in copertina e all’interno dell’articolo, tutte le foto Fabio Ranaldi
I lavoratori della campagna pontina, per la maggior parte di etnia sikh, ieri sono scesi in piazza a Latina per manifestare contro lo sfruttamento da parte delle imprese agricole. Solo il mese scorso nella zona si sono verificati due gravi incidenti sul lavoro
Nelle campagne italiane si continua a morire di caporalato: data l’assenza (quando non l’ostilità) della politica, ai braccianti non rimane che lo sciopero, come è successo a Latina ieri, lunedì 28 settembre.
In piazza della Libertà, tra la Prefettura e la fontana centrale che conserva ancora i segni del passato fascista della città, si sono radunati i lavoratori e le lavoratrici indiane della comunità Sikh, impegnati quotidianamente nelle campagne pontine, la lingua di pianura che corre tra litorale e monti che da Roma scende verso la Campania. Per chiedere più sicurezza sul lavoro, salari giusti e rispetto dei contratti, e per mettere fine allo sfruttamento di caporali e datori di lavoro.
Nella prima settimana di settembre in un’azienda agricola della provincia di Latina ha perso la vita il ventiseienne indiano Singh Guarjant, cadendo al suolo dal tetto di una serra che stava lavando, mentre lavorava senza protezioni e tutele. Un caso molto simile era accaduto solo qualche settimana prima, il 22 agosto, quando è rimasto coinvolto il 32enne Amrinder Singh, che ora rischia la paralisi. Dopo questi fatti – solo gli ultimi di una lunga e documentata serie — i braccianti hanno incrociato le braccia, si sono organizzati e hanno nuovamente deciso di scendere in piazza nel capoluogo pontino. La manifestazione che ha visto unite anche le sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil, oltre all’A.N.P.I., Amnesty, Tempi Moderni e l’associazionismo locale. Lo sciopero è uno dei pochi strumenti ancora rimasti per farsi ascoltare: non è la prima volta che i braccianti indiani Sikh manifestano a Latina, era già successo la prima – storica — volta il 18 aprile 2016 e nuovamente nell’ottobre 2019.
Le storie della comunità indiana Sikh nel pontino sono state portate alla luce nell’ultimo decennio da Marco Omizzolo, giornalista e ricercatore Eurispes, oggi attivista e protagonista insieme a numerosi lavoratori, e alle loro famiglie presenti, nella continua battaglia contro i padroni dell’Agro Pontino, terra troppo spesso coinvolta anche in affari mafiosi – mai molto distanti dalla politica. La presenza di caporali ha permesso il perpetuarsi per anni di situazioni di lavoro non retribuito, prepotenze e ferite, abitazioni senza igiene, trasporto senza tutele, abusi sessuali, di tratta internazionale di uomini. Il percorso che ha portato i braccianti delle aziende pontine alla consapevolezza e poi all’organizzazione e alle manifestazioni, oltre ad intraprendere vertenze sindacali contro i propri datori di lavoro, è stato lungo e partecipato.
“Lo sciopero di oggi è in continuità con quello dell’aprile 2016, un passo in avanti nel riconoscimento dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, in questo caso agricoli, dell’Agro Pontino, soprattutto indiani” — ci ha detto Omizzolo. “Dobbiamo intraprendere una battaglia perché sicurezza sui posti di lavoro, legalità, giustizia e libertà vengano garantiti a tutti e a prescindere, non possono essere piazzati sul mercato, non possono speculare su questo i padroni e i padrini della provincia. Dobbiamo fare una battaglia di democrazia, per rafforzarla in questa provincia e in questo paese. Partiamo dagli ultimi, dagli sfruttati perché attraverso la loro determinazione, la loro rabbia e il loro coraggio possiamo davvero ribaltare i rapporti di forza.” Gli fanno eco le parole di Roberto Iovino, segretario della Cgil di Roma e del Lazio, presente in piazza: “Nelle ultime settimane ci sono state vittime sul lavoro, infortuni non denunciati e fenomeni di sfruttamento che continuano nonostante le nostre denunce. Oggi c’è una comunità indiana compatta che ha scioperato e disertato i campi agricoli per chiedere verità e giustizia. In più, è stato molto importante l’impegno del Prefetto che questa mattina ci ha assicurato una task force per la legalità e un coordinamento dei servizi ispettivi. Noi torneremo nelle prossime settimane in questa piazza affinché questi impegni vengano mantenuti.” Harbhajan Singh, rappresentante e vicecapo della comunità Sikh del Lazio, ha voluto invece ringraziare lo sforzo per la partecipazione in piazza, diligentemente distanziata e in mascherina: “Grazie a chi è qui presente, perché i nostri non sono problemi legati solo alla comunità indiana, ma coinvolgono tutta la cittadinanza, anche italiana.”
Mentre si assiste ai tentennamenti e ai rinvii del governo nella modifica dei Decreti Sicurezza, dopo l’insufficiente regolarizzazione dei braccianti migranti tentata tra primavera e estate, i lavoratori stranieri — da anni in Italia e ancora in attesa di permesso di soggiorno — faticano a veder riconosciuti i propri diritti, nonostante la promulgazione nel 2016 dell’importante legge contro il caporalato. I numeri dell’economia sommersa italiana nel settore agricolo rimangono poco incoraggianti, come si evince dal rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI Cgil: il tasso di irregolarità dei rapporti di lavoro nel settore agricolo è del 39%, più di 300 mila lavoratori agricoli sono impiegati per meno di 50 giornate l’anno e la loro paga media è tra i 20 e i 30 euro al giorno per 8-12 ore di lavoro. La paga delle lavoratrici scende ulteriormente, anche del 20% rispetto ai colleghi uomini. Il profitto complessivo delle agromafie, secondo una stima dell’Istituto Eurispes nel solo 2018, è di 24,5 miliardi di euro.
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