Dopo l’aggressione in treno a Heidingsfeld e la sparatoria all’Olympia-Einkaufszentrum di Monaco, avvenute a pochi giorni dalla strage di Nizza, sembra che anche in Germania si sia aperta una nuova fase. Dal 18 luglio, giorno in cui un diciassettenne afghano, Muhammad Riad, ha ferito a colpi d’ascia cinque persone su un treno, prima di essere ucciso dalla polizia nei pressi di Heidingsfeld, fino a oggi, non è passato un solo giorno in cui non si sia registrato un nuovo fatto di sangue.

Le cause che hanno scatenato la violenza omicida dei colpevoli sarebbero diverse e disparate. Il diciottenne folle di Monaco, Ali David Sonboly, tedesco di seconda generazione con evidenti problemi psichici, non ha agito, a differenza di Riad, per conto dell’ISIS, così come il 21enne siriano che il 24 luglio ha ucciso a colpi di machete una donna a Reutlingen, nel Baden-Wurttemberg. Nell’ultimo caso, si tratterebbe di omicidio passionale.

Ma che dire dell’uomo che si è fatto esplodere ieri notte, attorno alle 22 ad Ansbach, a pochi metri dalla piazza in cui si stava tenendo proprio in quel momento un festival musicale? L’attentatore, un profugo siriano di ventisette anni, voleva uccidere il maggior numero di persone possibile: aveva tentato, senza successo, di accedere al festival, che contava più di duemilacinquecento spettatori. Respinto all’ingresso perché non in possesso del biglietto, si è fatto saltare in aria davanti all’entrata, ferendo dodici persone.

Nel suo zaino, oltre all’esplosivo, vi sarebbero stati anche pezzi di ferro e chiodi, ulteriore indizio dell’obiettivo di massimizzare il numero di vittime coinvolte.

L’uomo, di cui ancora non è stato reso noto il nome, era giunto in Germania due anni fa. L’anno scorso, la sua richiesta d’asilo è stata respinta per motivi non chiari e da allora è rimasto ad Ansbach, in attesa. La polizia sta attualmente concentrando l’attenzione su quella richiesta d’asilo respinta. All’attentatore, già noto alle autorità per reati legati allo spaccio di droga, potrebbe essere stato negato lo status di rifugiato per questi piccoli crimini — un provvedimento mai tradotto in espatrio a causa della guerra in corso in Siria. Negli scorsi mesi aveva cercato già due volte di togliersi la vita e per questo motivo si trovava in cura presso un istituto psichiatrico. Un altro folle, quindi. Ma d’altronde, tanto chi apre il fuoco in un fast-food per vendetta quanto chi tenta il martirio in nome di Allah non può meritare altra definizione.

All’alba in conferenza stampa, il Ministro dell’Interno bavarese Joachim Herrmann inizialmente non si sbilancia: ancora non si può dire se l’uomo abbia agito per togliersi la vita in modo spettacolare o per portare con sé altre vittime, non si può dire se abbia agito indipendentemente o come pedina di qualche organizzazione terroristica. Quale che sia la risposta, le affermazioni del Ministro sono emblematiche dell’imbarazzo che si respira nelle file della CDU-CSU in questi giorni.

Anche i più fedeli alla Cancelliera sono afflitti in queste ore dalla fatidica domanda: la Wilkommenspolitik di Angela Merkel ha fallito?

In nove anni da ministro Herrmann non si è mai trovato in una situazione più complicata e spinosa dell’attuale. Tre attentati in poco più di una settimana sono troppi, il livello d’allarme è massimo. Che qualcosa stia andando storto lo capiscono tutti, pochi però hanno il coraggio di alzare il dito e spiegare il perché. Le elezioni si avvicinano e qualsiasi segnale di cedimento è una nuova vittoria, un punto per l’avversario più temuto dai moderati di Germania, l’AfD.

Proseguendo il suo rapporto, Herrmann tradisce l’usuale cautela tedesca: “Secondo il mio personale punto di vista, purtroppo, ritengo molto probabile che qui abbia avuto luogo un vero e proprio attacco suicida islamista”. Non osa pronunciare la parola kamikaze. Poi si sfoga, si dice “scioccato” per come vi sia chi abusa dell’accoglienza che l’Occidente gli sta offrendo, “un oltraggio”: “chi cerca protezione in Germania deve avere rispetto totale per le leggi tedesche e per il popolo tedesco”. Infine, arriva al punto: “mi auguro che vengano presi provvedimenti e che si agisca di conseguenza”. Una presa di posizione forte e netta nei confronti di Berlino. Nei prossimi giorni, annuncia, solleciterà il Governo Federale affinché si rafforzino i controlli sugli ingressi nel Paese.

Nel partito si respira un clima di tensione e forse sarà l’occasione per regolare conti in sospeso. Questa settimana è prevista l’assemblea della CSU e una riunione dell’esecutivo bavarese, in cui centrali saranno ovviamente le aggressioni dei giorni scorsi, perlopiù avvenute in Baviera. Sebbene poi il portavoce della CDU, Stephan Mayer, abbia già rilasciato in mattinata alla BBC un’intervista in cui precisa che l’attentato di Ansbach non è da collegarsi al grande numero di migranti accolti dalla Germania nel corso dell’anno, si assisterà verosimilmente — come in molti da tempo si auguravano, anche e soprattutto nel partito della Merkel — a una serrata dei ranghi, forse a un rinnegamento delle politiche della Cancelliera, che proprio negli ultimi giorni di governo sembra non poter trovare pace.