Una settimana nei centri d’accoglienza profughi ad Atene e Salonicco: la quotidianità dei volontari, le vite dei migranti, le politiche della poca accoglienza — sono storie di porte chiuse.
intervista di Carlotta Passerini
foto di Hans Leopold HelmPer garantire la sicurezza e l’anonimato degli intervistati, tutti i nomi sono stati cambiati.
terzo giorno
Il Comune di Salonicco in collaborazione con UNHCR ha avviato un nuovo modello di accoglienza per i profughi vulnerabili e per quelli in attesa di ricollocamento.
Il programma prevede la sistemazione in 600 appartamenti e include 60 famiglie disposte a ospitare transitanti e richiedenti asilo.
L’obiettivo è fornire una accoglienza degna ai migranti bloccati a causa della chiusura dei confini. Nei campi profughi le condizioni igieniche sono a dir poco precarie.
Collocare i migranti negli appartamenti significa dar loro dignità e migliori opportunità di integrazione. Il modello di Salonicco si è esteso ad altre città del Nord della Grecia e sarà applicato in futuro nel resto del Paese per la sua funzionalità.
Nur e Tareq sono una coppia di profughi siriani in attesa di ricollocamento. Vivono a Salonicco in un appartamento fornito dal governo greco. Li incontriamo in un bar, nella zona del porto.
Nur ha ventitré anni, mentre Tareq ne ha ventisei – lei viene da Hama, lui da Damasco. Si sono fidanzati in Grecia, dopo essersi conosciuti al campo di Oreokastro.
I due vivono in appartamento assegnato alla famiglia di Nur a causa dell’invalidità che affligge una delle sorelle di lei.
“Non è facile vivere così, è la prima volta nella mia vita in cui non ho lavoro” spiega Tareq. Dopo aver lasciato la Siria tre anni fa si è trasferito in Egitto dove ha lavorato per un anno e mezzo ad Alessandria. Poi ha preso un aereo per la Turchia, prima di salire su un barcone diretto in Grecia.
Ci racconta che arrivato a Salonicco è stato inserito nel campo di Oreokastro, dove le condizioni sono disastrose. “Di fronte al campo c’è una strada molto grande e le macchine passano velocissime” spiega Tareq “settimana scorsa hanno investito e ucciso una mamma e un bambino, senza fermarsi.”
Tareq ci dice che la loro vita è cambiata da quando vivono nell’appartamento. Sono in sette, ma la casa ha un bagno pulito tutto per loro, non devono più usare i bagni chimici del campo, dove l’igiene è più che scarsa. Hanno una stanza con una porta. “Sono arrivato in Grecia a febbraio e ho vissuto nelle tende, solo da un mese siamo in questo appartamento” racconta.
“Siamo stati fortunati anche perché la nostra casa è in centro a Salonicco e possiamo uscire, senza dover prendere autobus” continua Tareq “non abbiamo soldi e fare il biglietto ogni giorno è una spesa che non possiamo permetterci.” Il governo greco solitamente ospita i profughi in appartamenti in zone periferiche e spesso vicino ai confini. Quindi avere casa nella seconda città più grande della Grecia significa molto per loro.
Chiediamo a Tareq se sia stato facile reinserirsi nella società. “Sì, per me è stato facile, ma io non ho mai smesso di uscire dal campo e di conoscere gente.”
Gli domandiamo se per lui sia più facile in quanto proveniente da una grande città come Damasco.
“Forse sì” risponde. “Dovete pensare che in Siria c’erano delle città e per i loro abitanti è più facile integrarsi, ma c’erano anche persone che conducevano una vita rurale e vivevano nelle tende. Per loro la vita nel campo forse è più semplice, ma quella fuori più difficile.”
Tareq torna a parlare della sua vita in Siria, dice di aver studiato letteratura inglese perché voleva diventare interprete. Nur, invece, ha studiato storia e il suo sogno era diventare un’archeologa.
A causa della guerra nessuno dei due ha potuto terminare gli studi, ma entrambi sperano di poterli continuare un volta arrivati a destinazione.
Gli chiediamo dove vogliano andare e ci spiegano che non dipende da loro. “Il sistema di ricollocamento deciderà dove portarci. Speriamo in Irlanda dove si parla inglese.”
Tareq parla benissimo inglese per via dei suoi studi e spera di essere collocato a Londra, ma sa che è difficile, se non impossibile.
Una volta arrivati a destinazione i due ragazzi si sposeranno. In Grecia non hanno potuto farlo perché non hanno documenti: li hanno lasciati in Siria e ovviamente non possono richiederli.
Il fatto di non avere un documento legale che testimoni la loro unione li preoccupa, anche se ora sono seguiti da un avvocato che dovrebbe riuscire a non farli separare.
“Ci siamo fidanzati qui, e se non lo avessimo fatto qui forse non lo avremmo mai fatto” dice Tareq sorridendo, mentre prende la mano di Nur.