Oggi è arrivato il giorno del discusso #FertilityDay, probabilmente una delle peggiori campagne pubblicitarie mai create dal Ministero della Salute.

Mentre le donne italiane si sono giustamente indignate davanti a una campagna retrograda che ricorda loro che il tempo scorre ed è ora di fare un bambino, adempiendo così a un “obbligo naturale prima ancora che sociale,” in India centinaia di donne tra i 60 e i 70 anni sfidano i limiti dell’età per poter avere un bambino — e salvarsi dallo stigma: non solo le donne subiscono forti pressioni sociali a procreare, ma la difficoltà (o impossibilità) ad avere figli può essere addirittura considerata una punizione divina.

Considerando inoltre che il costo per un ciclo completo di trattamento della fertilità costa 100.000 rupie (appena 1350€), non dovrebbe stupire che sono molte le coppie anziane che ricorrono alla fecondazione in vitro (IVF), che garantisce alle donne indiane l’insolito primato di “madri più vecchie del mondo.”

Prevedibilmente, si è acceso un feroce dibattito sui limiti di età per la fecondazione in vitro, che solleva anche altri quesiti etici, tipo: “Questi medici stanno sfruttando donne vulnerabili e abusando della scienza? Oppure stanno adempiendo al diritto di ogni donna ad avere un figlio?”.

Nella società indiana, l’idea che una donna possa avere diritto a non avere un figlio non è contemplata.

Nel Paese esistono circa 2.000 cliniche della fertilità e molte non sono soggette a una corretta regolamentazione. Per questo motivo l’Indian Medical Council ha fatto pressione per far passare una legge che vieti i trattamenti di fertilità a donne che abbiano compiuto i 50 anni, citando tra le motivazioni rischi alla salute della madre e del bambino.

Fra i moltissimi medici che praticano la fecondazione in vitro a coppie geriatriche, spicca un nome in particolare, quello del dottor Anurag Bishnoi. La sua clinica ha fatto notizia più di una volta negli ultimi anni, infatti sul suo sito è possibile consultare una — lunga — lista di casi di coppie anziane che hanno portato avanti con successo la gravidanza tramite IVF e dato alla luce un bambino sano.

Uno dei casi più famosi riguarda Daljinder Kaur, che nel maggio scorso, alla veneranda età di 72 anni, ha partorito tramite cesareo un bambino di 2kg, che è stato chiamato Arman (ossia “Speranza”). Kaur è la neo-mamma più vecchia del mondo, ma la cosa non sembra importarle.

Come Bishnoi ha spiegato al Guardian, la coppia ha dovuto superare molti ostacoli: dopo aver cercato inutilmente di concepire un figlio per anni, Kaur e suo marito Mohinder Singh Gill hanno adottato un ragazzo negli anni Ottanta, che dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti per motivi di studio non ha più fatto ritorno. Inoltre, a una persona “sterile” (anche se sarebbe più giusto dire senza figli) non viene concesso alcun pezzo di terra, e infatti Gill ha dovuto portare suo padre in tribunale per averne diritto. Dopo aver vinto la causa e ottenuto un terreno, la coppia aveva finalmente i soldi per permettersi la fecondazione in vitro.

Al terzo ciclo, l’IVF ha funzionato e Kaur e Gill sono diventati genitori. E così facendo, hanno riacceso il vecchio dibattito: sono molti i membri del comitato medico indiano che hanno denunciato il trattamento offerto alla signora Kaur.

Una dura condanna è arrivata dal capo della federazione dei ginecologi indiani: “Con l’aiuto della scienza anche una donna di 90 anni può rimanere incinta, ma il punto della questione non riguarda cosa si può fare ma se è giusto farlo. La nostra responsabilità è nei confronti del paziente,” ha dichiarato, aggiungendo che il dottor Bishnoi andrebbe bandito dall’ordine medico.

Anche l’esperta di fertilità Sunil Jindal si è schierata contro la procedura, dicendosi preoccupata per il futuro  che attende un bambino nato da genitori tanto anziani, oltre che per la salute della madre.

Contattata dalla redazione di The Submarine anche la dott.sa Giuseppina Borrini si dice preoccupata da tale pratica: “I rischi di malformazione del feto sono altissimi, basti pensare che la probabilità di avere un figlio con Sindrome di Down cresce esponenzialmente dopo i 40 anni. A ciò si aggiunge il fatto che il bambino si ritroverà con due genitori che non saranno in grado di provvedere al meglio ai suoi bisogni, vista l’età avanzata. Un altro dato secondo me sottovalutato è che sempre più donne saranno disposte, oltre che a donare gli ovuli, ad affittare il proprio utero: se già in un Paese avanzato come può essere l’Italia la questione ci pone davanti a un dilemma etico , figuriamoci in uno Stato estremamente povero come l’India.”

Infatti non sono solo le madri e i loro figli a correre rischi, durante e dopo la gravidanza: almeno due giovani donne indiane sono morte dopo aver donato gli ovuli. I controlli per questo tipo di operazione scarseggiano, e così alcune di queste ragazze perdono la vita cercando di guadagnare qualche extra come Sushma Pandey che è morta a Mumbai nel 2010 ad appena 17 anni, nonostante l’età legale per donare ovuli sia 18.

Bishnoi, e altri medici che come lui praticano l’IVF su coppie geriatriche, dice che ogni donna ha il diritto di avere figli e che il suo lavoro è aiutare queste donne a rimanere incinte, non importa a quale età.

E dal canto suo, Mohinder Singh Gill ha risposto alle critiche dicendo di non essere turbato dalla propria età o da quella di sua moglie: “Ci chiedono cosa ne sarà del bambino una volta che saremo morti, ma io ho fede in Dio. Dio è onnipresente e onnipotente, e si prenderà cura di ogni cosa.”