Gli Stati Uniti fanno un passo indietro sul controllo di internet

Fondato nel 1998 in California, l’ICANN è stato al centro di numerosi scandali — dall’opaca gestione finanziaria alla difficile definizione del suo statuto giuridico, passando per il flop dei domini come .jobs e .travel.

Dopo anni di rimandi, strattoni e sospensioni dei lavori, oggi l’ICANN, l’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers, la Società per i nomi e i numeri assegnati su internet, diventa ufficialmente e definitivamente un’organizzazione privata indipendente.

Tecnicamente, l’ICANN è sempre stato un organo privato — viene fondato nel 1998 in California per sollevare il governo statunitense dall’impegno diretto di dover gestire l’amministrazione dei registri di identificatori internet, “collegando” un dominio al suo IP. Opera sul domain name system: è il servizio che vi permette di digitare thesubmarine.it e vedere il sito, il cui indirizzo “dietro le quinte” è 46.252.149.173.

Il legame con il Governo Federale degli Stati Uniti fino ad oggi era davvero forte. L’ICANN è stata infatti fondata sotto contratto esclusivo dal Dipartimento di Commercio, che ne manteneva sostanzialmente il controllo, in particolare riguardo la creazione di nuovi domini di primo livello. Il controllo da parte degli Stati Uniti — il fatto che internet fosse, in qualche misura, statunitense — è di facile misura: è sufficiente ricordare come i domini governativi e militari .gov e .mil siano rimasti nella loro storia solo e unicamente riservati ad organi di governo e strutture militari americane.

L’ICANN è stata negli anni al centro di innumerevoli scandali — oltre alla sua situazione giuridica di difficile categorizzazione, l’organo è stato più volte scosso dalle conseguenze di proposte a volte incomprensibili, spesso fiscalmente irresponsabili. Su tutte, forse, il tentato cash grab del 2004 è quello più grave, quando l’azienda pubblicò una proposta di budget per l’anno successivo che prevedeva un raddoppiamento sostanziale della spesa, da 8,27 milioni di dollari a 15,83 milioni, sostenendo che avrebbe coperto i costi grazie alla vendita dei nuovi domini .jobs, .travel, .eu, . asia, .mobi e .cat — tutti domini di primo livello che si sarebbero rivelati flop commerciali. Il progetto è stato quindi ragionevolmente bloccato dal Centr, il Concilio dei registri di primo livello europei, e l’ICANN ha rilasciato allora solo i domini .jobs e .travel, che sono ancora completamente deserti.

Ancora, nel corso dell’ultimo anno e mezzo, una serie di errori, nella migliore delle ipotesi, o decisioni sospette nella peggiore, hanno bloccato l’attivazione del dominio di primo livello .africa quando lo scorso anno il numero di domini di primo livello è esploso — da .ninja a .cool, da .asia a .eu.

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All’annuncio di .africa, sembrava che la naturale concessionaria sarebbe stata la non-profit sudafricana ZA Central Registry, che aveva già ricevuto la benedizione di tre quarti dei Paesi del continente, e della stessa Unione Africana. Colta di sorpresa, o altro, l’ICANN non è riuscita a fermare la bordata di DotConnect Africa, altra non–profit che però non avrebbe comunque avuto il supporto governativo necessario. Il dominio si trova così in un limbo in via di assegnazione, e resta tuttora parcheggiato.

Dai repubblicani sono arrivate ovviamente forti critiche, trattandosi di qualcosa che succede nel raggio di 10 km da Obama. Ted Cruz, che non è lo Zodiac Killer e nemmeno il candidato repubblicano — poverino, si è particolarmente speso sul fronte. Cruz sostiene che, dopo aver rinunciato alla linea diretta Stato—ICANN, il Governo non potrà in nessun modo garantire che il Primo Emendamento venga rispettato anche su internet: un po’ come se fosse uno Stato a parte.

In realtà piani di “transizione” verso una totale privatizzazione dell’ICANN sono previsti dagli anni Novanta, ma si sono inverati solo in seguito alle rivelazioni di Snowden: la struttura garantirà comunque una forte presenza governativa, nella forma di una tavola internazionale — ma è per l’amministrazione Obama un sacrificio ragionevole per poter raccontare un cambio di direzione nei rapporti dello Stato federale con l’internet.