Si parla spesso di Luca Morisi e della sua “Bestia” come se fossero dotati di poteri magici, ma è davvero così?
Nelle ultime settimane si è parlato spesso di Luca Morisi, il factotum della comunicazione di Matteo Salvini — ora felicemente sul libro paga del Ministero dell’Interno. Circondato da un certo timore reverenziale, nella vulgata Morisi è l’eminenza grigia responsabile dell’ascesa della Lega salviniana, una sorta di consigliere-taumaturgo capace di trasformare magicamente una manciata di selfie in consenso elettorale. Morisi — che può contare su una squadra attentissima alla parità di genere — si occupa “quasi 24×7” della comunicazione del “Capitano” da circa il 2013: sceglie le parole da usare su Twitter e Facebook, studia la giusta combinazione tra contenuti “politici” e privati, decide gli articoli sui crimini degli immigrati da dare in pasto al pubblico del giorno, e così via. A giudicare dai sondaggi, che danno la Lega come primo partito al 30%, sembra che la formula funzioni. Ma è davvero merito della sua “comunicazione”?
La mistica del “guru” della comunicazione è tornata in voga soprattutto dopo la vittoria elettorale di Trump, il cui merito è stato attribuito in ampia parte alle spregiudicate operazioni propagandistiche di Steve Bannon — uno che d’altra parte si è sempre prestato volentieri a descrizioni immaginifiche che lo ritraevano come una specie di stregone oscuro.
Come i guerrieri maori che si tatuavano per spaventare i nemici, anche questi spin doctor della propaganda cross-mediale hanno tutto l’interesse ad alimentare un’aura di invincibilità, per sembrare più temibili di quanto non siano. Di qui l’invenzione di nomi altisonanti come “la Bestia,” descritto a volte come il “sistema informatico personalizzato” — qualsiasi cosa ciò significhi — ideato da Morisi per la comunicazione di Salvini. Non è chiaro se si tratti di un vero e proprio software per l’analisi e la gestione degli account social del ministro dell’Interno, o semplicemente di un nome informale dato all’insieme di strategie messe in atto dal team di Morisi (com’è più probabile). Poco importa: un nome del genere, fatto proprio acriticamente dai giornali e associato al successo apparentemente inarrestabile di Salvini, dà subito l’idea che dietro questo successo ci sia a una creatura infernale, non umana, solo parzialmente controllabile. Crea un “mito,” il che ovviamente fa il gioco di Morisi & co.
Chi vorrebbe (o dovrebbe) opporsi politicamente a Salvini ne ricava un sentimento di auto-assoluzione: Salvini vince grazie a questo poderoso apparato di comunicazione — se noi non ce l’abbiamo, che possiamo farci? Attribuire il successo politico di un avversario a elementi che, tecnicamente, esulano dall’aspetto politico in senso stretto, è un buon modo per consolarsi e de-responsabilizzarsi (non è colpa nostra se perdiamo).
Ma l’astro dei “grandi comunicatori” si nutre in molti casi di profezie auto-avveranti: il solo fatto di ripetere continuamente quanto sono bravi fa sì che diventino automaticamente tali nella percezione comune, a prescindere dal riscontro con la realtà — almeno finché la bolla non scoppia. E prima o poi la bolla scoppia. Qualcuno si ricorda del povero Jim Messina, per esempio?
Senza negare che in questo frangente storico e in questo contesto politico la comunicazione messa in piedi dai Salvini boys sia efficace — ovvero: raggiunge gli scopi immediati che si prefigge — possiamo articolare alcuni punti per suggerire almeno un suo parziale ridimensionamento.
1—L’amplificazione mediatica
Diamo a Cesare quel che è di Cesare: il grosso del lavoro di promozione del ministro dell’Interno-in-campagna-elettorale-permanente non lo fa il team di Luca Morisi, ma l’apparato mediatico-informativo nazionale, con le televisioni al primo posto. È almeno dal 2015 che Salvini occupa militarmente i salotti televisivi, che nel nostro paese contano decisamente più di Twitter (la televisione resta il mezzo di informazione privilegiato per la maggior parte della popolazione: il 68,8% la utilizza quotidianamente, contro il 41% di internet — dati Agcom 2017).
Come se non bastasse la sua presenza fisica, i temi cari alla propaganda salviniana — immigrazione e sicurezza — sono costantemente al centro dell’attenzione mediatica, non solo di trasmissioni come quelle — ora fortunatamente chiuse — di Belpietro e Del Debbio su Mediaset, o di Gianluigi Paragone su La7, ma anche di telegiornali e talk show dall’apparenza “rispettabile.”
Una volta stabilita la cornice di riferimento — il frame, la narrazione complessiva, mai messa in discussione nei suoi presupposti — il carrozzone mediatico fa tutto da solo. Così, come si usa dire, Salvini “detta l’agenda” — non solo a giornali e televisioni, ma anche alle opposizioni, che, invece di contrapporre alla narrazione di estrema destra una diversa interpretazione della società, hanno deciso da tempo di correre sul suo stesso terreno.
Ora che Salvini è una star nazionale si verifica questo circolo vizioso: dato che la “media company” personale del ministro, specialmente su Facebook, muove più audience di un grosso quotidiano, il resto della stampa è costretto ad andargli dietro — in altre parole, Salvini trasforma in “notizia” tutto ciò che tocca. Così si crea una doppia cassa di risonanza, che finisce per amplificare a dismisura casi mediatici montati sul nulla: è successo per esempio all’hashtag #ComplicediSalvini, che settimana scorsa è stato spinto alla ribalta nazionale più dai giornali che da Salvini stesso e i suoi sostenitori.
In casi come questo, è difficile stabilire dove finiscano i meriti di Luca Morisi/Salvini e comincino i demeriti di un ecosistema informativo profondamente inquinato, schiavo delle logiche dello share e delle visualizzazioni di pagina, e di un giornalismo storicamente incline a essere molto morbido con il potere.
2—Il contesto più ampio
L’estrema destra xenofoba sta prendendo piede in tutta Europa (e lasciamo da parte, per comodità, il caso degli Stati Uniti). Sarà mica tutto merito della grandiosa comunicazione del “digital philosopher” — come Morisi si autodefinisce?
Ovviamente no: chiunque se la prenda contro gli immigrati è in grado di raggranellare oggi buone percentuali di consenso elettorale. Se proprio vogliamo, Salvini è partito avvantaggiato perché lo fa da vent’anni.
Per farla breve: c’è un continente impoverito da decenni di politiche economiche neoliberali, incapace di fare i conti con il proprio passato coloniale, che trova nelle masse di lavoratori in fuga dalla povertà (che ha contribuito a creare) un capro espiatorio su cui sfogare la rabbia per la propria miseria relativa. Le destre offrono la stessa vecchia ricetta all’esplosione delle contraddizioni dell’ordine economico-politico che ha permesso alla democrazia liberale di prosperare brevemente. Salvini da questo punto di vista è una pedina intercambiabile: se non ci fosse lui a occupare questo “vuoto di senso,” l’avrebbe occupato qualcun altro.
3—L’inesistenza delle opposizioni
Chiaramente potrebbero occuparlo le sinistre, questo vuoto, se solo fossero in grado di formulare una risposta alternativa alle stesse contraddizioni. Ma dare addosso ai neri come se fossero il problema principale dell’Europa in piena ubriacatura nazionalista è diventato uno sport talmente lucrativo che anche le sinistre un po’ dovunque hanno cominciato a farlo, non solo nella loro variante “liberale” e centrista (il Pd con Minniti in Italia), ma anche nelle frange teoricamente più radicali (il motivo per cui qualsiasi tipo di “sinistra nazionalista” sia una bestialità reazionaria l’ha già spiegato esaurientemente Mauro Vanetti su Giap).
In un contesto politico di questo genere, con le sinistre senza una bussola e i partiti “moderati” che si sgretolano perché incapaci di elaborare le cause del proprio fallimento, verrebbe da fare un’esclamazione idiomatica che inizia con un ringraziamento e finisce con il nome volgare dell’organo riproduttivo maschile: nel vuoto pneumatico qualsiasi oggetto si muove senza attrito.
4—Va bene lo storytelling, ma dentro ci devi mettere qualcosa
Ogni tanto capita di leggere di qualcuno che rimpiange la mancanza di un “Luca Morisi dei liberali” — ancora, come se la comunicazione fosse una specie di sortilegio alchemico capace di trasformare qualsiasi cosa in oro. Non funziona così, ovviamente: a furia di ripetere come un mantra che la politica è storytelling, ci si è dimenticati che lo storytelling senza story non esiste.
Fabrizio Luisi ha scritto di recente su Not una minuziosa analisi narratologica della politica italiana, individuando nella Lega di Salvini l’archetipo narrativo del guerriero. Il guerriero, per definizione, ha bisogno di un nemico da combattere. Ma allora, viene da chiedersi, l’efficacia di un’operazione politica fondata su queste premesse deriva più dalla posa del guerriero o dalla scelta del nemico? Mentre il guerriero è intercambiabile, il nemico non lo è: prendersela con gli stranieri è molto comodo, perché gran parte del lavoro è già stato fatto da decenni di pregiudizi e campagne d’odio, anche senza risalire al retaggio coloniale. Non è la stessa cosa che prendersela con il grande capitale privato, per esempio.
Insomma, non per negare la genialità comunicativa delle foto ai tortelli al cioccolato, dell’emoji del bacino e delle scritte in mezzo caps lock, ma forse si può provare a capovolgere il punto di vista: se Salvini riscuote consensi non è per chissà quali doti affabulatorie, ma perché dà la risposta più semplice e grossolana a problemi complessi di cui vengono sistematicamente occultate le cause.
5—Bonus: l’incredibile rete di siti pro-Berlusconi gestiti da Luca Morisi tra il 2004 e il 2008
Parliamo un po’ del personaggio. Morisi ha un dottorato di ricerca in Filosofia (ricordatevelo, la prossima volta che qualcuno vi dice che il razzismo si combatte con la cultura), ha fatto il consigliere provinciale di Mantova in quota Lega negli anni Novanta, e dal 2009 ha sviluppato software e soluzioni informatiche per alcune ASL della Lombardia con la sua società Sistema Intranet Srl, che tuttora amministra insieme al socio Andrea Paganella. Questi affari sono finiti anche nel mirino del Movimento 5 Stelle lombardo, che nel 2016 ha presentato un’interrogazione alla giunta Maroni per chiedere chiarimenti sull’affidamento alla società di Morisi di un appalto per la creazione del nuovo sito di Asst Franciacorta. Sul blog Lombardia5Stelle è ancora online il post dal titolo eloquente “Come dare lavoro agli amici di Salvini a spese dei lombardi.” Sistema Intranet, d’altra parte, ha un sito davvero invitante e professionale.
Meno conosciuta è invece una fase precedente dell’attività informatica del Nostro. Prima di conoscere Salvini e fare fortuna, Morisi era uno sperticato sostenitore di Berlusconi, e nell’epoca d’oro 2004-2008 — inclusa la breve parentesi del governo Prodi — si dava alla creazione compulsiva di una serie di siti web grotteschi, pensati evidentemente come strumento di promozione politica. Nessuno di questi siti è ancora online, ma fortunatamente l’Internet Archive ci permette di apprezzare alcuni di questi gioielli del vecchio internet italiano. wtremonti.com, per esempio, era interamente dedicato a sostenere l’ex ministro dell’Economia, dipinto come una sorta di eroe, “straordinario timoniere della politica economica italiana in anni difficilissimi.” Funzionava come una sorta di board o forum dove chiunque poteva lasciare un messaggio di sostegno al grande Giulio, contro i “corvacci statalisti” che lo volevano fuori dal governo.
Sullo stesso principio si basava wberlusconi.com, in cui alcuni messaggi pubblicati dagli utenti hanno raggiunto vette tali di surrealismo da lasciare qualche traccia nella blogosfera dell’epoca. Con toni sempre pacati e grafiche sobrie ed eleganti, Morisi — dietro il nome di Pressione Nord Liberale, forse un abbozzo di think tank — mostrava già chiaramente i segni della futura destrezza da “filosofo digitale.”
Un sito per ogni occasione: per mandare a casa l’odiato Prodi c’erano le chiamate alle armi di prodigohome.it e scendoinpiazza.it, mentre italiansforgeorgewbush sosteneva la campagna elettorale dell’alleato conservatore d’Oltreoceano. Per pubblicizzare le proprie creature, Morisi scriveva spesso su blog, newsgroup e pagine di riferimento della destra dell’epoca, con una certa predilezione per Dagospia.
Da TURBOSILVIO al concorso Vinci Salvini effettivamente il passo è breve, ma — che dire — quasi quasi lo preferivamo prima.
in copertina, collage di foto dalla pagina Facebook del ministro dell’Interno
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