Ginevra. Si è aperto ieri il secondo convegno degli Stati firmatari dell’Arms Trade Treaty, un trattato multilaterale voluto dall’ONU nel 2009 e in vigore dal 2014 per regolare piú drasticamente il mercato legale delle armi — in modo da soffocare i canali di fornitura del mercato nero.

La firma nel 2013 del trattato fu un discreto successo per le Nazioni Unite, che avevano ricevuto forti pressioni per abbandonare ogni tentativo di regolamentazione sovra-statale del mercato delle armi. Il trattato era stato preso particolarmente di mira da parte della National Rifle Association statunitense.

L’NRA si era opposta al trattato criticando tra i suoi contenuti l’obbligo di registrazione dei portatori di arma da fuoco — notoriamente l’ultima forma di privacy riconosciuta dalla destra USA.

Il trattato è stato firmato e ratificato da 87 stati — tra cui i cinque maggiori produttori di armi al mondo, Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna. L’opposizione al trattato è piuttosto ridicola se si legge il suo intento d’apertura:

“L’Arms Trade Treaty obbliga gli Stati membri a monitorare l’export di armi e assicurare che queste armi non violino embargo pre-esistenti, o che siano usate in azioni che violino diritti umani, tra cui il terrorismo.”

Alla fine il trattato era stato firmato, appunto, e l’ONU e i Paesi ratificanti si sono fatti un bel giro d’onore sulla stampa internazionale (quella con la testa sulle spalle).

All’incontro di ieri, immaginiamo gli Stati firmatari scambiarsi sguardi imbarazzati come un gruppo di amici che si vede di rado e qualcuno tira fuori il ricordo di quella volta che si è bevuto davvero troppo.

Amnesty International ha disegnato un profilo devastante per il trattato:

  • Gli Stati membri stanno ancora svolgendo traffico d’armi irresponsabile.
  • Piú di un quarto dei firmatari non rispettano gli obblighi di raccolta e pubblicazione dei dati sull’export di armi.
  • Alcuni Stati membri rifiutano qualsiasi forma di discussione pubblica circa i loro traffici d’armi.

Christine Beerli, vice-presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa, ha presentato uno degli interventi piú duri di questi due giorni, chiedendo l’immediata sospensione del traffico d’armi verso attori di violenza indiscriminata. La richiesta, che dovrebbe giustamente sembrare banale e “un obbligo morale,” come dice Beerli, è da tre anni anche “un obbligo legale” — ma l’intervento è stato accolto nel silenzio generale degli uffici stampa dei Paesi accusati.

La posizione di Beerli, radicale di centrodestra svizzera, sorprende particolarmente perché la Croce Rossa molto raramente si pone in contrapposizione ai Paesi che la ospitano. Anzi, tende solitamente a sovrapporsi ai locali centri di potere — per quieto vivere, dicono i suoi detrattori, per poter “migliorare la situazione dall’interno,” dicono i sostenitori. (Per intenderci: la Croce Rossa preferiva lavorare “dall’interno” anche nel Sudafrica dell’apartheid. In tempi recenti, l’unico caso di “presa di posizione” contro uno Stato da parte della Croce Rossa è lo scontro con il governo israeliano del 2011.)

Siamo al secondo giorno, ma iniziano a venire già i nodi al pettine: Oxfam, confederazione di ONG internazionali contro la fame nel mondo, ha attaccato apertamente il Regno Unito per essere “uno dei peggiori firmatari” del trattato. (Oxfam, altra organizzazione decisamente moderata, e in Regno Unito piú volte accusata di essere troppo vicina a Tony Blair.)

Penny Lawrence, testa di Oxfam Great Britain, accusa il governo del Regno Unito di essere complice dei bombardamenti e della distruzione perpetuata dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita in Yemen. “Il governo ha attivamente mentito al proprio parlamento circa i controlli che esercita sul proprio traffico d’armi.” A detta di Lawrence, in un momento delicato come quello della Brexit “La credibilità internazionale (del Regno Unito) è in grave pericolo, perché fa seguire a promesse sulla carta azioni diametralmente opposte.”

Le critiche di Amnesty, CICR e Oxfam sono le uniche voci emerse da un convegno che si sta svolgendo in un colpevole  — o criminale — silenzio. Il sito delle Nazioni Unite, per intenderci, non gli ha ancora dedicato nemmeno la propria pagina minima d’ordinanza. Contro il traffico d’armi, insomma, non è nemmeno più una questione di forma.

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.