Oggi la Republika Srpska, l’area della Bosnia-Erzegovina a maggioranza serba, voterà per istituire la propria festa nazionale il 9 gennaio, il “Giorno della repubblica.” In questa data, infatti, nel 1992 si tenne il primo consiglio serbo contrario all’indipendenza della Bosnia dalla Jugoslavia e fu anche la data di nascita della “Repubblica del popolo serbo” con presidente Radovan Karadzic — condannato nel marzo 2016 a 40 anni di carcere per crimini contro l’umanità, riconosciuto colpevole del genocidio di Srebrenica dove nel 1995 vennero brutalmente uccisi 8mila musulmani bosniaci.

La Bosnia ed Erzegovina è un Paese nato dalle macerie della guerra nel 1995 e tenuto assieme dalle pressioni internazionali, ma resta un Paese frammentato e fragile, diviso in due entità territoriali e un distretto: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina e il Distretto di Brčko.

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I già precari equilibri nati con gli accordi di Dyton, rischiano di incrinarsi nuovamente. La preoccupazione della comunità internazionale è, infatti, che questo possa portare a nuovi scontri separatisti sui Balcani. Stati Uniti, Unione Europea e Turchia hanno condannato il referendum, la Corte Costituzionale ne ha vietato lo svolgimento e l’Alta corte bosniaca lo ha dichiarato anticostituzionale.

Ma Milorad Dodik, il presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, leader dell’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (Snsd) e primo promotore della consultazione popolare, non sembra volersi fermare, da sempre ostile al governo di Sarajevo.

Questo referendum rischia di far passare il messaggio che la comunità serba non abbia mai abbandonato l’idea di uno stato indipendente, idea che aveva portato il Paese in guerra quando, appunto, il 9 gennaio 1992 il Parlamento dei serbi bosniaci proclamò la nascita della Repubblica del Popolo Serbo di Bosnia ed Erzegovina. Due mesi dopo, a marzo, la Bosnia dichiara l’indipendenza dalla Jugoslavia: a maggio inizia la guerra, una guerra breve ma sanguinosa che si concluderà con gli accordi di Dyton del 1995 quando, in una base militare dell’Ohio, Slobodan Milosevic per conto dei serbi di Bosnia, Franjo Tudjman presidente della Croazia e Alija Izetbegovic per i bosgnacchi sottoscrivevano un accordo che divideva  la Federazione Croato-Musulmana (51% del territorio nazionale) e la Repubblica Serba (49%).

La comunità internazionale resterà con il fiato sospeso fino alle 19 quando inizierà lo spoglio delle urne.