Sgomberare risolve gli incendi, ma rende l’integrazione ancora piú difficile. L’esempio opposto di Sos Rosarno.
Un incendio divampato la notte del 15 Febbraio all’interno della Tendopoli ha ricordato all’Italia del “ghetto di San Ferdinando”, nella Piana di Gioia Tauro. A morire carbonizzato è stato il giovane Moussa Ba, 28enne ghanese. Solo qualche mese prima, la tragica scomparsa del 18enne gambiano, Suruwa Jaithe, morto anch’egli bruciato all’interno del proprio alloggio di fortuna allestito sempre nei pressi della baraccopoli, adiacente de facto alla Tendopoli.
Proprio questa mattina sono iniziate le operazioni di sgombero della baraccopoli, con uno spiegamento di circa 600 uomini tra forze dell’ordine, vigili del fuoco e sanitari. Circa 900 persone dovrebbero essere trasferite in altre strutture di accoglienza, ma, come nei casi precedenti, anche stavolta lo sgombero rischia di generare soltanto altra precarietà. Lo sgombero era stato annunciato meno di un mese fa, falsa risposta all’incendio che è costato la vita a Moussa Ba.
Gli abitanti della tendopoli hanno fatto circolare un appello di solidarietà, dove si legge: “Vogliamo far sapere a tutti che non accetteremo di stare in altre tende, controllati notte e giorno, e nemmeno nei centri di accoglienza (campi), lontani da dove lavoriamo e sempre sorvegliati. E non vogliamo finire per strada se non abbiamo un documento. Vogliamo vivere liberi e vogliamo vivere nelle case, a prescindere dall’avere o no un documento. La nostra presenza in questo territorio non è un’emergenza, ma da anni contribuisce all’economia di questo paese.”
A Gennaio dell’anno scorso era stata la 26enne nigeriana Becky Moses a rimanere vittima dell’incendio doloso appiccato all’interno del campo. Poi a Giugno il “caso Sacko”, sindacalista e bracciante 29enne maliano ucciso a colpi di fucile mentre aiutava alcuni compagni di sventura a cogliere vecchie lamiere abbandonate per costruire, proprio all’interno della baraccopoli, un alloggio di fortuna.
Si potrebbe continuare di questo passo a ripercorrere la storia di questo lembo di terra dimenticato narrando i casi di cronaca nera che ne hanno coinvolto la comunità. Storie di sfruttamento, prostituzione e caporalato, emergenza abitativa, ghettizzazione e ‘ndrangheta.
Se, allo stato attuale, il prefetto reggino, Michele Di Bari, sta approntando soluzioni che pongano fine al “modello San Ferdinando,” sul versante della società civile si intravedono possibili soluzioni strutturali al problema. Tra le associazioni attive nel contrasto al caporalato spicca Sos Rosarno, un’associazione di promozione sociale nata all’indomani dei “fatti di Rosarno” del 2010, che videro i braccianti africani mettere in campo una vera a propria protesta, a tratti violenta, per i diritti negati sul lavoro e nella quotidianità di vita. L’obiettivo principale dell’associazione è quello di unire “i deboli con i deboli,” un’inversione di tendenza rispetto a quanto emerso nel Gennaio 2010, che vide Rosarno farsi invece teatro di uno scontro tra disperati. È proprio qui che si inserisce la novità rappresentata da Sos Rosarno che, in concreto, tenta di unire le forze e le energie dei piccoli produttori locali con l’intento di arrivare direttamente al consumatore. Intende cioè commercializzare la produzione agricola (appoggiandosi ai gruppi d’acquisto solidale sparsi per tutta Italia) scavalcando l’intermediazione imposta dalle ‘ndrine anche attraverso il fissaggio prezzi. Il ricavato di vendita, ora equo e non depredato dall’interesse mafioso, permette al piccolo coltivatore di rientrare nei costi e di garantire un giusto salario al lavoratore.
Questo semplice espediente offre la possibilità di salariare coltivatori e raccoglitori con una paga media di 40 euro netti a giornata rispetto ai 25 euro imposti dai caporali.
Riemergendo dal lavoro nero, si innesta un meccanismo di assunzione diretta dei lavoratori che beneficiano quindi della paga sindacale.
Grazie poi al sito internet dell’associazione è stato possibile divulgare quello che viene definito “il prezzo trasparente” che, se rapportato al prezzo di vendita di un prodotto all’interno di un grande centro commerciale, potrebbe essere considerato come una cartina al tornasole di quanto le ‘ndrine incidano sull’economia reale della Piana. È qui che vengono indicati i costi effettivi, divisi per fasi produttive (smistamento , raccolta, spedizione). Questo sistema avrebbe, se implementato su larga scala, le potenzialità di urtare gli interessi delle mafie in un settore per loro centrale. Una realtà sociale siffatta assolve anche ad una funzione pedagogico-educativa non trascurabile. La produzione agricola delle cooperative legate a Sos Rosarno, come “I frutti del sole,” è altresì orientata a logiche di ecosostenibilità e di integrazione sociale. Si concretizza in una cordata di coltivatori di biologico (divieto di utilizzo di prodotti chimici e rispetto dell’ecosistema naturale). Una sensibilità civica che stride e si fa antitesi rispetto alla noncuranza dei clan che disseminano il sottosuolo calabrese di rifiuti tossici, scorie radioattive e inquinano mari e fiumi. Il progetto prevede poi che una fetta del ricavato di vendita venga annualmente riservata per finalità sociali, quali ad esempio il finanziamento di realtà similari nascenti in Italia o all’estero. Gli “orti collettivi” presenti nel progetto dell’associazione costituiscono inoltre un esempio di civiltà e integrazione; basti pensare che su tali terreni riescono a venire impiegati braccianti in modo da garantire che almeno il 50% di questi non abbia cittadinanza italiana. Così si sottrae, di fatto, manodopera appetibile per i caporali e si restituisce dignità ai migranti sfruttati nelle campagne rosarnesi e del circondario. Si favorisce lo svilupparsi di una reciproca presa di coscienza delle condizioni di vita tra africani ed autoctoni che consente di rimodulare i falsi miti, alimentati dall’estrema destra e da settori legati ai clan, che spaziano dal classico “vengono a rubarci il lavoro” al “è per colpa degli immigrati che si sono ridotti i salari.” Viene posto un freno proprio al meccanismo che, nel corso dei citati “fatti di Rosarno,” ha visto contrapporsi due “fazioni” che avrebbero avuto tutto l’interesse a lottare dalla stessa parte, contro la ‘ndrangheta. Ecco quindi la positività di un progetto che, creando lavoro pulito, priva di numerose risorse la criminalità organizzata, sia in termini di pecunia che di capitale sociale. Il primo aspetto risulta evidente da quanto sopradescritto; per quanto riguarda il secondo punto si tenga in considerazione che la creazione di occupazione ha l’effetto di contrastare il fenomeno sociale della “fascinazione mafiosa” che le cosche possono esercitare su uno stuolo di giovani proprio perché precari ed alimentati dalla subcultura ‘ndranghetista che prospetta loro facili guadagni. Restituendo ai giovani una speranza concreta, un lavoro che li sottragga alle blandizie propinate dalle cosche, si costruisce un’alternativa allo status quo che vede le ‘ndrine dominare e si sottraggono fette importanti di consenso sociale e legittimità alla cosche.
Abbiamo raggiunto Giuseppe Pugliese, uno dei soci fondatori di Sos Rosarno, per farci raccontare l’origine e il percorso dell’associazione.
Perché Sos Rosarno?
Sos Rosarno nasce appunto come campagna per sostenere un’agricoltura sana, sostenibile e rispettosa dei diritti dei lavoratori e dei consumatori.
Cosa vi ha spinto a crearla?
Dopo i “fatti di Rosarno”, tutto quello che alcuni di noi avevano fatto fino a quel momento (solidarietà, denuncia, supporto legale e sindacale) si era sgretolato in un attimo. I “fatti di Rosarno” fecero vedere al mondo intero cosa c’è dietro un’arancia che ogni giorno arriva sulle nostre tavole e rappresentarono la più classica delle guerre tra poveri. Da lì la necessità di un’analisi che ci portò alla comprensione della assoluta necessità di incidere sulla questione dal punto di vista economico, partendo dallo sfruttamento dei braccianti e dei piccoli produttori cercando di creare un’alleanza di “deboli con deboli”.
Quali sono i progetti in fieri?
Mutualismo, sia all’interno della rete Fuorimercato sostenendo realtà o gemmazioni del nostro progetto, campagne per il Kurdistan, circa 3 volte all’anno. Attraverso la cooperativa Mani e terra, che è il braccio operativo della campagna Sos Rosarno, facciamo parte del Consorzio Macramè che gestisce un terreno confiscato alla mafia nel quale è attivo il progetto Mestieri Legali ed è in itinere la realizzazione di un Parco della biodiversità. Un ulteriore progetto è quello dell’ “Arancia sospesa”, mutuato dall’usanza del “caffè sospeso” napoletano. La pratica per la quale è tradizione partenopea “lasciare un caffè pagato al bar”. L’idea mutualistica della solidarietà che nel nostro caso di concretizza nella scelta di offrire, a chi più ne necessiti, cassette di arance scontate del 50%. I beneficiari sarebbero individuati tramite i Gas e le associazioni di beneficienza che, tramite noi, acquistano il nostro prodotto.