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Il 31 marzo è uscito per Com Era Records Mia Maestà, il nuovo album di Bassi Maestro.

Più di vent’anni di carriera alle spalle, un nuovo disco ricco di collaborazioni, l’obbligo di confrontarsi con una scena rap giovanissima e agguerrita — da milanesi non potevamo non fare quattro chiacchiere con uno dei protagonisti di sempre del rap italiano.

Ciao Bassi, come stai?

Bene, mi sembra.

Il tuo nuovo album si chiama Mia Maestà. C’è qualcosa che hai sperimentato o fatto per la prima volta in questo disco?

Ho provato cosa significa rimettersi in gioco dopo un po’ di mesi di silenzio, considera che arrivo da vent’anni di produzione musicale dove non mi sono mai fermato un attimo, spesso buttando fuori due dischi in un anno!

Il luogo comune vede il rap come un genere per giovanissimi. Il tuo album dimostra invece che la vecchia guardia continua ad avere tante cose da dire e le dice molto bene. A cosa ti sei ispirato nella scrittura di questo disco?

[Ride] Ai giovanissimi, in parte sembra una battuta ma è vero. Ho cercato di mettere in rima il mio punto di vista con un approccio che sicuramente è più attuale rispetto al tipo di delivery che potevo avere qualche anno fa. Ci sono dei pezzi decisamente “alla vecchia” come Ancora in giro o Un’altra specie, li vedo un po’ come un punto di passaggio tra il suono dei ‘90 e quello influenzato dall’attitudine odierna, muovendomi sempre chiaramente nel mio mondo musicale che prevalentemente è fatto di samples.

Dedichi due skit all’argomento social, da cosa nasce la critica verso quel mondo?

Sono convinto che quella dell’immersione nei social sia purtroppo una strada senza ritorno, tutti ne siamo condizionati a livello personale e professionale. La cosa mi terrorizza soprattutto pensando a quello che sarà delle generazioni che nascono ora, in balia di questo essere per apparire, per dire, per mostrare. Mi viene in mente Black Mirror. Insomma ne ho fatto dell’ironia perché sarà curioso tra poco tempo vederli come dei siparietti molto datati e ricordarci di questo periodo storico.

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In questo senso, c’è qualcosa che sotto sotto “invidi” alle nuove generazioni iperconnesse?

No davvero. Ora è molto più semplice arrivare, ma contemporaneamente l’offerta è centuplicata, per cui emergere è un’impresa epica, una volta i numeri erano bassissimi ma essendo in pochi il confronto era diretto, non c’erano i commenti sotto i video, la gente veniva a dirti le cose in faccia. È per questo che adoro la dimensione live, incontrare le persone e guardarle mentre canto o mentre firmo un cd.

I tuoi album mi sono sempre sembrati orgogliosamente aderenti alla cultura hip hop classica. Penso a Dedicated (Hate è uno dei tuoi album a cui sono più affezionato) ma anche a Fottuto O.G., la quinta traccia di Mia Maestà. A me sembra che questo attaccamento alla tradizione, se così si può chiamare, in generale si stia un po’ perdendo nelle nuove generazioni di rapper. Tu cosa ne pensi?

Sicuramente, ma abbiamo guadagnato una serenità che prima non c’era, una capacità di relazionarsi con altri generi musicali senza paura di dover tradire un pubblico o una setta, cosa in cui si era trasformato l’hip hop degli anni ‘90 per noi europei, paladini di noi stessi e difensori a spada tratta di una cultura non nostra. Questo non lo rimpiango, anzi.

Ho trovato molto belle le tue due produzioni contenute nel nuovo album di Fabri Fibra, con il quale hai collaborato anche in Non muovono il collo. Money For Dope la trovo letteralmente magica, la ascolterei in loop per ore. Come ti trovi a lavorare con lui? La sensazione è che, al di là del dato anagrafico, abbiate molte cose in comune.

Con Fabri ci siamo ritrovati dopo anni che non lavoravamo assieme, probabilmente nulla è un caso. Money For Dope è un beat a cui tengo molto, il pezzo è molto serio e il fatto che il sample sia di Luttazzi chiude il cerchio. Con Fibra ci si intende subito, arriviamo dallo stesso periodo e condividiamo molte passioni comuni, non ultima quella della musica, vecchia e nuova, da cui ci facciamo continuamente ispirare.

In Metà rapper metà uomo dici “nel ’97 pensavo che un rolex e una lex fossero importanti”. In questi vent’anni le tue priorità evidentemente sono cambiate. Cos’è importante per te oggi? Cosa ti manca degli anni ‘90?

Per me oggi la priorità è la famiglia, e non farmi mancare nulla di quello che davvero mi serve, tutto il resto è optional. Negli anni ‘90 da ragazzino vivevo quello status dell’apparire, delle macchine e delle collane, è una cosa che capisco benissimo, ma ora non mi interessa più anche se non la rinnego. Ora spendo i soldi solo in dischi. Oddio quello l’ho sempre fatto [ride].

Se dovessi individuare una costante nei tuoi pezzi penserei alla continua ricerca e selezione di samples. In questo senso il rap è una miniera di spunti musicali, anche verso altri generi (mi viene in mente l’ultimo album di Kanye West con il campione di Arthur Russell in 30 hours). Hai un genere di riferimento da cui prendi spunto per i campioni? Come selezioni un sample da usare in un brano? C’è un genere musicale per così dire ideale per i campionamenti?

Non credo, anche se amo il soul e il funk ho sempre campionato da qualsiasi fonte. In particolare negli ultimi anni cerco di essere il più originale possibile e trovare samples che nessuno ha mai usato, che nessuno può riconoscere. È il motivo per cui spesso sono in viaggio, cerco musica da usare, nessuno può competere a questo livello, sorry, mi impegno troppo!

Come hai scelto le collaborazioni per questo disco? I tuoi fan avranno sicuramente notato l’assenza di alcuni dei tuoi amici-collaboratori storici come Jack the Smoker o Dj Shocca.

Esatto, o anche Marcio per dirne un altro. Non volevo fare il solito disco, di dischi uguali ne ho già fatti troppi e avevo bisogno di confrontarmi con nuovi stimoli, da qui il motivo di collaborare con molti giovani talenti, con cui da un po’ volevamo fare qualcosa assieme. Era il momento giusto. Poi ovviamente le tematiche restano le mie, il modo di scrivere e di dire le cose anche.

Torniamo un attimo indietro. Ascoltando Guarda in cielo, il brano che dà il titolo al tuo penultimo album, ho realizzato per la prima volta che Zucchero ha reinterpretato Everybody’s Got To Learn Sometime dei Korgis (a proposito di spunti musicali). Gli artisti di oggi, in generale, sembrano particolarmente influenzati dalla musica di quegli anni. Pensi sia una moda passeggera o effettivamente quella è stata un’epoca d’oro dal punto di vista musicale?

Ognuno ha il suo periodo storico di riferimento, io sono cresciuto negli anni ‘80, dai quali ho assorbito moltissimo, la generazione dopo la mia nei ‘90. Adesso si torna ai primi 2000, 50 Cent torna di moda perché è la nuova old school, quella dei quindicenni di adesso, quindi aspettiamoci molti riferimenti e tributi a questo periodo. Zucchero tra l’altro è un copione, io manco la conoscevo la sua versione.

Cosa ti piace della nuova scena rap?

La freschezza e il modo nuovo di reinterpretare un genere, lontani dalle sue radici culturali ma in qualche modo legati.

Una volta i soldi non erano il punto di arrivo della carriera di un rapper? Oggi mi sembra siano più che altro un pretesto per parlare e scrivere rime.

I soldi sono sempre stati uno degli argomenti chiave del rap. Dall’inizio fino ad oggi, non è cambiato nulla. Ascolta Rakim, Gang Starr, B.I.G., 50 Cent, Bassi, chi non ha mai parlato di soldi? Semmai ora ci si siede molto e si cerca di fare quello che fanno tutti, spesso mancano i contenuti per mancanza di ispirazione.

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Cosa ne pensi di Ghali? Sono in molti a considerarlo la nuova promessa del rap italiano.

È molto in gamba, apprezzo soprattutto la sua scelta di essere indipendente al 100%, ha capito tutto, ha già vinto.

E della Dark Polo Gang? Te lo chiedo perché al momento sono forse i personaggi più discussi della scena rap italiana e io stesso non sono ancora riuscito a capirli fino in fondo.

Non li conosco, ho visto un paio di video ma onestamente non saprei, sono molto legati all’immagine più che alla musica. La musica è in secondo piano quindi mi interessano meno, ma questo è soggettivo. Per questo tutti ne parlano, sono bravissimi a far parlare di sé, il fatto che in ogni intervista me lo chiedono vuol dire che non sono lì per caso.

Parlando di nuove uscite, cosa ne pensi di DAMN., il nuovo album di Kendrick Lamar?

Guarda, lui mi sta sul cazzo ma il disco è molto figo. Deve un attimo smettere di credere di essere il capo del mondo, odio la sua attitudine finta umile.

Suggeriscici qualcosa da ascoltare, qualche artista da tenere d’occhio o andare a sentire nei prossimi mesi.

Non saprei, se non conoscete ancora i BadBadNotGood sono un ottimo connubio tra jazz e hip hop, è l’unico gruppo che mi viene in mente al momento.

Per concludere, com’è stata l’esperienza Downwithbassi? Per me quel programma è stato un po’ la Treccani del rap italiano, da ascoltatore ho cercato di assorbire e imparare il più possibile. Tornerà?

È un progetto per ora in stand by, mi piacerebbe in futuro riprenderlo in mano, ma per ora ci sono altri impegni e non si possono fare le cosa a metà. Spero a breve di avere modo di rimettere in piedi progetti legati al marchio DWB, grazie a tutti per il supporto! Ci si vede in giro!


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