Il Festival au Désert, famoso in tutto il mondo, dal 2012 si svolge in esilio per colpa dei gruppi jihadisti attivi nel nord del Mali.
La Timbuktu di oggi è soltanto l’ombra della leggendaria città di un tempo. Ricco snodo carovaniero trans-sahariano ed epicentro culturale islamico nell’Africa Occidentale tra il XII e il XVI secolo, la città conta oggi poco più di 50 mila abitanti, minacciati da impoverimento e desertificazione.
Ma oltre all’orgoglio del nome, a Timbuktu sono rimaste alcune tracce della vivacità culturale del passato: un ricco patrimonio di manoscritti islamici medievali salvati dalla furia distruttiva jihadista, tesori archeologici protetti dall’Unesco, e un festival musicale che attira artisti e appassionati da tutta la regione: è il Festival au Désert, organizzato dal 2001 al 2012 prima in modo itinerante e poi stabilmente a Essakane, un villaggio a nord di Timbuktu.
Il festival, unico nel suo genere, si ispira alle festività tradizionali dei Tuareg nomadi, combinate ai caratteri di un festival musicale europeo contemporaneo. Dall’anno della sua inaugurazione, il Festival au Désert ha visto crescere la propria fama anche al di fuori dell’Africa, trainato dal successo internazionale di artisti maliani come Ali Farka Touré, Toumani Diabaté, Tinariwen e Bombino, grazie a cui il “desert blues” del Mali ha raggiunto un’identità riconoscibile anche per l’orecchio occidentale.
Dal 2012, però, il festival si svolge “in esilio” (recuperando il carattere nomade delle origini), a causa della minaccia per la sicurezza costituita dai gruppi jihadisti attivi nel nord del paese. In quell’anno infatti gran parte del Mali settentrionale — compresa Timbuktu — è caduta sotto il controllo dell’organizzazione salafita Ansar Dine (affiliata ad Al Qaeda nel Maghreb), che per circa nove mesi ha imposto un regime liberticida fondato su un’interpretazione integralista della Sharia.
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Oltre alla distruzione dei mausolei sufi, considerati idolatria, la messa al bando della musica è stata tra i primi provvedimenti presi dagli occupanti, nel tentativo di sradicare una componente essenziale della cultura locale maliana.
I jihadisti sono stati cacciati da un’operazione militare guidata dalla Francia nel gennaio 2013, ma la pacificazione del Paese è ancora lontana dal compimento. Un trattato di pace tra il governo e alcune forze ribelli è stato firmato a metà 2015, sotto la mediazione internazionale guidata dall’Algeria, ma in un contesto che resta ancora molto precario e frammentato.
Quest’anno doveva essere quello del grande ritorno del Festival a Timbuktu, ma all’ultimo momento le autorità del paese hanno deciso di rinviarlo ancora, dopo che un attacco suicida, il 18 gennaio scorso, contro un campo militare nella città di Gao ha ucciso almeno 77 persone. “Il festival aveva lasciato Timbuktu perché la musica era vietata,” ha detto il direttore artistico Manny Ansar, intervistato dal Guardian. “Per tutti era fondamentale che tornasse indietro. Tutti gli artisti che ho contattato volevano andare. L’importante era il messaggio.”
L’edizione 2017 si sarebbe dovuta svolgere per una giornata sabato 28, vicino alla moschea Sankoré della città. Il rinvio è a data da destinarsi.
Dal 2010 il Festival au Désert ha uno spin-off estivo con lo stesso nome anche in Italia, a Firenze, un “progetto musicale interdisciplinare per la creazione contemporanea tra Africa, Mediterraneo e Europa” che tutti gli anni porta nel capoluogo toscano molti degli artisti che si esibiscono a Essakane, nel segno dello scambio culturale.