in copertina, foto Walner Molteni, su Facebook
Questa mattina il Residence sociale Aldo Dice si è trasferito nella Torre Ligresti, dopo lo sgombero di ieri a Sesto San Giovanni. Abbiamo parlato con chi si occupa della questione abitativa a Milano per capire il carico dell’emergenza.
L’emergenza abitativa è uno dei problemi più pressanti della città di Milano, di cui ci siamo occupati più volte in passato. In città ci sono moltissimi alloggi popolari sfitti, e non si contano gli edifici abbandonati o in decadenza, anche privati. Questo, unito all’alto prezzo degli immobili e degli affitti, ha favorito un alto numero di occupazioni — e conseguentemente, di tensioni legati agli sgomberi da parte delle forze dell’ordine.
Il nuovo governo si era presentato fin da subito con fare bellicoso verso gli occupanti. La nuova circolare del Viminale è pensata per colpire duramente chi occupa un immobile: inviata il 1° settembre a tutti i prefetti d’Italia dal capo di Gabinetto del ministero dell’Interno, Matteo Piantedosi, la circolare si basa su una filosofia che si potrebbe definire “prima sgombera e poi valuta,” dando la priorità allo svuotamento delle case anche se queste sono occupate, ad esempio, da disabili o minori, “rinviando alla fase successiva ogni valutazione in merito alla tutela delle altre istanze.” La circolare sollecita i prefetti, ma non ha il potere di cambiare la legge vigente in materia dal 2017, ovvero il dl 14 che regola gli sgomberi.
Tuttavia a fare eco alla circolare sono arrivati presto i primi sgomberi: a Milano ieri sono stati sfrattati gli inquilini del Residence Sociale ALDO DICE 26 X 1 trasferitosi di recente da via Oglio a Sesto San Giovanni.
Questa mattina, però, il residence sociale si è trasferito nella torre Ligresti, occupando uno degli edifici vuoti più grandi di Milano.
Il collettivo conta 187 persone — che salgono a 200 considerando il collettivo di gestione — per un totale di 62 nuclei, 83 minori e diversi invalidi. Martina, dell’Unione Inquilini, ci ha raccontato stamattina come stanno andando le cose nel nuovo stabile occupato.
“Come promesso, non abbiamo lasciato nessuno senza casa: abbiamo rioccupato la torre Ligresti in via Stephenson, che era uno dei pochi grandi stabili vuoti a Milano. Siamo stati abbastanza chiari rispetto a quelli che sono i nostri obiettivi ovvero la stabilizzazione del progetto di Aldo Dice perché continuare a vagare in questo modo non fa bene al progetto e nemmeno alle famiglie. Noi puntiamo alla stabilizzazione del progetto.” Il collettivo aveva provato l’altro ieri sera a reinstallarsi dentro la ex sede Alitalia, da cui era stato sgombrato nel 2016. Il tentativo però è stato subito bloccato dalle forze dell’ordine, con grande gioia del sindaco di Sesto.
“Ieri mattina,” prosegue Martina, “dopo lo sgombero a Sesto, io e un’altra ragazza siamo andate in Comune per le trattative: loro si sono presi precedentemente un impegno nei confronti di alcuni abitanti di Aldo in situazioni gravi, per ricollocarli. Siamo riusciti a trovare delle soluzioni che stiamo valutando insime al Comune, e che poi le famiglie decideranno se accettare. Il comune sta mantenendo gli impegni presi. Purtroppo non ha potuto dare risposta a tutti quanti, quindi noi abbiamo deciso di occupare: e a prescindere della ricollocazione di queste famiglie è palese che il progetto debba continuare, perché purtroppo in questa città ce n’è bisogno. Gli sgomberi e gli sfratti sono tantissimi. Tanti abitanti di Aldo sono persone che sono state sfrattate.”
ALDO DICE 26 X 1 è un’esperienza di occupazione a scopo abitativo, nata all’inizio del 2014 grazie a Clochard Alla Riscossa Onlus e Comitato Diritto Alla Casa Niguarda, uniti alla sigla sindacale Unione Inquilini Milano. ALDO DICE 26 X 1 svolge la sua attività assistenziale a Milano, in via Oglio, in pieno quartiere Corvetto, dopo che nel 2016 erano stati sgomberati dall’ex Alitalia di Sesto San Giovanni – proprio lo stabile di cui ha ritentato l’occupazione il giorno 3 settembre.
Oltre ad aver accolto molte famiglie a cui il Comune non è riuscito a dare una sistemazione e offrire un rifugio a molti senzatetto di Milano, il Residence Sociale è un posto funzionante, lontano dal racket delle occupazioni abusive e in cerca di un riconoscimento legale, in cerca di bandi e disposto a pagare un affitto. Negli anni, infatti, Aldo Dice è diventato un riferimento non solo per le famiglie in cerca di una casa, ma anche per gli stessi Servizi Sociali, che si sono appoggiati a loro per nuovi inserimenti di nuclei o singole persone a cui non riuscivano a trovare una sistemazione — come racconta in questa intervista Bruno Cattoli dell’Unione inquilini durante un presidio davanti a Palazzo Marino nell’aprile di quest’anno.
Il Comune di Milano stesso, durante l’emergenza gelo di quest’inverno, ha chiesto aiuto ad AD per l’accoglienza di alcuni senza tetto. A dichiararlo è Massimo Pasquini in una lettera aperta mandata al sindaco, quando lo scorso 27 agosto alle ore 15 la società A2A, che eroga l’energia elettrica di proprietà pubblica dei comuni di Milano e di Brescia, ha deciso di tagliare la luce al residence sociale.
Quello di ALDO DICE 26 x 1 è un caso particolare, però: tutta la città di Milano è costellata di situazioni che potrebbero diventare drammatiche nel caso di una stretta del governo. Abbiamo parlato con Gonzalo, che fa parte di ASIA e risiede a San Siro: uno dei quartieri più critici di Milano per quanto riguarda l’emergenza abitativa. Ci siamo fatti raccontare com’è la situazione e cosa potrebbe succedere nelle prossime settimane.
“Bisogna capire se l’intenzione è quella di provare a fare sgomberi di massa,” secondo Gonzalo. “A Milano ci sono 4600 case popolari occupate, se facessero uno sgombero al giorno ci metterebbero anni.” Una situazione di sgomberi di massa a Milano in parte si è già vista nel 2014. “Potrebbero bloccare interi quartieri e farlo, ma tutta la gestione degli sgomberati andrebbe sulle spalle dei servizi sociali del comune. La prospettiva sarebbe una carneficina. Già il comune è in difficoltà, mettendo anche queste persone per strada la gestione potrebbe diventare davvero complicata. 4600 alloggi vuol dire di fatto almeno 10.000 persone, una piccola città.”
L’alternativa è che sia una semplice mossa mediatica da parte di quello che è a tutti gli effetti un governo di destra. “Può essere una sparata, una campagna politica per clamore mediatico, vedremo. Già oggi comunque, periodicamente e da circa tre anni, continuano a fare sgomberi a Milano, una volta ogni settimana o due in ogni quartiere,” secondo Gonzalo. “In genere vengono sgomberate soprattutto situazioni in cui non c’è nessuno in casa o non ci sono minori, vengono scelte con molta cura.”
“Per noi comunque non è una soluzione: nei tavoli col comune avevamo chiesto che venisse fatta una sanatoria sul percorso del 2011, dando un contratto a chi è in stato di necessità attraverso una commissione apposita. Le case occupate sono il prodotto della mancanza di politiche abitative. La soluzione per noi è regolarizzare e dare un contratto a chi è stato di necessità — il comune avrebbe ancora degli introiti in più, tra l’altro. La volontà di fare sgomberi di massa ovviamente creerebbe tensioni sociali molto forti. Noi come quartiere faremmo resistenza, perché non esiste che cinquanta famiglie vengano messe dentro una palestra.”
Un altro quartiere in cui l’emergenza abitativa è palese è Barona, a sud-ovest di Milano. Abbiamo chiesto a Enrico, del Comitato Autonomo Abitanti Barona, di raccontarci la sua esperienza e la situazione della zona.
“Insieme ad alcuni occupanti storici abbiamo iniziato a vederci dal 2014 ed è nato il comitato essenzialmente per gli sgomberi, perché nel 2014 è arrivata dal Comune la linea dura contro gli sgomberi in vista di Expo. Hanno dichiarato che ne avrebbero fatti 200 a settimana e questo ha aiutato a unire gli occupanti abusivi: la situazione si stava aggravando, con le forze dell’ordine quotidianamente presenti in ogni quartiere interessato. Vedere la quantità di polizia che c’era per sgomberare anche una sola famiglia è stato un campanello d’allarme per tutti. Uno in particolare di questi sgomberi che ha riguardato una famiglia con un bambino ci ha fatto dire: questa cosa non deve accadere più.”
“Dal punto di vista della destra questo è un campo di battaglia politico: trovare nell’occupante il capro espiatorio delle mancanze del sistema a Milano o per istigare il razzismo dicendo che le case popolari non ci sono perché le hanno occupate gli stranieri, poi invece gli abusivi di vecchia generazione sono italiani,” secondo Enrico. “Una guerra tra poveri. Noi vogliamo ribaltare questi stereotipi, perché nel lavoro di quartiere che facciamo cerchiamo la coesione tra italiani e stranieri, tra occupanti di vecchia e di nuova generazione, regolari e abusivi senza differenze chiedendo la regolarizzazione degli abusivi affinché possano pagare un affitto regolare e spese condominiali come quelli regolari.”
“Dal 2014, anno in cui è nato il Caab, le cose si sono complicate anche per quanto riguarda la richiesta di residenza da parte degli abusivi. Se prima era possibile, il Piano Casa Renzi–Lupi invece impedisce a chi non ha il contratto di aprire una fornitura di luce e gas: queste sono cose che oggi sono andate a creare sempre più distanza tra l’inquilino regolare e quello abusivo. Prima del 2014 quasi tutti gli inquilini abusivi pagavano la luce e il gas, ora non si può più.”
“Anche il sistema dei dormitori e dell’accoglienza degli stranieri non funziona e lo dimostra il numero di persone che ci sono per strada oggi a Milano,” secondo Enrico. “Sia quantitativamente che qualitativamente le strutture sono insufficienti, soprattutto in inverno. Ad esempio, il dormitorio di viale Ortles: molti di noi vengono da lì e sappiamo che le condizioni sono gravi. Inoltre è un sistema escludente: per esempio se c’è una famiglia che ha bisogno ma pochi posti, vengono accettati mamma e bambino ma l’uomo viene rifiutato, quindi spesso le famiglie per rimanere insieme non cercano di entrare nei dormitori.”
È l’intero sistema a non funzionare: l’emergenza abitativa a Milano dipende da politiche mal funzionante, un intero sistema che non funziona, oggi come ieri, ben prima dell’arrivo della recente, famigerata circolare.