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in copertina, foto CC Bill Smith

La decisione di fare straightwashing di Albus Silente nel secondo capitolo di Animali fantastici è solo l’ennesima scelta infelice da parte dell’autrice della saga.

David Yates, l’incredibilmente poco talentuoso regista dell’incredibilmente noioso franchise Animali fantastici, serie di cinque film prequel ad Harry Potter, ha annunciato mercoledì che Albus Silente, tra i personaggi principali del secondo film della saga, non sarà rappresentato come omosessuale nel film.

Se state leggendo questo articolo su questo sito internet ci sono buone probabilità che siate cresciuti con Harry Potter. Vi ricordate dell’attesa apparentemente interminabile tra il quarto e il quinto volume della saga, della costante delusione dei film, in base a quanto foste appassionati. Probabilmente ricordate con affetto anche un paio di forum online dove si discuteva della serie di romanzi di J.K. Rowling.

Una delle discussioni piú movimentate, da dieci anni a questa parte, è attorno alla sessualità di Albus Silente. Con l’eccezione di rari passaggi che possono essere interpretati a posteriori come debole signalling, in sette libri di cui quattro almeno un terzo troppo lunghi non c’è una riga esplicita a riguardo. J.K. Rowling rivelerà il dettaglio a settimo libro pubblicato, quasi en passant, all’ultima data del proprio tour statunitense per l’ultimo libro della saga.

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Alla domanda di una fan che le chiedeva se Silente avesse mai trovato “l’amore,“ l’autrice aveva risposto. “Se devo dirvi la verità… ho sempre pensato a Silente come gay.” La platea, secondo il racconto del TIME, avrebbe trattenuto il fiato e poi sarebbe scoppiata in applauso scrosciante. Shockata alla risposta positiva — chi l’avrebbe mai detto che esistesse gente non omofoba! ? — Rowling avrebbe commentato ancora: “Se avessi saputo che vi avrebbe fatto così felici, lo avrei annunciato anni fa!”

È nel discorso dello stesso evento che l’amicizia tra Silente e Grindelwald, che ricordiamo, è fondamentalmente Hitler del mondo magico, si trasforma in rapporto sentimentale.

Mentre la generazione che è cresciuta con i libri di Harry Potter prendeva coscienza sociale e politica, la decisione di Rowling era indicata come segnale della progressività della saga e della sua autrice, che aveva scritto un’intera serie in cui il personaggio “piú potente” era omosessuale.

(In compenso, non aveva scritto nemmeno una riga su come il personaggio fosse omosessuale, anche se ci piacerebbe leggere le tuniche mauve e fuchsia di Silente secondo il codice Hanky — un mago con il feticismo per gli ombelichi che ama essere sculacciato.)

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L’annuncio di non rappresentare Silente come omosessuale — in una storia in cui dovrà letteralmente combattere contro il proprio ex (Hitler stregone, nel caso aveste rimosso) (Beati voi) — è la seconda scelta infelice della produzione del film, dopo la decisione di confermare il casting di Johnny Depp nel ruolo di Hitler stregone, malgrado le gravissime accuse di abuso domestico emerse dopo il suo divorzio dall’attrice Amber Heard. Anche in quel caso Rowling — che firma le sceneggiature di questi film per essere certa di rovinare l’eredità della propria serie come si deve — aveva preso le difese di Yates e di Johnny Depp.

Già in quel caso si era sollevato su Twitter un piccolo scandalo, con moltissimi fan delusi dalla propria autrice preferita.

Purtroppo, però, bisogna fare i conti con la verità: mentre il fandom di Harry Potter si godeva il sogno di una saga e un’autrice progressista, J.K. Rowling stava vivendo una doppia vita segreta.

Le politiche per cui Rowling è tradizionalmente considerata un’autrice “progressista” sono cause che sono partigiane solo a causa della imperante disumanità e ignoranza tra politici conservatori. Non c’è niente di intrinsecamente progressista nell’essere a favore della libertà d’aborto, contro l’anti-semitismo, o per la preservazione dell’ambiente. Queste battaglie non sono meriti della sinistra, sono oscene mancanze della destra.

Nel 2008, al discorso per i laureandi di Harvard, Rowling sottolineava il potere dell’immaginazione unito all’empatia — ma è proprio questo che sembra mancarle: Rowling è capace di provare empatia per le vittime, ma non per chi si ribella. Sa raccontare, e capire, chi soffre, ma fatica — e si sente nei libri, e si sente quando attacca Jeremy Corbyn — a capire chi invece reagisce.

Sì, perché se c’è una singola figura politica che Rowling ha criticato apertamente piú di Donald Trump, è senza dubbio il leader del Labour Corbyn, colpevole ai suoi occhi, sostanzialmente, di non essere Tony Blair.

La sua lotta aperta al socialista spettinato, che ha rivitalizzato un partito che sembrava pronto a essere consegnato alla Storia, come gli omologhi francesi ed italiani, è stato il primo vero caso di frattura tra l’autrice e il suo fandom.

L’attrito ideologico con Corbyn era risultato particolarmente alieno per il pubblico internazionale — statunitense, che non segue in nessun modo la politica britannica, e europeo, che non vede niente di sconvolgente nelle politiche di Corbyn. La presa di distanza dell’autrice dalle politiche di superamento del New Labour da parte del nuovo leader del partito spiegano perfettamente come una personalità tradizionalmente inquadrata nel contesto progressista possa essere così ottusa sulle necessità di inclusione che ha più volte promesso ma poi mai realizzato. Rowling è progressista, ma è una progressista che si ferma al welfare state che ha conosciuto prima di trovare successo, ma che non concepisce le battaglie di chi pretende nuova giustizia sociale — stipendi minimi garantiti che permettano di vivere con dignità, diritti eguali, nazionalizzazione dei servizi di fronte al fallimento dei meccanismi di competizione. Si è completamente persa il ritorno alle campagne di massa di disobbedienza civile nei paesi dell’Occidente, vede e riconosce l’atrocità di personaggi come Trump, ma non riesce a comprendere come quello che per lei è disgusto per altre persone sia rabbia incontrollabile, scossa da qualcosa che assomiglia molto al senso di sopravvivenza.

L’omosessualità di Silente è un innesto nel canone della serie, un innesto realizzato l’istante in cui Rowling ha realizzato fosse una risorsa spendibile.

Nei testi il personaggio è completamente privo di identità sessuale — e proprio per questo così bene si prestava ad essere manipolato. Di fronte alla possibilità di raccontarlo come aveva detto di “averlo sempre immaginato,” Rowling ha deciso, di nuovo, che la sessualità non fosse un elemento fondamentale del personaggio e arco narrativo di Silente: perché concepisce l’outing dello stregone solo in funzione di se stesso, certamente ne capisce il valore come totem rappresentativo, ma sembra completamente incapace di comprendere perché un gruppo di persone pretenda che la promessa di inclusione, vecchia di dieci anni ma per una serie in corso da 21, lunga sette libri, dieci film e uno spettacolo teatrale, venga finalmente mantenuta.

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Se Rowling tiene alla propria immagine — al proprio brand — di autrice progressista, dovrà fare di piú. Dovrà sforzarsi di provare empatia per chi invece di subire manifesta, per chi pretende profonde riforme inclusive, invece che una spolverata di welfare state, per chi pretende di potersi riconoscere in un’opera che gli è stato detto sia scritta anche per lui.

In attesa di una dimostrazione, ammesso non arrivi troppo tardi, è inevitabile supporre la conclusione opposta: sull’omosessualità di Silente si è insistito per dieci anni come escamotage pubblicitario, non per desiderio di rappresentanza, o per ispirazione creativa. Nel momento di dover portare finalmente questo aspetto del personaggio sullo schermo, esattamente come nello scrivere il settimo libro Rowling ha valutato che la sensibilità di qualche proprio cliente conservatore fosse piú importante della necessità di rappresentazione di una comunità criminalmente isolata.

Per sfortuna di chi ancora segue la saga, e per la sua autrice, c’è una soluzione estremamente semplice al problema: non dedicare un altro minuto del proprio tempo al franchise.


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