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“Gli scienziati del clima devono accettare di essere in una rissa: dovranno prepararsi a un po’ di colpi bassi.”

Era il 17 novembre del 2009 quando lo scandalo “Climategate” investì in pieno l’Intergovernmental Panel on Climate Change e tutta la categoria di scienziati che si occupava di surriscaldamento globale.

Nel giro di qualche mese il falso scandalo fu definitivamente smontato e rivelato per quello che era: un attacco mediatico delle lobby del petrolio verso la scienza del cambiamento climatico.

La teoria del complotto però fu immediatamente rilanciata dalle principali testate di tutto il mondo e i ricercatori del clima furono calunniati per mesi.

A distanza di un anno, Nature, pubblicò un articolo durissimo in cui condannava non tanto gli artefici della bufala, quanto l’ingenuità delle vittime: climatologi e fisici dell’atmosfera, che non avevano realizzato l’ambiente ostile creatosi contro di loro.

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La critica di Nature esortava gli accademici ad aprire gli occhi.

Era ormai chiaro che la scienza del clima si trovava al centro di interessi commerciali enormi, sufficienti per far scattare una vera e propria guerra mediatica.

“Climate scientists have to accept that they are in a street fight. They should expect a few low blows.” (Closing the Climategate, Nature, 2010)

“Gli scienziati del clima devono accettare di essere in una rissa: dovranno prepararsi a un po’ di colpi bassi.”

Oggi più che mai possiamo constatare come le previsioni di Nature fossero corrette. Il negazionismo climatico è una parte fondamentale, insieme ad altre tendenze retrograde, del programma politico di Donald Trump.

Il nuovo presidente USA, da sempre convinto che il surriscaldamento globale non esista, ha avviato un preoccupante processo di de-istituzionalizzazione della scienza del clima.

Della sterminata lista di provvedimenti varati in tema ambiente, vale la pena ricordare solo i più eclatanti, quali la revoca del Clean Power Act, la riapertura di miniereoleodotti, la parallela sottrazione di incentivi al mercato dell’energia rinnovabile, la nomina del climate skeptic Scott Pruit a capo dell’EPA e la conseguente rimozione della parola “scienza” da tutti i contenuti pubblicati da quest’ente.

Trump avrebbe inoltre cercato di farsi consegnare una lista di tutte le persone operanti nell’ambito della mitigazione al cambiamento climatico.

A metà febbraio 2017, centinaia di ricercatori e ambientalisti avevano iniziato a trasferire dai server di stato ai propri hard disk personali i dati raccolti nell’arco di una vita, perché spaventati dalla notizia secondo cui il bancarottiere avrebbe voluto la formattazione di tutti i server pubblici impiegati nella ricerca sul climate change.

Tale preoccupazione era evidentemente fondata, perché a distanza di due settimane il presidente avrebbe cercato di far disattivare la costellazione di satelliti adibita al monitoraggio del global warming, fortunatamente senza avere successo.

Ci voleva Trump per far tirar fuori gli artigli agli scienziati, che, non più pungolati dalle ramanzine di Nature, ma seriamente esposti al rischio di perdere il posto di lavoro, hanno finalmente preso posizione contro la nuova folle politica (climatica) degli Stati Uniti.

Il primo segnale è arrivato a inizio gennaio 2017, quando il personale di numerosi enti ambientali USA ha aperto degli account Twitter alternativi a quelli ufficiali, dai quali ha iniziato a contestare i cambiamenti nelle amministrazioni e a prendere le distanze dalle nuove direttive.

Contraddistinti dal prefisso “alt” o “rogue” nel nome utente — e usando dagli hashtag #resist, #resistance e #AltGov nella descrizione utente — gli account disertori erano inizialmente quattordici e venivano gestiti dallo staff dei più grandi parchi nazionali e delle maggiori agenzie di stato, come l’EPA e la NASA.

Utilizzando una retorica partigiana-cavalleresca e prendendo spunto dagli slogan e dall’iconografia di Star Wars, i profili canaglia si sono guadagnati in breve tempo la stima del popolo di Twitter, ispirando il personale di altri uffici pubblici e dando vita a una rete di oltre cinquanta account alternativi, che poi si sono replicati su Facebook.

I cinguettanti ribelli si dichiarano membri di un’autoproclamata “resistenza” o “alleanza” – alternativa all’amministrazione Trump – e condividono report, grafici e video divulgativi sul cambiamento climatico e altre minacce planetarie, spesso di origine repubblicana.

Al vertice di questa galassia alternativa c’è l’account “Unofficial National Park Service,” nome di battaglia “Not Alt World,” che ha raccolto oltre un milione di follower dopo aver pubblicato una serie di tweet particolarmente irriverenti nei confronti di Trump e dei suoi supporters.

Tra gli utenti più attivi ci sono “Alt EPA” e “Rogue NASA,” che giurano di sostituirsi agli alter ego ufficiali qualora essi cominciassero a pubblicare materiale privo di fondamento scientifico.

Recentemente ha fatto parlare di sé anche il profilo alternativo dell’ufficio servizi al cittadino, “Alt Immigration,” talmente fastidioso che la Homeland Security ha chiesto a Twitter di rivelarne l’identità e l’indirizzo, con scarsi risultati.

Il fenomeno Alt-Rogue si è diffuso a tal punto che anche molte associazioni non strettamente legate all’ambito scientifico hanno deciso di fondare un proprio account alternativo, come ad esempio ACLU National, che nasce in difesa delle unioni civili.

A parte le funzioni di whistleblowing e di controinformazione svolte sul web, i membri dei dipartimenti ammutinatisi a Trump sono passati all’azione anche nel mondo reale.

In occasione della giornata della Terra hanno organizzato oltre 500 marce per la scienza, sia in America sia in Europa, una per ogni capitale, dove sfileranno per sostenere i valori della scienza, per condannare il regime delle post-verità e per ricordare a tutti i popoli che non esiste un pianeta B.

Finora abbiamo individuato più di 100 account ribelli, qui ne trovate una lista.