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Le Vaporfly Elite mirano ad abbattere la soglia delle due ore nella maratona — ma fin dove potrà spingersi la tecnica a migliorare le prestazioni atletiche?

La Nike ha da poco annunciato le Vaporfly Elite, il nuovo prototipo di scarpa da corsa per maratoneti. Il modello non sarà messo in vendita o prodotto su larga scala perché progettato esclusivamente per Zersenay Tadese, world record nella mezza maratona, Lelisa Desisa, vincitore di due maratone di Boston e Eliud Kipchoge, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Rio. Sebbene ancora lontane dalla vendita al grande pubblico, la tecnologia alla base della progettazione e le aspettative riposte sul miglioramento delle prestazioni degli atleti possono dirci molto sul futuro dell’agonismo.

Le Vaporfly Elite non hanno un bell’aspetto, almeno per tutti coloro che sono abituati alle scarpe più appariscenti della Nike. La loro forma sproporzionata e poco lineare salta subito all’occhio, ma la scelta estetica non è altro che il risultato di una calcolata somma di fattori mirata a un unico obiettivo: completare una maratona entro le due ore — poco importa se le scarpe non siano belle in senso classico.

Secondo Tony Bignell – vice presidente del reparto footwear innovation della Nike – le Vaporfly Elite sono la soluzione per abbattere il muro delle due ore, rimasto intatto dal lontano 1906 quando il canadese Billy Sherring scese per la prima volta sotto le tre ore. Le speranze di Bignell ruotano intorno a tre fattori: il peso, in grado di ridurre l’energia nel sollevare il piede dal suolo; l’ammortizzazione, per supportare le ossa e i muscoli; e la propulsione per aumentare la velocità del corridore. Negli anni la ricerca si è interrogata intorno a queste tre semplici variabili, capaci di modificare sensibilmente le prestazioni di un atleta.

I tre corridori testeranno questa primavera i nuovi modelli durante il Breaking2 project, una simulazione di una maratona presso l’autodromo di Monza. Gli organizzatori mettono l’accento sulle capacità della scienza di portare l’uomo ad una condizione che solo 50 anni fa sembrava impossibile. “È una di quelle grandi barriere del potenziale umano” afferma Bignell, “siamo arrivati ad un punto in cui sembra che ci siano le giuste scoperte scientifiche”, continua Matthew Nurse, responsabile di Nike Sports Research Lab.

Ma tutta questa concentrazione sulle innovazioni tecniche spinge a porci una domanda: è sempre l’uomo al centro dell’attività sportiva? O la scienza sta lentamente prendendo il posto della natura?

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Sono passati 57 anni dalle Olimpiadi di Roma, la cui maratona fu affrontata e vinta interamente senza scarpe da Abebe Bikila. Il suo gesto, passato alla storia, era allora carico di un senso politico nei confronti dell’oppressione occidentale sull’Africa, ma dimostrò comunque il potere della forza di volontà nel superare i limiti fisici del corpo umano. La fine del flower power però lasciò il posto a figure come Bill Bowerman – fondatore della Nike – sinceramente amante della corsa, ma convinto che la scienza e lo studio delle nuove tecnologie applicate allo sport potessero aiutare l’uomo a spingersi oltre i propri limiti. “Dio determina quanto correrai veloce, io posso aiutare solo con la meccanica” amava ripetere.

A partire dagli anni Settanta, lo sport ha cercato di infondere sempre più spettacolo all’interno delle performance degli atleti. Spesso è l’atleta ha contribuire allo spettacolo agonistico, ma sempre di più ci si confronta anche con la realtà del doping all’interno degli eventi sportivi — come è accaduto alle ultime Olimpiadi con lo scandalo russo. I margini di miglioramento per l’essere umano si assottigliano, mentre le soluzioni per pompare le prestazioni aumentano esponenzialmente. Rifiutare o abbracciare questo inevitabile cambiamento?

All’inizio del 2016 la Delaware North – concessionaria sportiva americana – ha rilasciato un documento di 50 pagine dal titolo The Future of Sports. Al suo interno vengono esposte le maggiori previsioni sul settore agonistico divise attraverso punti cardine come atleti, stadi, rappresentazione, pubblico, e il futuro ne risulta spacchettato in previsioni da 1-5, 5-10 e 10-25 anni.

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L’onnipresenza della tecnologia come necessità simbiotica per l’atleta è data per scontata, così come l’accettazione sociale di un gruppo di sportivi disposto a migliorare le proprie prestazioni attraverso l’uso di sostanze sintetiche. In questa (pre)visione allora le Vaporfly Elite e tutto ciò che mira all’amplificazione del gesto atletico rappresentano già un passo nel futuro dell’agonismo, il punto di rottura cioè fra il vecchio mondo e il nuovo mondo.