedente. Il fatto che con l’ep la differenza risulti più evidente è perché qui ci sono tre brani. Noi comunque ci approcciamo ad ogni cosa che facciamo sulla corta distanza, cercando di mettere a fuoco un qualcosa di specifico. In questo senso si può dire che “Inverno Ticinese” sia stata la fotografia di quello che vogliamo fare in questo momento.

Finora avete pubblicato quattro singoli e un ep. Secondo voi ha ancora senso, nel 2017, produrre un album di 10/15 canzoni?

F Sì, però un disco va fatto quando è maturo il rapporto artista-pubblico. Quindi secondo me ha ancora senso ed è figo, però l’album deve essere un concept e non una raccolta. E deve esserci anche una giusta sintonia tra pubblico e artista perchè se no, magari, si corre il rischio di fare un disco che non ha visibilità.

Nel nostro caso, anche solo con le quattro canzoni pubblicate fino a quest’estate, c’è stato tanto affetto, una bella risposta dal pubblico che ci ha fatto pensare – facciamo un disco? In realtà, onestamente, non abbiamo ancora le energie per farlo. Perchè secondo me un disco è un viaggio importante e noi, per il momento, non ci sentiamo ancora pronti. Adesso non avrebbe senso perché non abbiamo canzoni e sarebbe solo una scelta forzata.

C Però sicuramente in futuro c’è un disco in programma. Non sappiamo ancora quando ma arriverà.

In Golgota c’è una bella critica alla (nuova) scena rap che definite poco originale e un bel po’ ipocrita. Di questa scena c’è qualcuno che vi piace?

F A me in questo momento piacciono un sacco Lazza e Danifaiv. Ecco in Danifaiv mi ci rivedo proprio, sono io dieci anni fa. Lui e Lazza sono quelli che mi piacciono di più, sono dei mostri, a livello tecnico sono dei rapper pazzeschi. Lazza è anche un ottimo musicista, Danifaiv forse deve mettere un attimo a fuoco i contenuti però ripeto, sono due giovani rapper purosangue che mi piacciono un sacco.

C  Io dico Samuel Heron.

 

Non siete i soli a pensare che i generi musicali siano ormai superati, anche Coez la pensa come voi. Nella vostra bio, alla voce “genere” leggo però attitudine urbana. Cosa intendete?

F In realtà è una definizione per spiegare una musica che altrimenti non sappiamo come spiegare. (ridono) Diciamo che è un modo per descrivere un genere che anche noi non sappiamo dove sta andando. Sicuramente abbiamo due certezze: siamo a Milano e nel nostro dna c’è il rap. Quello che succede dopo invece chi lo sa?