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Il governo ha passato settimane a ripetere che un altro lockdown non sarebbe stato possibile, mentre i contagi raddoppiavano ogni sette giorni. Al terzo Dpcm, è stato costretto a cambiare idea

Dopo ore di grande confusione, alle 20:20 di ieri sera Conte ha illustrato, durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi, le nuove misure di contrasto al Covid che entreranno in vigore a partire da venerdì — e non già da oggi, per “dare tempo” di organizzarsi alle regioni e alle attività che dovranno chiudere. Il Presidente del Consiglio ha confermato che l’Italia sarà divisa in tre aree — rossa, arancione e gialla, anziché verde come si era detto in precedenza — e ha finalmente dichiarato quali etichette spettano alle diverse regioni, sulla base di un’ordinanza firmata dal ministero della Salute:

  • Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria saranno incluse nella zona rossa. In queste aree sarà necessaria un’autocertificazione “quando si esce di casa,” anche per gli spostamenti intracomunali. Sarà comunque un lockdown leggermente meno restrittivo di quello di marzo: chiuderanno tutti i negozi considerati “non essenziali,” ma rimarranno aperti, oltre agli alimentari e ai negozi di generi di prima necessità, anche parrucchieri, lavanderie, edicole e librerie. Le scuole saranno in didattica a distanza dopo la prima media, ad eccezione di attività laboratoriali e studenti con bisogni educativi speciali;
  • La zona arancione con livelli di criticità medio-alti include, per il momento, solo Puglia e Sicilia. In queste regioni chiuderanno bar e ristoranti 7 giorni su 7, sono vietati gli spostamenti tra una regione e l’altra e tra un comune e l’altro, ma non sarà necessaria l’autocertificazione per circolare all’interno del proprio comune di residenza.
  • La zona gialla, invece, vedrà provvedimenti validi su tutto il territorio nazionale: il coprifuoco sarà anticipato alle 22, le scuole superiori saranno in didattica a distanza, la capienza dei mezzi pubblici sarà ridotta al 50%.

Il nuovo Dpcm è valido fino al 3 dicembre, ma l’inserimento delle regioni nelle varie aree di rischio sarà riesaminato dopo 15 giorni dall’entrata in vigore. Per cercare di limitare la confusione, il governo ha sintetizzato quello che si può e non si può fare nelle diverse aree in un’infografica riassuntiva:

L’annuncio commosso di Conte arriva al termine di settimane di costante confronto con le regioni, ma anche di tensione intestina al governo, mentre partiti e ministri più o meno vocalmente esprimevano dubbi sulla necessità di introdurre nuove misure anti–contagio. Conte è stato costretto a rimangiarsi in modo spettacolare le proprie parole: il 25 ottobre, due domeniche fa, il presidente del Consiglio diceva a chiare lettere che “non potevamo permetterci un altro lockdown.” La settimana prima Conte era stato ancora più categorico: il lockdown “non voleva sentirlo nominare” — e non solo, non ci si poteva permettere nemmeno “nuove elargizioni a pioggia,” proprio quelle che sono arrivate letteralmente una settimana dopo con il decreto “Ristori,” e che ora si promette di espandere ulteriormente.

Il 25 ottobre, quando ci veniva spiegato che un altro lockdown non era fattibile, venivano confermati 21.273 casi di coronavirus. La settimana prima, quando non ci si poteva permettere nuove elargizioni, le infezioni erano già state sopra le diecimila unità al giorno. Il contagio correva ad un ritmo preciso: di settimana in settimana il numero di casi raddoppiava, un andamento che ha sostenuto fino al rallentamento del contagio della settimana scorsa.

Quando Conte diceva di non voler nemmeno sentir nominare il lockdown a Napoli gli ospedali erano pieni da più di due settimane, e si stava concludendo una settimana durissima per il sistema sanitario sardo. Nella settimana successiva, largamente di inazione — sia da parte del governo che delle regioni — sono morte 795. La settimana successiva i morti erano 1.488. Negli ultimi sette giorni sono morte 1.859 persone. Elencare questi numeri non ha solo una funzione retorica: indica l’effetto materiale dell’attesa della autorità, anche nelle settimane ancora precedenti, quando misure iperlocali potevano fare la differenza, quando ci si poteva ancora sforzare per rinforzare i meccanismi di tracciamento in tutto il paese. Non stiamo ovviamente scrivendo che chiudere il paese due settimane prima avrebbe salvato la vita di queste persone, ovviamente, ma indubbiamente ci saranno nelle prossime settimane persone che perderanno la vita perché sono state esposte in contesti che il governo avrebbe potuto evitare.

In queste settimane i numeri sono ovviamente aumentati — ma durante queste settimane non si è fatto sostanzialmente niente per impedire che succedesse, e si arrivasse a questa situazione. Si è parlato per giorni di lockdown localizzati, senza fare sostanzialmente nulla in proposito. La settimana scorsa Cartabellotta diceva che senza chiusure locali si sarebbe arrivati a 500 morti al giorno.

Esattamente come nel resto d’Europa, il governo italiano sembra essere rimasto intrappolato nella miope contrapposizione tra azioni contro il contagio, ed effetti negativi sull’economia — ignorando gli effetti sull’economia diretti della pandemia, ma soprattutto senza essere pronti ad arrivare alle radicali conclusioni del proprio ragionamento: se non serviva fare il lockdown, non serve farlo nemmeno adesso. Se oggi serve bloccare lo spostamento delle persone, serviva farlo venti giorni fa, e non averlo fatto costerà la vita di molte persone.Al netto della colpevole inazione della politica nazionale e locale, le reazioni delle regioni alle nuove misure confermano che effettivamente, per il partito trasversale di chi non vuole nessun compromesso alla produzione, non sia ancora cambiato niente. Infatti con poche eccezioni, come De Luca, che avrebbe voluto misure più severe per la propria regione, i governatori ritengono che la situazione nel proprio territorio non sia così grave. Fontana, ad esempio, ha reagito piuttosto male: “Comunicare ai lombardi e alla Lombardia, all’ora di cena, che la nostra regione è relegata in fascia rossa senza una motivazione valida e credibile non solo è grave, ma inaccettabile,” ha dichiarato il governatore della regione in vetta alla classifica per numero di contagi. Ieri in Lombardia ci sono stati 7758 nuovi positivi e 96 morti, con l’indice di positività sui tamponi effettuati che viaggia ancora intorno al 17%. Un dato effettivamente in leggero miglioramento rispetto ai giorni scorsi, ma non abbastanza da considerare la regione fuori dalla zona rossa.  Il sindaco di Milano Sala, che fino a due giorni fa diceva che a Milano non ci sarebbe stato un lockdown “neanche lontanamente,” ha poi corretto il tiro dicendo che “la tutela della salute dei cittadini è il primo bene da proteggere,” ma ieri sera ha criticato il governo per le tempistiche e le incertezze del nuovo provvedimento

Essere costretti a chiudere quasi completamente una porzione così grande del territorio nazionale è una sconfitta: nei piani del governo c’era sì l’eventualità di mettere in campo “lockdown mirati” — ma è qualcosa di fondamentalmente diverso dal mettere in lockdown intere regioni come ultima spiaggia per fermare il contagio. In Lombardia, ad esempio, l’intero sistema di tracciamento è saltato da settimane; gli investimenti per la sanità che avrebbero potuto essere messi in campo in questi mesi di relativa calma non sono stati fatti, o si sono rivelati insufficienti. Partendo dalle mancate assunzioni di medici e infermieri, che hanno causato gravissime carenze di personale un po’ in tutta Italia, al potenziamento delle infrastrutture, si sarebbe potuto sfruttare questo tempo, ad esempio, per rimettere in condizione di riaprire molti dei tantissimi ospedali chiusi negli ultimi anni in giro per l’Italia, a causa delle politiche di risparmio e dei favori alla sanità privata messi in atto dalla maggior parte delle regioni. 

È importante sottolineare che, al contrario di quello che potrebbe apparire dai patemi interminabili della destra e di alcune compagini del governo, il problema principale anche di questa azione del governo, è che le misure potrebbero risultare ancora una volta inefficaci. Anche nella zona rossa, infatti, continua a non esserci l’obbligo di smart working, e la definizione di attività commerciali essenziali è stata estesa fino al tragicomico, arrivando a coprire praticamente tutto tranne i negozi di vestiti e i bar. La questione, ovviamente, non è tanto che fosse necessario “chiudere tutto” prima — in primis perché appunto, non è stato chiuso quasi niente, si continua ad andare a lavorare — ma piuttosto in queste settimane erano necessarie misure graduali, localizzate, cercando di contenere il contagio mentre si rafforzavano i nostri strumenti di test e tracciamento. Al contrario l’azione del governo sembra costantemente sia impreparata che in ritardo sull’andamento del contagio, e anche questa volta non sembra essere un’eccezione.

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