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La vittoria schiacciante di Biden prevista dai sondaggi non si è materializzata e, mentre si va alla conta all’ultimo voto, Trump si prepara a contestare il risultato

Lo scenario temuto da molti, che la notte elettorale non portasse un vincitore certo, si è realizzato: mentre scriviamo la corsa sembra un testa a testa perfetto, con Biden leggermente in vantaggio — con 227 grandi elettori contro i 213 finora conquistati da Trump. È già possibile trarre le prime analisi, però: Trump ha conquistato sia Florida che Texas, due stati senza i quali non avrebbe avuto speranze di vincere — la sua vittoria in Florida, per altro, non era per niente scontata. Uno scenario in bilico rimane favorevole per Biden: in molti stati — tra cui Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, che avevano garantito la vittoria di Trump nel 2016 — lo spoglio dei voti postali arriverà per ultimo, e dovrebbe essere pesantemente a favore di Biden. Vittorie sicure e che ci fa piacere riportare: Alexandria Ocasio–Cortez, Ilhan Omar, Rashida Tlaib e Ayanna Pressley hanno vinto le rispettive sfide elettorali. 



In queste ore, confuse, si stanno rincorrendo analisi creative, ma la sostanza dei fatti finora è che Biden resta favorito, anche se dovrà vincere un’elezione all’ultimo voto — e non sarà eletto con la maggioranza schiacciante che molti democratici si aspettavano guardando ai dati sull’affluenza. Alla Casa bianca si sta assistendo al voto con grande tensione — ci sarebbe stato un momento di crisi in particolare quando Fox News ha valutato di assegnare anzitempo l’Arizona a Biden. La macchina del partito repubblicano per cercare di invalidare quanti più voti possibile è già avviata: domani una corte in Pennsylvania terrà la prima udienza per una richiesta del partito per invalidare i voti per posta che inizialmente contenevano errori procedurali

La mancanza di un chiaro vincitore nelle ore successive alla chiusura delle urne ha portato esattamente allo scenario che molti avevano previsto: Trump vuole mettere in discussione il risultato ancora prima che sia arrivato

Biden ha cercato di portarsi avanti, con un brevissimo discorso in cui ha chiesto di avere pazienza e aspettare il risultato finale del voto — anche se non ha nascosto di essere ottimista per le proprie aspettative. Trump ha fatto quello che molti temevano: è andato in diretta, annunciando una vittoria che non c’è stata — almeno non ancora — e riportando numeri parziali. Ha annunciato di aver vinto in stati che non sono ancora certi, e ha concluso il discorso dicendo che “per quanto gli riguarda” ha già vinto le elezioni. La democrazia, secondo Trump, funziona più o meno così: negli stati in cui è indietro con i numeri va bene continuare a contare i voti; dove è in vantaggio, invece, no. Al termine del discorso — molto confuso e lento, ma è anche tarda notte — il presidente ha espresso senza mezzi termini i propri piani: portare il risultato elettorale davanti alla Corte suprema. Il tentativo di Trump di diffondere dati elettorali deformati per dichiararsi vincitore era stato previsto da molti: non è chiaro in questo momento se si tratta semplicemente del modo con cui il presidente vuole uscire di scena, o se davvero ha intenzione di portare le proprie dichiarazioni alle loro pericolose conclusioni — impugnando il conto dei voti postali di fronte alla Corte suprema, ed, eventualmente, attaccando la legge per la linea di successione, uno dei punti deboli più esposti della democrazia statunitense.

Anche con lo spoglio ancora in corso, è possibile trarre due conclusioni: 

Per il Partito democratico si tratta di una sconfitta anche in caso di vittoria: il partito ha deciso di giocarsi tutto con un presidente centrista, che ha fatto campagna raccontando di poter unificare un paese diviso. Questa scommessa non è stata sostenuta solo dal partito: le organizzazioni repubblicane anti–Trump — il Lincoln Project e Republican Voters Against Trump — hanno raccolto durante la campagna elettorale rispettivamente 77 milioni di dollari e non hanno convinto nessuno: anzi, il supporto per il presidente all’interno del partito repubblicano è aumentato rispetto al 2016, dal 90 al 93%. Qualcosa, nella strategia moderata del partito democratico, non ha funzionato nemmeno questa volta.

Questo non è difficile da spiegare: il voto per Trump — di metà del paese — non può essere più ridotto attraverso i luoghi comuni del 2016: non è solo perché Clinton fosse una donna; non è solo un voto di simpatia; non è un voto “antisistema”; non era la ricerca di un candidato meno “radicale.” Gli Stati Uniti vengono da quattro anni di Trump, e l’azione politica iper razzista e conservatrice del presidente, evidentemente, è stata largamente approvata. La deformazione della realtà non potrebbe essere più avanzata — dagli exit poll è emerso un dato profondamente allarmante: secondo il 48% degli intervistati la risposta del governo alla pandemia è stata “buona o ottima.” È difficile anche solo immaginare un modo per raggiungere un elettorato che è ormai così profondamente separato dalla realtà che lo circonda quotidianamente.



Mentre lo spoglio non dà ancora un vincitore, tantissime persone sono scese nelle strade delle metropoli statunitensi per protestare contro il presidente e chiedere che venissero contati tutti i voti. Hanno incontrato la solita repressione di polizia che in questi mesi è diventato normale vedere negli Stati Uniti. A Washington gli arresti sono iniziati molto in fretta, nonostante la protesta fosse largamente pacifica. La stampa riporta di arresti anche a Minneapolis, a Los Angeles, e a Seattle. È inutile sottolineare quanto sia grave assistere a una repressione delle proteste durante lo spoglio di un voto così contestato. 

 

Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.