I manifesti, diffusi a partire da oggi, seguono uno schema piuttosto semplice: in tutti compare un sorridente Nicola Zingaretti. Ma al centrosinistra non basta essere un’opposizione rassicurante, serve una comunicazione propositiva.
“Una nuova Europa”. Ecco la sola menzione che si fa del vecchio continente nei manifesti elettorali del Partito democratico per le imminenti europee. Un piccolo grande paradosso, trattandosi delle elezioni in cui gli italiani, come i cittadini degli altri Stati dell’Unione Europea, sono chiamati a scegliere i propri rappresentanti al parlamento europeo.
Non è una sorpresa vista la ben nota incapacità dei partiti italiani, come quelli di altri Paesi dell’Ue, di superare la dimensione nazionale. Si potrebbe dire che siamo abituati a vedere le forze politiche considerare le europee come una competizione di serie b, se non un misuratore della loro popolarità in vista di impegni più importanti. In ogni caso, dal Pd ci sarebbe aspettato un approccio differente almeno questa volta, data la crucialità di queste europee per il futuro dell’Ue, dove la svolta a destra è ormai realtà conclamata in numerosi suoi Stati. Eppure, non è questo ciò che più lascia perplessi nella strategia comunicativa scelta dal Pd.
I manifesti, che compariranno nelle stazioni, metropolitane e strade nelle maggiori città italiane a partire da oggi, seguono uno schema piuttosto semplice: in tutti compare un sorridente Nicola Zingaretti, senza dubbio il volto della campagna, fotografato in mezzo ad una folla di persone. L’intento comunicativo è evidente: rappresentare, anche graficamente, la cesura che il neo-segretario intende portare nel partito. Mostrare un Pd che decide di riaprirsi al dialogo (al suo interno, a partire dalle realtà a sinistra del partito), e all’ascolto (degli italiani, specie di chi alle ultime elezioni ha preferito altri lidi politici), ma anche contrapporre un’immagine positiva, perfino rassicurante, a un governo che ha costruito la propria identità su una nuova forma di strategia della tensione.
Se questo è lo scopo, la campagna riesce nel suo obiettivo. Ma viene da chiedersi: basta questo in una campagna per le Europee? O, piuttosto, il “nuovo Pd” non dovrebbe puntare, più che a rappresentare un mero cambio di prospettiva interna, a convincere più persone possibili a (tornare a) votarlo?
Da questo punto di vista, la campagna appare molto debole. Gli slogan sono tutti costruiti sulla contrapposizione al governo gialloverde, seguendo uno schema identico: speranza vs muri, scuola contro paura, difesa del pianeta contrapposta alla sua distruzione. Sembrano frasi prese direttamente da un recente comizio di Zingaretti.
Anche nei manifesti si nota un’attenzione maggiore al tema del lavoro e degli investimenti, contrapposto alla recessione causata dal governo Movimento Cinque Stelle-Lega, un punto sul quale Zingaretti sta insistendo molto da quando è diventato segretario. Eppure, manca il minimo accenno alle proposte concrete del Pd, sia sul piano europeo, per il quale saranno decisive le elezioni di maggio, sia su quello nazionale.
Insomma, si tratta di una campagna sulla difensiva: una specie di riassunto su poster della recente opposizione zingarettiana al governo gialloverde, e poco più. I vantaggi di tale approccio sono difficili da comprendere. Più che per continuare a recitare lo spartito dell’oppositore, infatti, le elezioni europee rappresentano per il Pd un’occasione per scrollarsi di dosso l’immagine di partito minoritario, di presentarsi sotto una luce nuova, mostrando le sue idee per riprendersi la scena.
Peraltro, pur testimoniando una forte crescita dei partiti euroscettici di destra, i recenti sondaggi sulle europee dicono che la maggioranza pro-Ue formata da popolari e socialisti dovrebbe tenere anche nel nuovo Parlamento. Un altro motivo per cui fare una campagna elettorale da oppositori già in partenza, quando invece probabilmente il Pd farà parte di uno dei partiti della maggioranza, pare insensato.
Al confronto con questa campagna, quella del Pd di Matteo Renzi alle scorse europee era molto più fresca e pungente. In quei manifesti, realizzati con l’aiuto della società di comunicazione Proforma, si attaccava il refrain euroscettico “ce lo chiede l’Europa”, sostituendo all’“Europa matrigna” le voci degli italiani. Una campagna molto “renziana” nello stile, si può dire oggi, ma sicuramente efficace. Renzi, fresco di nomina a presidente del Consiglio, surfando sulle onde del suo picco di popolarità in quelle elezioni conquistò il 40% dei voti. Poi sappiamo com’è andata, ma quelle europee furono sicuramente un enorme successo per il Pd. Anche per questo, poiché il confronto con l’ingombrante ex segretario sarà immediato il 27 maggio, le europee sono una tappa fondamentale per Zingaretti.
È indubbio che il nuovo segretario abbia portato nuova linfa ad un partito ancora sotto shock dopo il tonfo alle ultime elezioni nazionali e orfano della leadership di Renzi. I sondaggi hanno visto recentemente il Pd tornare al livello del M5S, o perfino superarlo di pochissimo. Eppure, le recenti scelte comunicative evidenziano ancora una volta le difficoltà del partito, e del suo segretario, nel passare dalla fase di opposizione a quella propositiva. Si tratta di un passo imprescindibile per riconquistare gli elettori, molto più che l’infinito dibattito sul superamento o meno del renzismo.