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Tra poche proposte concrete e un discorso pubblico basato solo sulle critiche agli avversari, il momento del voto si avvicina. Ma sarebbe ora di parlare di cose più concrete, come ridurre le disuguaglianze o nazionalizzare Eni

Fino al 3 settembre la chiusura i flussi del Nord Steam 1 — già ridotti al 20% della capacità — è del tutto interrotta, ufficialmente per un intervento di manutenzione straordinaria. A questo si accompagna la decisione, da parte di Gazprom, di interrompere completamente le forniture destinate alla compagnia energetica francese Engie — che poi ha detto di aver trovato “altre fonti di approvvigionamento” — accusandola di non aver pagato del tutto le consegne di luglio. Secondo la ministra francese della Transizione energetica, Agnès Pannier-Runacher, è “molto chiaro” che la Russia stia usando il gas come “un’arma di guerra” e per questo “dobbiamo prepararci allo scenario peggiore di una completa interruzione delle forniture.” Il Cremlino, invece, continua a sostenere che i malfunzionamenti del gasdotto sono dovuti a “problemi tecnologici” causati dalle sanzioni europee, e nient’altro.

Negli ultimi due giorni la corsa del prezzo del gas si è arrestata, chiudendo lunedì a 254 euro al megawattora sul mercato di Amsterdam. A “calmare” le speculazioni è stato l’annuncio, da parte di von der Leyen, di un prossimo intervento di emergenza, e l’apertura da parte tedesca alla possibilità di stabilire un tetto al prezzo del gas a livello europeo. Non è detto, però, che il peggio sia passato: i prezzi restano comunque molto alti e molto volatili. Anche per questo i diversi paesi europei stanno studiando piani per la riduzione dei consumi e, come extrema ratio, il razionamento del gas: il portavoce del governo francese Olivier Véran, ad esempio, ha detto che i cittadini dovrranno cambiare “un certo numero di abitudini.”

In Italia il tema continua a dominare la campagna elettorale, con tutti i partiti che continuano a rivolgere appelli al governo: Salvini ha esortato ad “aprire il parlamento” per mettere un tetto agli aumenti delle bollette, mentre Letta parla di un intervento “improcrastinabile” e chiede al governo Draghi di intraprendere iniziative “determinate e tempestive.” L’esecutivo però continua a temporeggiare, sia per la mancanza di coperture — bisognerebbe trovare almeno 10 miliardi — sia in attesa dell’incontro europeo del 9 settembre. Intanto, dal mondo produttivo si moltiplicano gli allarmi per le filiere che rischiano di interrompere la produzione a causa dei rincari fuori controllo.

L’Italia è uno dei paesi più colpiti dalla crisi dei prezzi: il governo Draghi starebbe studiando alcune misure per contrastare il caro-bollette, ma secondo il Corriere della Sera “si tratterebbe di mettere in campo aiuti per una ventina di miliardi, ma non si sa come finanziarli.” Il governo ha accolto positivamente la convocazione della riunione straordinaria dei ministri europei dell’energia, aspettandosi di ricevere un’autorizzazione a uno scostamento di bilancio che permetterebbe di stanziare questa somma — possibilmente nel quadro di un intervento europeo di più ampio respiro. Nel frattempo, si fa quel che si può: in attesa che il governo emani anche un piano di razionamento dell’utilizzo del gas, molte aziende — complice il periodo estivo — hanno già iniziato per conto loro a razionare i consumi. Le aziende più esposte ai prezzi altissimi dell’energia sono quelle più “energivore”: l’industria metallurgica, quella del vetro, della carta e della ceramica — ma tutta la manifattura e in generale l’economia sta soffrendo per il caro-bollette. Negli ultimi 3 mesi, secondo Snam, l’industria italiana ha consumato il 16 per cento in meno di gas rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

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in copertina, foto CC BY-SA 4.0 Rocielma

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