Prigioniero dei quattro fondatori, il movimento ha finito per riprodurre la stessa alienazione politica che voleva combattere
Nelle ultime settimane, il movimento delle Sardine si è schierato con enfasi per il NO al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, perché “La democrazia e la rappresentanza non possono essere né svendute né sottomesse alle leggi del mercato e alla logica dell’efficienza”. Eppure, in una videoconferenza del 25 giugno scorso, Mattia Santori affermava che il movimento delle Sardine non poteva permettersi un’organizzazione democratica al suo interno perché non c’erano abbastanza soldi, e quindi le redini del movimento sarebbero saldamente rimaste in mano al gruppo dei fondatori. Noi Sardine qualunque però non dovevamo disperare: avremmo potuto farci strada diventando bravi “influencer” e raccattando like con post “sardinici” sui social. Io e alcuni amici, che avevamo fino a quel momento seguito il percorso del movimento, seppure a distanza, siamo rimasti inorriditi.
Note dissonanti
Da tempo avevamo iniziato a storcere il naso. Avevamo storto il naso di fronte alla debolezza dei punti programmatici enunciati da Santori a Piazza San Giovanni, e ci eravamo imbarazzati di fronte alla foto-ricordo dei fondatori insieme a Benetton e al ridicolo teatrino ad Amici di Maria de Filippi. Avevamo percepito che i tentativi di consultare la base con tristi questionari online per redigere un manifesto erano semplicemente di facciata. Avevamo poi aspramente criticato la proposta di una struttura organizzativa (poi scartata) in cui i fondatori si autonominavano garanti del movimento con un mandato senza scadenza, e in cui tutti i partecipanti delle piazze venivano battezzati, con orrendo gergo militaresco, Sardine “semplici”. Quando abbiamo redatto una proposta di organizzazione alternativa basata su principi di decentramento e autonomia, è stata completamente ignorata. Infine, alcune settimane dopo, Santori ci chiedeva con un post su Facebook di votare tra due grafiche diverse per le magliette del tour che stavano organizzando. Qualunque fossero state le speranze che avevamo nutrito fino a quel momento, si infrangevano definitivamente nel momento in cui i fondatori riducevano lo spazio di azione dei partecipanti all’espressione di una preferenza in un sondaggio online.
Cos’è andato storto?
Era inevitabile a questo punto chiedersi cosa fosse andato storto. Penso che in buona parte le Sardine si siano arenate in partenza, quando hanno riconosciuto nei quattro ragazzi che hanno organizzato la prima manifestazione in Emilia qualcosa di più di catalizzatori fortuiti di energie sociali latenti, e ne hanno fatto le guide politiche del movimento. Di pari passo è andata la pretesa che le Sardine, in seguito alla vittoria elettorale in Emilia Romagna, fossero immediatamente una forza politica impacchettata e pronta per l’uso, senza lasciare tempo e spazio a un processo che, partendo dal basso e in maniera organica, desse forma e direzione all’energia delle piazze. La necessità di identificare figure di riferimento che si facessero portavoce di un messaggio unico e condiviso ha in breve tempo causato conflitti e imposto una distanza tra i fondatori e i partecipanti del movimento (ormai divisi in rappresentanti e rappresentati), ricreando in brevissimo tempo l’alienazione politica a cui le piazze volevano essere un antidoto.
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Autonomia e leadership
Un movimento politico che esiste senza leader è una fantasia: è naturale che figure di riferimento emergano e raccolgano un loro seguito. L’infatuazione di alcuni movimenti del passato con l’assenza totale di leader è ormai incrinata: senza un’analisi costante e attenta delle dinamiche di potere, l’assenza formale di leader si traduce in network di potere occulti con risultati spesso deleteri. Ma abbandonata la favola dell’assenza di leader, dobbiamo assicurarci che le forme di leadership che si sviluppano siano spontanee e autonome, che siano riconosciute ma rimangano temporanee e fluide, in grado di modificarsi a seconda del contesto che cambia. Nel caso delle Sardine, il ruolo di direzione del movimento ai fondatori bolognesi è stato riconosciuto più per una contingenza iniziale che non per una posizione di influenza maturata nel tempo, e si è rapidamente ossificato impedendo alla pluralità di voci presenti nel movimento di emergere. La cristallizzazione di questa gerarchia ha impedito uno sviluppo rizomatico dei network regionali e nazionali formatisi dopo le piazze, sempre intrappolati in un rapporto unilaterale con il vertice, che detta la linea o quantomeno filtra e seleziona le istanze portate avanti dal basso. C’è chi per questa verticizzazione ha additato i media, incapaci di parlare con le folle e disperatamente in cerca di figure di riferimento, ma penso che la responsabilità sia anche di tante Sardine “semplici” che non hanno esitato ad applaudire i leader de facto e non hanno messo in discussione l’emergere di una struttura di potere e il suo consolidarsi.
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Direzione dall’alto o emergenza dal basso?
Il problema delle leadership è poi strettamente legato all’esigenza che una manifestazione di forze eterogenee come le Sardine si configurasse immediatamente come una forza politica unitaria e compatta. Un merito incontestabile che hanno avuto le Sardine è stato quello di far riemergere energie civili assopite: perché non lasciare che queste energie si organizzassero liberamente? Che le persone che si sono ritrovate in piazza, che si sono conosciute, che hanno iniziato o reiniziato a parlare di politica dessero vita a forme nuove e autonome di solidarietà e partecipazione? L’errore imperdonabile è stato quello di cercare di pianificare e indirizzare un’esplosione ibrida e spontanea di partecipazione politica. Centralizzando il potere decisionale e la forza mediatica delle Sardine i fondatori non hanno fatto altro che soffocare le energie che si erano risvegliate.
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Oltre le Sardine
L’incapacità di pensare alle Sardine senza leader tradizionali e la pretesa di poterne orchestrare le energie sociali sono manifestazioni di due fallacie di pensiero estremamente comuni e altrettanto insidiose. In primo luogo, raramente siamo in grado di analizzare i processi sociali senza fare riferimento alla scorciatoia concettuale della figura di comando, e siamo spesso incapaci di vedere nella collettività la vera fonte e il motore dei nostri successi. Dai manager aziendali, ai capi di governo, ai rettori delle università: le organizzazioni umane, se ottengono dei risultati, è sempre e solo per merito di chi sta in cima; senza qualcuno a dirigere le operazioni, come si potrebbe ottenere qualcosa di buono? In secondo luogo, come spiega Carne Ross, ex-diplomatico britannico poi approdato all’anarchismo, i sistemi complessi non sono governabili in maniera top-down, per via della loro dinamicità e imprevedibilità. In questi sistemi, però, anche un singolo agente può, se il sistema è ben predisposto, generare un cambiamento immenso. Questo è stato il caso dei ragazzi di Bologna, che con una piccola iniziativa locale hanno scatenato una reazione esponenziale. La loro pretesa di mettersi alle redini di questo fiume per organizzarne e dirigerne il flusso (anche qualora dettata dalle migliori intenzioni) ha dimostrato però una completa ingenuità su questi fenomeni.
A proposito dei banchi di pesci
Il nuovo sito delle Sardine titola: “facciamo banco”. Volendo per un momento assecondare le ormai trite metafore ittiche che tanto hanno accompagnato il movimento, il banco di pesci è paradigmatico nella ricerca sui comportamenti emergenti, ovvero quelle proprietà macroscopiche di un sistema complesso che emergono dalle interazioni tra comportamenti semplici dei singoli componenti. Lungi dall’essere orchestrata da un pesce-capo, il movimento coordinato di un banco è il formidabile risultato delle interazioni locali tra i singoli pesci, in cui ogni individuo reagisce semplicemente a quelli che gli stanno intorno. Il banco è quindi, per sua natura, l’emblema del decentramento. Ne consegue che, per quanto riguarda le Sardine, la metafora ittica è veramente fuori luogo. Torna a calzare solo quando il banco viene pescato e inscatolato da una leadership accentratrice per essere servito sul piatto della politica parlamentare.
Orizzontalità, decentramento e autonomia
Ma non sarebbe bastata più democrazia a salvare le Sardine: anche una gestione democratica (centralizzata) avrebbe in breve tempo riprodotto gli stessi effetti alienanti della leadership bolognese. In tanti movimenti sociali, da M15 in Spagna a Occupy Wall Street, passando per le proteste bosniache del 2014, ogni volta che gli attivisti hanno concentrato il potere decisionale in assemblee generali, o cercato di creare dalla pluralità di forze un fronte compatto riunito dietro un manifesto o a una lista di richieste da sottoporre ai politici, gli esiti sono stati nefasti. Dobbiamo smettere di vedere le folle che riempiono le nostre piazze come numeri da sfruttare per ottenere un risultato politico sul piano parlamentare, e dobbiamo capire una volta per tutte che senza orizzontalità, decentramento e autonomia, i movimenti sociali non saranno in grado di darci nessun cambiamento radicale.