Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ritirato tutte le denunce per oltraggio alla sua figura, come “gesto di buona volontà.” Erdogan sostiene di esser stato ispirato dal presunto “spirito di unità” che avrebbe animato il Paese in questi giorni, dopo il recente tentativo di una parte dell’esercito di spodestarlo. Solo nell’ultimo anno, più di duemila persone sono state accusate di questo reato e poste sotto processo.
L’articolo 299 del codice penale turco punisce con la reclusione fino a 4 anni chi insulta il Presidente della Repubblica, pena che può aumentare se l’insulto è stato rivolto pubblicamente o su un mezzo di comunicazione. I motivi per cui essere accusati di questo reato in Turchia possono essere i più disparati – ad esempio aver disegnato una caricatura un po’ salace, come nel caso del vignettista di Penguen, Selcuk Erdem, condannato a 14 mesi di carcere per una vignetta satirica sul nuovo e criticatissimo palazzo presidenziale voluto da Erdogan, pena alla fine ridotta a 11 mesi e una multa di più di 5000 dollari.
La buona volontà però sembra fermarsi qui, visto che finora sono stati ritirati i passaporti a 49.211 persone accusate di essere legate in qualche modo a Fethullah Gülen, grande capro espiatorio del presidente turco. Ad oggi, per essere non meglio precisamente vicine a Gülen sono state fermate 18.000 persone. Ieri mattina sono stati portati davanti a un tribunale di Istanbul 21 giornalisti con lo stesso “capo d’accusa”.
Negli ultimi giorni, inoltre, Erdogan ha proseguito con la sua rigidità verso le critiche degli alleati occidentali, a dir poco freddi verso il giro di vite imposto dal Presidente fin dagli attimi successivi al fallimento del golpe. Giovedì ha sparato a zero su Joseph Votel, generale del Comando Centrale dell’esercito statunitense, accusandolo di “stare dalla parte dei golpisti”. Il generale aveva espresso timori che in seguito all’ondata di repressione sugli organi militari, accusati di essere la principale forza golpista, la cooperazione tra i due paesi potrebbe diventare più difficile.