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La Camera ha definitivamente affossato la possibilità di varare una legge sul salario minimo in questa legislatura, con una mozione di maggioranza che prevede vaghe iniziative a favore della contrattazione collettiva

L’aula della Camera ha messo una pietra sopra alla possibilità che venga approvata una legge sul salario minimo legale nel corso di questa legislatura, o almeno finché dura questa maggioranza di governo. È stata approvata infatti una mozione, presentata da alcuni deputati di FdI, Lega e Forza Italia, che impegna esplicitamente il governo a non introdurre il salario minimo, ma a tutelare “i diritti dei lavoratori” attraverso diverse iniziative legate alla contrattazione collettiva: estensione dell’efficacia dei contratti collettivi nazionali “più rappresentativi,” contrasto ai cosiddetti “contratti pirata,” riduzione del costo del lavoro e del “cuneo fiscale.” Nell’ultimo paragrafo del testo si propone la riduzione di alcune voci della spesa pubblica per destinarle “al mercato del lavoro,” oltre all’adozione di “politiche attive volte a garantire una più veloce collocazione dei giovani nel mondo del lavoro,” come l’alternanza scuola-lavoro.

Nella premessa, la mozione — pur riconoscendo che il salario minimo legale esiste in 21 stati europei — elenca una serie di ragioni ideologiche di contrarietà all’introduzione di una misura simile: “con la definizione per legge di un salario minimo si metterebbe a rischio il sistema della contrattazione collettiva” — che copre circa l’85% dei lavoratori — e addirittura “l’introduzione di una retribuzione minima potrebbe avere un effetto inflazionistico sul mercato.”

Per questo, “piuttosto che intervenire sui salari si ritiene che la contrattazione collettiva andrebbe implementata puntando a quella di prossimità,” e si ritiene più utile intervenire sul costo del lavoro, tagliando il cuneo fiscale per dare il via “a un circolo che dovrebbe far ripartire l’economia reale, ossia quella direttamente collegata alla produzione e alla distribuzione di beni e servizi, in contrapposizione all’economia finanziaria: meno tasse, più soldi disponibili, più consumi, più produzione, più distribuzione di beni e servizi, più lavoro ed altro.”

Il testo è stato approvato con 163 voti a favore, 121 contrari e 19 astenuti: questi ultimi erano i deputati centristi, che hanno scelto l’astensione forse per dare un segnale politico al governo, date le interlocuzioni avviate da Calenda con Giorgia Meloni in questi giorni in vista dell’approvazione della manovra. Questo nonostante l’appello lanciato da Calenda alle altre opposizioni, solo due settimane fa, per l’introduzione di un salario minimo a 9 euro, e nonostante la proposta di fissare un salario minimo a 9 euro si trovasse, effettivamente, nella mozione presentata ieri dal Terzo Polo, che però è stata respinta dall’aula insieme ai testi del Movimento 5 Stelle, di Alleanza Verdi-Sinistra e del Pd. Il gruppo parlamentare del Pd, con una nota, ha commentato che il voto di ieri “dimostra la distanza della maggioranza di governo a una questione cruciale per la nostra società.”

La direttiva europea sul salario minimo, senza il salario minimo

Il governo può sfruttare le ambiguità della direttiva europea sul salario minimo, approvata definitivamente a fine ottobre e pubblicata il 25 ottobre sulla Gazzetta Ufficiale europea. La norma, infatti, a dispetto del nome, non impone agli stati membri di fissare un salario minimo legale, ma di “promuovere” la contrattazione collettiva rafforzando le parti sociali. Solo gli stati membri in cui è già previsto un salario minimo legale dovranno adottare una serie di criteri per aggiornarli e adeguarli.

Non sorprendentemente, l’affossamento del salario minimo da parte della Camera non ha suscitato reazioni da parte dei sindacati confederali — da sempre tiepidi, quando non direttamente contrari, rispetto all’introduzione di un salario minimo legale. Ora i sindacati attendono il 7 dicembre, data in cui è previsto un incontro con il governo per discutere della manovra — ma arriveranno all’appuntamento già spaccati: Cgil e Uil hanno criticato il ddl di Bilancio e non escludono la possibilità di indire uno sciopero, mentre la Cisl si mostra più cauta.


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