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Fondato nel lontano 2011, il Movimento dei Forconi ha avuto il suo momento di massima celebrità tra il 2012 e il 2013, e per molti versi offre una chiave per capire la storia recente del nostro paese.

Due giorni fa, la polizia ha messo in atto una serie di perquisizioni in varie città d’Italia ai danni di 18 membri del cosiddetto Movimento dei Forconi. A far scattare il provvedimento è stato l’“ordine di cattura popolare,” un documento emanato a dicembre per invitare i cittadini ad “arrestare” parlamentari ed esponenti del governo. Le accuse — emesse dalla procura di Latina — comprendono associazione a delinquere, istigazione a delinquere e usurpazione di funzioni pubbliche.

Il 14 dicembre scorso un maldestro tentativo di applicazione dell’ordine di cattura popolare era stato messo in scena davanti a Montecitorio, quando una decina di persone aveva circondato — a quanto pare scegliendo l’obiettivo del tutto a caso — l’ex deputato di Forza Italia Osvaldo Napoli, in quella che era sembrata una via di mezzo tra un processo brigatista e un flash mob.

Mentre ora Osvaldo Napoli — che evidentemente non ha dimenticato il pesante trauma — si dice soddisfatto dell’operazione di polizia in corso, il ritorno del Movimento dei Forconi sulle cronache dei giornali riapre una pagina surreale ma forse dimenticata troppo in fretta, fondamentale per comprendere la storia politica recente del nostro Paese.

Fondato nel lontano 2011, il Movimento dei Forconi ha avuto il suo momento di massima celebrità tra il 2012 e il 2013, negli anni dello snodo più difficile per la crisi economica e politica italiana, tra la caduta di Berlusconi e l’avvicendamento dei governi Monti e Letta. Mentre si può dire che la situazione economica del paese non sia sostanzialmente migliorata da allora, di certo sembra lontana anni luce quella percezione di tracollo imminente, così diffusa in quei mesi, in seguito stemperata da un progressivo cambio di passo nella “narrazione” mainstream, pienamente incarnato dalla lunga parentesi del governo Renzi.

O forse è subentrata soltanto un po’ di assuefazione. Già nel 2013, quando il Movimento dei Forconi avrebbe dovuto assestare il colpo finale all’ordinamento costituito, con la “marcia su Roma” del 18 dicembre, era chiaro che la sua forza propulsiva si stava esaurendo. La manifestazione romana arrivava al termine di nove giorni di confuse proteste sparse sul territorio nazionale: presidi, blocchi alla circolazione stradale, incursioni nelle sedi istituzionali di minuscoli comuni di provincia, nel tentativo di replicare il copione sperimentato l’anno precedente in Sicilia, dove il Movimento era nato.

Radicati tra agricoltori, pastori, autotrasportatori e piccoli imprenditori e commercianti, i Forconi avevano attirato sin da subito il supporto dell’estrema destra, siciliana e non, malgrado (o proprio a causa di) una piattaforma di rivendicazioni dichiaratamente “apartitiche e apolitiche,” per molti aspetti indistinguibili dalla retorica anti-casta del Movimento 5 Stelle e riassumibili efficacemente sotto la formula del gentismo: un generico programma di rivolta costruito sulla contrapposizione tra i cittadini “onesti” e una classe politica corrotta e dedita soltanto allo sfruttamento e all’impoverimento dei primi. In questo tipo di “discorso” confluivano le polemiche anti-stato e anti-tasse che erano state della Lega delle origini, ma con una nuova forza, liberata dalla rottura dell’idillio paternalistico dell’era Berlusconi (che in gran parte le aveva sapute incorporare) e scatenata dalla successione dei governi dell’austerity.

Non si può dire che si trattasse di un movimento unitario e organizzato: nella galassia dei Forconi era possibile trovare un insieme estremamente composito di sigle, associazioni di categoria e coordinamenti — come LIFE, l’associazione dei Liberi Imprenditori Federalisti del Veneto, di cui era stato presidente Lucio Chiavegato, uno dei coordinatori, indipendentista veneto, in seguito diventato celebre (e incarcerato) per aver assemblato un carrarmato artigianale a partire da una ruspa.

Tanto nel 2012 quanto nel 2013, il grande spettro ventilato con inquietudine dai commentatori e con entusiasmo dai partecipanti alle proteste era il blocco totale dei rifornimenti di generi alimentari e carburante — anche se la partecipazione dei sindacati degli autotrasportatori alla protesta del 2013, nei fatti, venne a mancare — unito alla speranza che le forze dell’ordine defezionassero per unirsi ai manifestanti (verso cui le attestazioni di simpatia non erano mancate).

Ma alla fine, dopo giorni di presidi, scontri, qualche arresto e inquietanti derive squadriste, la “Rivoluzione del 9 dicembre” si esaurì in se stessa, in un certo senso inaugurando l’inizio della legislatura ancora in corso — il governo Letta riceveva la fiducia del Parlamento proprio in quei giorni di dicembre.

I leader ufficiosi della protesta, però, non sono rimasti oziosi: Lucio Chiavegato, dopo l’avventura finita male del “tanko,” ha fondato il suo movimento, Chiavegato Per L’Indipendenza, ricevendo 2718 preferenze nominali alle elezioni regionali del 2015. A quanto risulta, non ha commentato l’ondata di perquisizioni, e sulla sua pagina Facebook non si trova traccia della precedente appartenenza forconiana.

Danilo Calvani — che nel 2013 aveva fatto parlare di sé soprattutto per essersi presentato in Jaguar a una delle manifestazioni — si trova invece coinvolto in prima persona nelle indagini della procura di Latina. Calvani al momento è leader del Movimento “9 dicembre Forconi,” la cui nascita è stata ufficializzata a marzo del 2015, ma l’uso del nome originale — come quando una band si scioglie — non è indolore. Mariano Ferro, infatti, fondatore siciliano del movimento, ha preso duramente le distanze dagli indagati, contestando la loro appartenenza al Movimento dei Forconi e definendoli poco lusinghieramente “una nidiata di malati mentali.”

“Un movimento che si è speso per tentare di cambiare le politiche economiche del paese che vedono giornalmente soccombere imprese e famiglie, non può sopportare di essere citato in tutta Italia come fosse un manipolo di malati mentali che va in giro ad arrestare chi ha distrutto il paese.”

Quello degli “arresti popolari” è in effetti il sintomo più evidente della definitiva deriva paranoide dei Forconi (o comunque li si voglia chiamare), il cui ordine di cattura — basato sull’idea che, dopo la sentenza di incostituzionalità del Porcellum, gli attuali parlamentari siano usurpatori — non si colloca in un universo pseudo-giuridico tanto distante da quello dei sovranisti individuali.

https://www.youtube.com/watch?v=YkTBK9MPih0

Le manifestazioni del dicembre 2013 si possono interpretare come la versione italiana delle grandi proteste anti-austerity che hanno avuto luogo nei paesi europei più duramente colpiti dalla crisi, specialmente Spagna e Grecia — ma con due peculiarità interessanti: l’orientamento spiccatamente destrorso, nostalgico e para-fascista, così distante, per esempio, dagli indignados spagnoli, e la vena variamente complottista, fatta di pagine Facebook, blog, meme artigianali e bufale virali, su cui correva di condivisione in condivisione il verbo della protesta. Una risposta irrazionalista a un disagio economico reale che, a quanto mi risulta, è una peculiarità del nostro paese.

Tutto dissolto come neve al sole? Niente affatto: in gran parte, il popolo dei forconi è rientrato nei ranghi del Movimento 5 Stelle, dove trovano ampio spazio la stessa retorica e gli stessi linguaggi — dal caps lock alla famosa citazione apocrifa di Pertini. E la manifestazione grillina che due giorni fa mirava a “circondare il Parlamento” sembrava, tutto sommato, un raduno di nostalgici del 9 dicembre.