Soyons ingouvernables due mesi di lotte nelle strade di Francia
Da due mesi la Francia è scossa dalle proteste contro la riforma del lavoro. Nonostante la risposta repressiva del governo, il movimento non ha intenzione di arrestarsi.
Nota dell’autrice: il mio tentativo di far chiarezza e ordine negli avvenimenti di piazza degli ultimi mesi non vuole essere assolutamente esaustivo. Le chiavi di lettura sono molteplici ed eterogenee, e non tutte sono state utilizzate nell’articolo che segue. Queste sono solo alcune delle piste possibili, degli incontri e degli scontri che hanno avuto luogo in questo lungo printemps francese.
Questo maggio francese è passato senza che ce ne accorgessimo. Dal 31 marzo ormai lo scorrere dei giorni è stato scandito da un nuovo calendario, che parte dall’occupazione – temporanea, composita e contraddittoria – di Place de la République e dall’ondata di scioperi successiva. Da allora ogni settimana ci si ritrova nelle strade. Sindacalisti, autonomi, studenti di liceo e cittadini percorrono i boulevard della capitale e di altre città di Francia, con pratiche diverse ma riuniti sotto uno slogan comune: Retrait de la loi “Travaille!”.
La legge El Khomri, così come il Jobs Act renziano, rientra perfettamente nella linea politica dei governi di centro-sinistra contemporanei: revisione delle contrattazioni collettive in materia di orario di lavoro, disposizioni che riguardano il licenziamento economico e le ore supplementari. La sua discussione in Parlamento nel corso del mese di marzo si è conclusa con una forzatura da parte del governo — l’applicazione dell’articolo 49.3 della Costituzione, che permette di approvare un progetto di legge senza votazione. La mozione di sfiducia della destra non è stata sufficiente a impedire il passaggio in forza del disegno legislativo, e il minoritario Front de Gauche e i dissidenti del Partito Socialista non sono stati in grado di coalizzarsi a loro volta per opporsi a questa manovra.
All’immobilità dell’opposizione parlamentare fa da contraltare il fermento di un movimento che da più di due mesi agita le strade di Francia.
Dalle prime manifestazioni in cui gli spezzoni sindacali e il corteo autonomo scendevano in piazza con reciproca diffidenza e i blocchi d’imprese erano ancora isolati, lo sciopero generale si sta ora estendendo a tutte le categorie professionali, gli studenti si uniscono alle proteste di ferrovieri e postini.Il Paese è bloccato.
A Parigi e nel resto della Francia dal 24 maggio otto raffinerie su dieci, di cui una in Martinica, sono state bloccate per circa una decina di giorni. La SNCF, la società nazionale del trasporto ferroviario, ha dichiarato lo sciopero prolungabile senza preavviso a partire dal 31 maggio e l’azienda dei trasporti parigini, RATP, ha votato lo sciopero illimitato dal 2 giugno. Nel frattempo blocchi di autostrade, snodi ferroviari e portuali si susseguono. Il 26 maggio, ultima data di mobilitazione, l’accesso alla zona industriale di Gennevilliers è stato occupato, a Nantes l’aeroporto è stato bloccato, e tutte le diciannove centrali nucleari di Francia hanno votato lo sciopero per un giorno.
La mobilitazione parte all’inizio del mese di marzo, nei licei e nelle università, dove le assemblee “interluttes” decidono di cortei e occupazioni. La spirale di mobilitazioni porta a una repressione altrettanto decisa, di cui è rappresentativo lo sgombero dell’assemblea interuniversitaria organizzata a Tolbiac, che suscita un’ondata d’indignazione e proteste, oltre che di condanne e processi. In questi mesi, infatti, la radicalizzazione del movimento, sia in piazza sia nei discorsi, si è costruita in parte attorno alla consensuale condanna delle violenze della polizia.
https://www.youtube.com/watch?v=i9ekcuJ6IAs
Il primo mese di mobilitazione culmina nell’appello lanciato da François Ruffin, regista del film Merci, patron! e direttore della rivista satirica Fakir, a non tornare a casa il 31 marzo, dopo il grande corteo nazionale previsto, ma ad occupare le piazze di Francia, e in particolare Place de la République. Le implicazioni simboliche sono evidenti per chiunque viva a Parigi dopo gli attentati del 13 novembre: la statua della Marianna al centro della piazza è da allora monumento alla memoria delle vittime, e la piazza è stata l’oggetto di numerose interdizioni a manifestare giustificate dallo stato d’emergenza durante i mesi del meeting della COP21.
Il 31 marzo prende vita Nuit Debout. Il desiderio di politicizzazione è il dato più significativo che emerge e la partecipazione alle notti in piedi supera le aspettative degli organizzatori. Ogni giorno, a partire dalle 18, migliaia di parigini si riuniscono nella piazza per una grande assemblea generale dove chiunque può portare proposte di azione o riflessione, mentre intorno cominciano a costituirsi le prime commissioni, da quelle più logistiche (TV e Radio debout) a quelle di discussione (commissione grève générale, commissione Françafrique).
Tuttavia, all’interno di una realtà così eterogenea cominciano a porsi i primi problemi, legati soprattutto ai tentativi di egemonizzare la piazza da parte di alcune realtà già note nell’ambiente. Questa tensione sfocia nell’intervento in assemblea generale da parte di alcuni membri delle varie commissioni di Nuit Debout che denunciano un monopolio esclusivo ed eccessivamente neutrale della comunicazione da parte del media center e chiedono una gestione più orizzontale dei social network e delle interfacce legate al movimento.
Nonostante le evidenti problematiche e le polemiche interne, l’occupazione di Place de la République resta per tutto il mese di aprile il fulcro del movimento contro la loi “Travaille!”. Da qui partono azioni e manifestazioni non autorizzate in numero sempre maggiore, tra cui l’“apéro chez Valls,” manif sauvage che parte nella notte del 9 aprile verso il domicilio del Primo Ministro Valls, e l’azione di rimozione e distruzione delle griglie posizionate dalla Mairie di Parigi per impedire ai migranti di accamparsi sotto la linea aerea del metro a Stalingrad, nella stessa notte.
Nel frattempo la pratica di piazza si radicalizza. All’inizio della mobilitazione le giornate di sciopero prevedevano due cortei, uno più offensivo al mattino all’appello degli studenti liceali e uno più inquadrato dai sindacati nel pomeriggio.
Con l’acuirsi della conflittualità comincia a costituirsi una testa di corteo sempre più ampia e offensiva, che si rivendica autonoma e ingovernabile. Nasce e cresce il così detto cortège de tête, di cui è difficile definire la composizione. Etichettato frettolosamente dai media e dalle istituzioni come black bloc, esso è, di fatto, una realtà molto più composita ed eterogenea. Al suo interno si ritrovano studenti, liceali, militanti dei milieux più radicali ma anche ferrovieri e postini sindacalizzati e stanchi di sfilare in corteo nello spezzone del proprio sindacato, che rivendicano una modalità più offensiva di manifestare.
Certamente un elemento di coesione dello spezzone di testa è la condanna della violenza della polizia e della stretta repressiva dello stato francese dopo gli attentati del 13 novembre e in particolar modo dall’inizio del movimento sociale.
In effetti, misure straordinarie come arresti preventivi e interdizioni a manifestare si sono susseguite senza sosta negli ultimi mesi, senza fare menzione degli arresti che a ogni corteo sono sempre più numerosi. Le stesse azioni di blocco economico, anche le più pacifiche, si concludono con l’intervento della polizia, che circonda i manifestanti costringendoli ad allontanarsi per piccoli gruppi, spesso dopo aver preso le loro generalità – tecnica definita con il termine francese nasse. A questo si aggiunge l’uso, spesso eccessivo, delle armi in dotazione da parte delle forze dell’ordine: dall’inizio del movimento un ragazzo ha perso un occhio a Rennes a causa di una grenade de desencerclement e a Parigi due manifestanti sono stati portati all’ospedale in gravi condizioni a causa della stessa arma, senza contare i feriti dalle cariche della polizia e dai lacrimogeni.
Parallelamente alla mobilitazione di piazza, a partire dal mese di maggio un numero sempre maggiore di raffinerie, uffici postali e stabilimenti di smaltimento di rifiuti si sono messi in sciopero, organizzando picchetti e azioni di blocco e chiamando gli altri settori in lotta a sostenerli. Impressionante per esempio il blocco della raffineria di Grandpuits, l’unica in Ile-de-France, dove l’arresto totale della fabbrica è stato votato per una settimana dal 20 al 27 maggio. Tuttavia i picchetti e gli scioperi nelle grandi imprese rivelano la precarizzazione sempre crescente a cui sono sottoposti questi settori. Spesso infatti le azioni si concludono nel giro di una giornata e gli operai sono costretti a innumerevoli cautele e sotterfugi per non dover subire le ripercussioni dei datori di lavoro qualora venissero a conoscenza della loro partecipazione. In questo senso la coordinazione favorita da alcune delle commissioni di Nuit Debout ha permesso di ampliare la partecipazione, portando sui luoghi di lavoro anche studenti e precari, in nome della convergence des luttes.
(Foto dell’autrice)
In questo quadro lo scontro con il governo s’inasprisce su tutti i fronti, non solo da parte del movimento autonomo ma anche degli interlocutori sindacali, tra cui la CGT, la coordinazione sindacale più grande e importante in Francia. Quest’ultima, equivalente dell’italiana CGIL, non è mai stata considerata così radicale come nell’ultimo mese, tanto da subire una vera e propria campagna mediatica anti-sciopero, soprattutto dopo i blocchi delle raffinerie. Il governo socialista non sembra voler fare passi indietro sulla legge del lavoro, provocando opposizioni al suo stesso interno. Quest’ostinazione da parte del primo ministro sembra un gesto disperato alla fine di un mandato presidenziale che è stato ampiamente contestato, soprattutto in ragione del suo allineamento alle politiche di austerity volute dall’Unione Europea. A questo si aggiunge il prolungamento dello stato d’emergenza, votato all’indomani degli attentati terroristici del 13 novembre, che ha portato a una riduzione graduale e sempre crescente dei diritti di manifestazione e di opposizione, giungendo fino alla proposta di costituzionalizzazione dello stesso.
In questo contesto di alta tensione sociale e politica, martedì 14 giugno si è svolta a Parigi la grande manifestazione nazionale che ha visto, secondo i sindacati, la partecipazione di circa un milione di persone.
Tra queste, non soltanto le poche centinaia di appartenenti al blocco nero denunciate dai media nostrani, ma numerosi settori professionali venuti da tutta Francia, tra cui i dockers di Calais e di Le Havre, protagonisti di violenti scontri con la polizia, a dimostrazione del fatto che le categorie utilizzate dai giornali e dalle televisioni non sono sufficienti a inquadrare la situazione francese. Il corteo ha segnato un picco nelle dimostrazioni di piazza degli ultimi mesi, e si è trovato di fronte una risposta autoritaria e repressiva da parte del governo. Su entrambi i fronti la stanchezza e l’avvicinarsi dei mesi estivi cominciano a pesare; sui picchetti di sciopero e nelle piazze gli oppositori alla loi “Travaille!” faticano sempre di più a fare fronte alla stretta repressiva dello Stato e chiamano alla solidarietà tra settori e alla convergenza delle lotte. Nel frattempo il presidente Hollande, consapevole della posta in gioco, cerca di mantenere il controllo della protesta di piazza. A questo si aggiunge l’inizio degli Europei di Calcio, fortemente voluti dal governo e altrettanto decisamente condannati dal movimento, che ha lanciato un appello al sabotaggio dell’Euro 2016.
Di fronte a una situazione tanto tesa e in continua evoluzione, il governo sembra sempre più incapace di gestire la rabbia di piazza, rispondendo a ogni mobilitazione con uno spiegamento di forze massiccio, ma facendosi sopraffare dalle ondate di hooligans che hanno invaso Marsiglia e Parigi. Manuel Valls ha avanzato l’ipotesi di vietare le prossime manifestazioni previste, e la prefettura parigina dopo un lungo tira e molla con i rappresentati dei principali sindacati ha dichiarato che il corteo del 23 giugno non avrà luogo nella capitale. Il movimento però resta determinato a portare il conflitto nelle strade e sui posti di lavoro, con nuove azioni e blocchi organizzati per le prossime settimane. Nonostante l’estate tardi ad arrivare, a Parigi il clima è ancora caldo.