A un mese dal voto, tutti i politici più in vista del paese — tranne Conte — sì sono trovati al meeting di CL a Rimini, con la campagna elettorale ancorata ai temi della destra, nonostante gravi episodi come la condivisione del video di uno stupro sui canali social di Meloni
Nel contesto del Meeting di Rimini organizzato da Cl si è tenuto il primo confronto tra leader politici della campagna elettorale: erano presenti i “frontrunner” Letta e Meloni, insieme a Salvini, Lupi, e Tajani — e c’erano anche Ettore Rosato e Luigi Di Maio. Il grande assente era l’ex presidente del Consiglio Conte, che ha cercato di capitalizzare consenso grazie al mancato invito. Il pubblico ha accolto con particolare calore Giorgia Meloni. Si è parlato della necessità di un tetto al prezzo del gas, su cui in realtà concordano più o meno tutti i partiti, anche se con formule diverse. Si è parlato anche di scuola, e in un momento particolarmente infelice anche per gli standard di Cl, il pubblico è intervenuto con un coro di “no” quando Enrico Letta ha presentato la propria proposta di estendere l’obbligo scolastico.
La Procura di Piacenza ha deciso di sequestrare il video dello stupro che nei giorni scorsi è stato pubblicato da diversi siti internet per poi essere ripreso da Giorgia Meloni sui propri canali social. Il decreto di sequestro riguarda Libero, Stopcensura, Rassegna Italia e Voxnews, ma i profili della leader di Fratelli d’Italia sono inclusi nel fascicolo per diffusione illecita del video. La donna che ha subito la violenza ha dichiarato: “Sono disperata, sono stata riconosciuta per colpa di quelle immagini.” Secondo Giorgia Meloni, però, la vera vittima è Giorgia Meloni: “È partita un’indagine ma temo solo a danno della sottoscritta, come se io fossi stata la fonte della notizia.” Meloni ha anche precisato: “Non ho ragione di scusarmi, se non per avere espresso solidarietà.”
Si è finalmente conclusa la saga delle liste dei partiti, che ha portato, in particolare nel Partito democratico e in Forza Italia, a veri e propri scontri interni. Come era prevedibile, la riduzione del numero dei parlamentari non si è tradotta nel fantomatico “miglioramento qualitativo” dei candidati, ma al contrario ha chiuso ancora di più i partiti nella nomenklatura e nei potentati: i partiti hanno preferito mettere in sicurezza, anche a costo di paracadutaggi spericolati, i volti più noti e — soprattutto — fedeli. Il risultato non è solo una drastica riduzione della presenza della “società civile” nelle liste, ma anche l’apertura dello scontro tra i partiti nazionali e i loro amministratori locali.
L’ultimo evento eclatante di questa fase affaticata della campagna elettorale è stato il caso di Federico Pizzarotti, che ha annunciato che non sarà candidato alle prossime elezioni politiche nel listone di Azione e Italia Viva. Pizzarotti e la sua “lista civica nazionale” avevano sperato di potersi ritagliare un angolino nel Terzo polo, ma l’ex sindaco accusa Calenda e Renzi di aver preferito seguire scelte “conservative,” per “salvare l’attuale dirigenza” dei due partiti.
La lista di Azione e Italia Viva ha un problema con alcuni candidati scelti un po’ troppo frettolosamente: ieri ne sono emersi due, Stefania Modestino D’Angelo e di Guido Garau, entrambi autori di post in cui commentano economia e politica estera con posizioni decisamente poco allineate al Terzo polo. Massimiliano Coccia, che ha scoperto il caso, descrive Modestino come “complottista” e “filo–putiniana.” Garau, invece, se la prendeva contro “l’ordoliberismo,” e il “pensiero unico,” commentando il discorso d’insediamento di Mario Draghi.
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