Schermata 2016-07-22 alle 16.51.33

La sera del 10 luglio, 2,8 milioni di spettatori hanno acceso le proprie televisioni per seguire la prima puntata della nuova miniserie targata HBO, The Night Of. Un ottimo risultato per il network televisivo, che si riprende così da una serie di sfortunati eventi, tra cui la pessima accoglienza di critica (e pubblico) della seconda stagione di True Detective e la più recente cancellazione in media res di Vinyl. The Night Of sembra dunque il fulmine a ciel sereno in grado di risollevare la produzione HBO dalla stagnazione dell’ultimo periodo – Game Of Thrones a parte.

Ma fulmine a ciel sereno non è forse la definizione più adatta, poiché la miniserie è in gestazione dal lontano 2009, quando il presidente di produzione della BBC, Jane Tranter, propose all’emittente televisiva di adattare la serie tv inglese Criminal Justice per il mercato statunitense. Il team di produzione era – ed è tuttora – composto dallo sceneggiatore Richard Price, scrittore di Clockers e collaboratore della HBO per The Wire, e il regista Steven Zaillian, già produttore esecutivo di American Gangster e Moneyball.

Schermata 2016-07-22 alle 16.46.41A rinforzare il progetto è l’aggiunta al cast di James Gandolfini, il mastodontico Tony Soprano, la cui morte prematura nel 2013 però interrompe ogni progresso nella produzione, lasciando nel limbo televisivo il pilot girato e metà delle puntate già scritte.

Alcuni mesi dopo la scomparsa dell’attore, Price e Zaillian riprendono tra le mani la sceneggiatura e concludono la scrittura della prima serie.

“Ci vuole tempo per fare della televisione – o almeno, ci vuole tempo per farla nel modo in cui l’abbiamo fatta noi, che non è proprio nella maniera tipica. Non abbiamo avuto writers’ rooms, non saltavamo da episodio a episodio, noi abbiamo scritto la sceneggiatura immaginando la serie come un unico film da nove ore” ricorda Zaillian sul periodo di produzione. E detto nell’era del binge watching questo tipo di approccio risulta sicuramente appropriato, sia per gli scrittori che per gli spettatori, che hanno così modo di vivere la serialità di The Night Of con un coinvolgimento maggiore rispetto a prodotti che fanno leva su una struttura a compartimenti stagni (vedi Game Of Thrones).

Come spiega l’Atlantic non c’è quasi nulla di nuovo in The Night Of: un giovane ragazzo di origini pakistane si addentra una sera nella lower east side di Manhattan per poi ritrovarsi accusato dell’omicidio di una ragazza il mattino dopo. Un incipit che richiama senz’altro le reali vicende del podcast Serial, a cui si aggiunge la presenza di un avvocato alla Better Call Saul (ruolo che doveva andare a James Gandolfini, passato poi a John Turturro) e di un poliziotto, interpretato da Bill Camp, troppo reale per True Detective e troppo surreale per The Wire.

Schermata 2016-07-22 alle 16.52.09

Sono piuttosto sicuro che a questo punto vi starete chiedendo perché guardare una serie che spizzica a destra e a manca da prodotti ben più conosciuti e ormai affermati. Per il semplice motivo che The Night Of si riappropria del minimalismo televisivo e del genere crime attraverso l’attenzione per i dettagli, una narrazione che non straborda anzi si trattiene per il bene degli spettatori, ma soprattutto la rappresentazione della contemporaneità attraverso lo specchio della società: il sistema giudiziario.

Anche questa, si potrebbe dire, non è proprio una novità, anzi una recente tendenza di tutto l’entertainment audiovisivo, che attraverso vicende più o meno autentiche ha sondato dinamiche, vizi (tanti) e virtù (poche) della giustizia made in U.S.A. (sì, perché sempre del palcoscenico statunitense stiamo parlando, sia mai che l’Italia prenda esempio).

Ed è proprio qui che The Night Of si fa più sottile e acuto dei suoi rivali, con un doppio binario narrativo la miniserie riesce (nelle sole due puntate andate in onda) a inquadrare allo stesso tempo fiction e non fiction, ovvero le vicende finzionali di Nasir Khan — il ragazzo sospettato di omicidio — e gli aspetti della burocrazia giudiziaria che spesso non vengono presi in considerazione.

“Mi piace il fatto che si stia trattando non solo la trama e la qualità della detective story, ma anche come l’accusa di un crimine influenzi tutti, e come il costo dell’accusa rovini le persone” dice Turturro in un’intervista.

Il riferimento implicito è ad una vicenda simile a quella raccontata nella miniserie tv: la tragica storia di Kalief Browder, un ragazzo di 16 anni che, accusato di aver rubato uno zainetto, fu imprigionato a Rikers Island (penitenziario di New York, tra le dieci prigioni più pericolose degli Stati Uniti, presente nella seconda puntata) per tre anni senza processo. Infine liberato senza accuse, la prigionia lo segnò talmente che a soli 22 anni si suicidò. “Sento una grande responsabilità nel rappresentare quella storia, per chi viene imprigionato c’è qualcosa di permanente in quell’esperienza, è qualcosa da cui non ti puoi allontanare senza conseguenze” aggiunge Riz Ahmed, il protagonista della produzione televisiva.

Un contesto quello di The Night Of costellato di riferimenti più o meno generali alla situazione socio-politica dell’America di oggi, rispecchiando per certi versi il cinema di Spike Lee. Non a caso fu proprio il regista newyorkese ad adattare per il grande schermo il libro Clockers di Richard Price, anch’esso riflessione tagliente e cruda dei nineties americani (“Clockers è autentico e malvagio: roba da brividi” — scriveva il Washington Post all’uscita del film).

Gli stessi brividi del romanzo di Price ritornano durante la visione di The Night Of, ma questa volta più freddi, poiché privati dell’estetica calda di Spike Lee, sostenuti invece dal già citato minimalismo tipico di registi come David Fincher.

Se The Night Of sarà o meno la prossima rivelazione della HBO è ancora troppo presto per poterlo dire, rimane il fatto che la miniserie tv, e altre come lei (The Jinx, Making a Murderer, Show Me a Hero, per citarne alcune) riesce in quello che ultimamente la stampa e i media di informazione sono sempre meno in grado di fare: adottare la awareness delle realtà socioculturali come metodo narrativo. E questo — è bene ricordarlo — è un pregio che fino a pochi decenni fa la tv non aveva.