La IRMA Records è un’etichetta discografica di lunga esperienza e di grande repertorio. Nasce nel 1988 a Bologna da Umbi Damiani e Massimo Benini, e arriva quest’anno al 30simo compleanno.
Nel primo periodo, l’etichetta si lega alla scena house, con artisti di successo internazionale. Durante gli anni ’90 inizia la produzione di generi diversi, quali acid jazz, trip hop, bossa e lounge, e la scena di hip hop italiano. Oggi continua l’esplorazione di generi della scena club internazionale, dalla drum’n’bass al breakbeat, dal nu jazz e all’indie pop.
Nel 2004, Taka Sakano apre IRMA Japan a Tokyo, forte della sua esperienza maturata in casa IRMA. Partendo dalla eredità house music, l’etichetta si è successivamente spostata aprendo a sound e produzioni più tipicamente nipponiche.
Ho incontrato Damiani a Bologna e Sakano a Tokyo, in una doppia intervista a distanza tra vinili, cassette e il futuro della musica.
Perché IRMA Records è presente in Giappone e in Italia?
Umbi: IRMA Japan nasce come una succursale della IRMA America. Avevamo infatti un ufficio a New York e uno a Londra: avere degli uffici fisici all’estero era strategico, perché in passato vendevamo circa l’80% dei prodotti sul mercato internazionale. In particolar modo, il Giappone è sempre stato il mercato maggiormente redditizio per volume di vendite nel prodotto fisico. Taka lavorava nella sede di New York, è tornato successivamente in Giappone aprendo IRMA Japan. Inizialmente lavoravamo sugli stessi artisti, ma negli ultimi anni siamo realtà distinte, e IRMA Japan gestisce artisti giapponesi in autonomia. Condividiamo ancora delle collaborazioni, come nel caso della colonna sonora di “Lupin III” composta da Papik (la quarta serie, uscita nel 2015, ambientata a San Marino, ndr).
Taka: Inizialmente collaboravamo di più. Ma quando sono tornato in Giappone, ho capito che dovevo produrre musica più locale, sia come marketing che come genere musicale. Il sound doveva essere diverso, doveva avere un feeling maggiormente giapponese. Come il cibo, anche la musica doveva seguire lo stile giapponese, quindi meno forte nei beat, con più melodia, possiamo dire house music melodica. Il feeling in Italia e in Giappone è simile, ma leggermente diverso, perché quello che mangiamo ci rende diversi, e produciamo musica diversa: la musica è una forma di comunicazione e deve essere prodotta localmente. Per quanto riguarda le collaborazioni, recentemente abbiamo prodotto la colonna sonora per Lupin III in collaborazione con IRMA Italia. Prima abbiamo parlato con il produttore in Giappone, successivamente abbiamo chiesto la musica a Papik e IRMA Italia. Fino a pochi anni fa collaboravamo molto spesso, ma comunque continuiamo a sentirci.
Qual è stato il momento in cui avete deciso di voler aprire un’etichetta discografica?
U: Io e Massimo Benini lavoravamo insieme già da qualche anno. Avevamo un ingrosso di dischi qui in Emilia Romagna, quando ancora si facevano le vendite dirette nei negozi di vinili e cassette, arrivando fino alla riviera adriatica. Importavo anche dischi house, un genere che spingeva molto, e così sono entrato in contatto con tutta la scena dance che stava emergendo in quel momento: i dj mi cercavano perché sapevano che avevo dei pezzi che ancora nessuno suonava in Italia. Ho conosciuto così Kekko Montefiori, Luca Trevisi e Claudio “Mozart” Rispoli, già dj affermati a Bologna e in Romagna. Si è creato un gruppo di persone che seguiva la house music con i quali è stato poi un passaggio naturale creare un’etichetta.
T: Ho iniziato a lavorare nell’ufficio di IRMA New York dopo la laurea, circa 20 anni fa. Al tempo eravamo solo due persone, e cercavamo artisti internazionali da produrre. Ma dopo l’11 settembre il mercato musicale statunitense cambiò radicalmente, i negozi di dischi chiusero uno dopo l’altro; allo stesso tempo il mercato giapponese era in crescita. Così IRMA chiuse l’ufficio di NY e, d’accordo con Massimo e Umberto, decisi di aprire un ufficio a Tokyo. Iniziai IRMA Japan nel 2004 come solo project: lavoravo da casa, cercando artisti giapponesi da produrre e da promuovere tramite IRMA Italia, è stato un inizio molto frenetico. Inizialmente ero preoccupato perché non avevo esperienza nel gestire un business da solo, ma Umberto per la parte artistica, e Massimo per la parte manageriale mi hanno influenzato e supportato molto. Ho avuto la possibilità di usare gratuitamente i diritti sui brani di IRMA Italia e avvalermi del brand. Inoltre, potevo condividere la musica prodotta da IRMA Japan, quindi dividere i diritti, costruire il business insieme, collaborare.
Qual è stato il vostro primo singolo?
U: “First Job” di Kekkotronics & LTJ. Era 11.11.1988, ed è stato anche il giorno in cui siamo andati per la prima volta a New York per promuoverlo. Andavamo nei negozi di dischi a regalarlo e farlo ascoltare, e ogni volta il riscontro era: “Che figata!”. E da lì ci siamo gasati e abbiamo iniziato a fare sul serio, lasciando gradualmente il mondo della distribuzione di dischi e iniziando la produzione. È arrivato quasi subito un successo molto importante: nel 1990 abbiamo prodotto “Found Love” di Double Dee, ed è stato un punto di svolta fondamentale, una hit internazionale. Ma eravamo ancora inesperti, non abbiamo sfruttato al meglio questa occasione, e quindi le cose sono andate bene, ma potevano andare molto meglio.
Qual è la cosa di cui siete più orgogliosi e quella di cui siete pentiti?
U: Quello che ci rende maggiormente orgogliosi è il fatto di avere un nome che la gente rispetta: la IRMA è conosciuta per la produzione di qualità. Il meglio delle cose che abbiamo fatto ha uno stile, un’immagine IRMA che abbiamo sempre mantenuto e ci contraddistingue. Quello che ci dispiace maggiormente sono i dischi che abbiamo sbagliato, gli artisti che ci sono scappati, i dischi valutati in modo errato che poi si sono rivelati dei successi inaspettati. Nel nostro caso, “Found Love” era già stato scartato da altre etichette, perché il brano era cantato dal vivo senza voci campionate, e per quel periodo era una novità. Divenne uno dei primi dischi cantati in inglese da un artista italiano, seguito poi da altri sempre in area dance.
T: Aprire un ufficio a Tokyo e dopo tanti anni continuare è il nostro maggior orgoglio. Come detto, inizialmente ero da solo, e ora abbiamo un ufficio, un negozio, del personale, il business è cresciuto. Rimpianti non direi. Posso dire che quando ho iniziato a lavorare alla IRMA America ero inesperto, non sapevo nulla sul management, su come produrre musica, e nei primi tempi capitava di litigare con gli artisti. Ma adesso le cose sono migliorate, tanto che gli artisti che produciamo sono fra le maggiori novità nel mercato giapponese.
Seguite uno stile particolare?
U: In questo momento siamo poliedrici, passiamo dalla dance, al jazz, all’elettronica, al pop italiano, non potrei identificare un unico stile. All’inizio avevamo una forte impronta legata a sonorità black, jazzate, oppure il drum‘n’bass, il breakbeat, la house, quello che è in fondo il mio gusto. Ci hanno sempre interessato le contaminazioni. Adesso posso dire che si tratta di un feeling più che un genere musicale che ci può definire. Rimaniamo comunque legati ad un certo tipo di suoni, per esempio nel versante hip hop abbiamo uno storico nell’old school, avendo prodotto Colle der Fomento, Ice One, Frankie HI NRG. Murubutu che attualmente lavora con noi, arriva sempre dal quel mondo.
T: Adesso non produciamo solamente musica, ma anche design e merchandising. Il nostro stile lo vedo come un network composto da vari elementi, ma il tutto parte dalla musica. Il nostro spazio è si un negozio di merchandising, ma anche di propaganda musicale, con le nostre t-shirt, i poster, e ovviamente i dischi. Partiamo dalla musica per collaborare con gli artisti, per produrre l’abbigliamento, per promuovere il nostro design (Taka è un interior designer, collabora con diversi brand, ndr).
Come scegliete un artista da produrre? Cercate di seguire sempre il vostro stile?
U: Ci piace un certo genere di musica, e quella è la nostra base di partenza. Per esempio, lavoriamo da anni con Nerio Poggi, un produttore molto prolifico. A nome Papik, è conosciuto per la migliore nu jazz in circolazione. Come The Soultrend Orchestra lavora su sonorità più disco e funky. Abbiamo sicuramente un background che funziona, che come detto è il mondo della house, jazz, deep elettronica, ma siamo attenti anche al mercato. Ultimamente le tendenze sono verso il cantautorato italiano, verso l’indie, la trap, e quando troviamo qualcuno che ci piace lo pubblichiamo. Recentemente abbiamo prodotto i Rumba de Bodas, un misto di funk, soul, ska e folk romagnolo. Dal vivo sono molto energici e coinvolgenti, e arrivano anche a suonare cover dei classici di Casadei! I Montefiori Cocktail stessi provenivano sempre dall’ambiente della balera: il padre (Germano Montefiori) era uno dei personaggi più famosi della riviera romagnola e pur essendo un grande jazzista suonava il liscio.
T: Non produciamo solo house music. Produciamo artisti indipendenti che possono avere un riscontro internazionale: non abbiamo bisogno di produrre j-pop. Parto sicuramente dall’ascolto dei demo e se mi piace qualcosa contatto gli artisti, cerchiamo di avere delle basi in comune per collaborare insieme. Non abbiamo un genere particolare, ma sicuramente deve essere di respiro internazionale.
Nel 2018, avere un intermediario è diventato superfluo, perché gli artisti possono produrre bene in autogestione. Quanto è necessario quindi il lavoro di etichetta?
U: Dipende da che artista si tratta, se è un artista affermato può fare a meno di ogni etichetta, anche di una major. Fondamentalmente un’etichetta ha una doppia funzione. Serve al mercato discografico perché è un filtro, che oggi si sta perdendo. Escono molti dischi che saturano il mercato, e quindi il prodotto di qualità fatica ad emergere. Serve all’artista se un’etichetta ha esperienza, se ha le idee chiare. Se si producono anche dei buoni prodotti, ma non inseriti in un catalogo, non si muovono, non vanno in radio, non si fanno concerti. Attraverso i nostri canali, portiamo ai distributori digitali i prodotti da mettere in evidenza, e gli artisti possono così avere degli ascolti e una rilevanza che difficilmente da soli potrebbero ottenere. Con l’etichetta, l’artista entra immediatamente nel mercato di riferimento.
T: Gli artisti possono produrre da soli, questo è vero. Ma un’etichetta discografica è importante, anche più importante che in passato. Un’etichetta adesso non deve solo occuparsi della musica, ma anche, come nel nostro caso, del fashion, del merchandising. Una label deve conoscere perfettamente tutti gli aspetti e la gestione dei diritti e delle royalties. Un’etichetta deve essere presente a 360 gradi per promuovere l’artista, deve avere la visione di ciò che sarà il futuro, e deve conoscere il mercato. Inoltre, una label deve mostrare la sua originalità: deve essere cool e deve essere anche un brand, così che gli artisti vogliano far parte del brand a loro volta, e possano avere più opportunità per entrare nel mercato.
Cosa significa essere un’etichetta con esperienza, ovvero quale eredità avete maturato e portato avanti in questi 30 anni?
U: Abbiamo un catalogo di 12.000 brani in buona parte ancora utilizzati, generano edizioni musicali, sono richiesti. Questo vuol dire che abbiamo fatto un buon lavoro. Un catalogo nel quale non sono presenti solo grandi successi, ma ci sono anche brani che sono importanti nel loro genere musicale. La nostra eredità è quindi un ampio catalogo di pezzi utilizzabili (diciamo circa 2000-3000), in linea con l’idea che guida la nostra visione: cercare di produrre musica che non sia fatta solo di successi immediati, ma di brani che possano durare negli anni.
Praticamente cosa fa IRMA Records per gli artisti che vuole produrre?
U: Partiamo dal lavoro di base che è la distribuzione digitale e fisica per tutti gli artisti. Nel caso di artisti che hanno potenzialità di vendite internazionali, tramite i nostri sub-editori e i nostri promoter, facciamo in modo che il prodotto sia visibile nei mercati di interesse, come Inghilterra, Usa, Giappone. Artisti con potenzialità radiofoniche vengono promozionati, collaborando con uffici stampa esterni, in alcuni casi con l’artista stesso se ha già una sua promozione. Non facciamo booking, quindi non gestiamo i concerti: ci siamo resi conto che sarebbe stato difficile perché abbiamo troppi generi musicali diversi. È sicuramente un peccato, perché oggi è diventato importante il contesto live, sia come promozione, sia come vendita del prodotto fisico e sia per i diritti editoriali. Il management non l’abbiamo mai fatto. Possiamo però parlare di una condivisione di intenti, creando un buon rapporto con l’artista e cercando di dare delle dritte per avere i risultati migliori. E, cosa non trascurabile, abbiamo a che fare con l’ego degli artisti, diciamo un lavoro sulla parte psicologica del rapporto. L’artista fondamentalmente non crede in te, e quando le cose vanno bene è merito suo, quando le cose vanno male è colpa della discografia!
T: Produciamo il merchandising per gli artisti, come t-shirt, poster e logo. Per quanto riguarda l’abbigliamento, alcuni capi li acquistiamo dagli artisti, ma principalmente li produciamo noi. Per il booking e il management collaboriamo con professionisti esterni all’etichetta, società di PR alle quali ci affidiamo per la gestione e promozione degli eventi. Ci occupiamo direttamente della distribuzione dei prodotti. Per la produzione ci affidiamo ad uno studio esterno: in passato avevamo uno studio nel nostro ex ufficio, ma ora affittiamo lo spazio di volta in volta. Prima producevo direttamente io, ma adesso tutta la strumentazione è a casa mia!
Il vinile ha avuto vendite record negli ultimi anni, anche in Italia. Potrebbe essere solo una tendenza legata al momento, o il segno di un effettivo fenomeno destinato a durare?
U: Non credo ai fenomeni che durano nel tempo. È un trend forte che sicuramente sta crescendo, nel mondo discografico ci siamo rimessi tutti a stampare, si sono riaperte anche fabbriche di vinile chiuse da tempo. Sarei contento se tornasse stabilmente il vinile, anche se nella mia vita ho comprato tanti dischi che non mi piacevano perché non si potevano ascoltare prima dell’acquisto: leggevi le recensioni, ti fidavi, compravi il disco e poi ti faceva cagare, che sfiga! Ricordo che con l’avvento del cd, i negozi buttavano gli scatoloni pieni di vinili, non li volevano perché non avevano più una resa, e io andavo letteralmente a raccoglierli per strada. Negli ultimi anni invece sono tornati, piacciono molto ai ragazzi giovani anche se il prezzo è più elevato dei cd, ma è difficile dire se possa essere un fenomeno duraturo. Secondo me, un sistema che andrà a scomparire sarà il download, mentre lo streaming rimarrà, visto anche come strumento alla lotta contro la pirateria: non ha più senso scaricare i dischi pirata quando li puoi avere sempre disponibili.
T: Credo siamo arrivati al formato finale per la fruizione musicale. Non ci sono altri sviluppi tecnologici per ascoltare la musica: mp3 e wav files sono i “final media”. In questo scenario, stiamo assistendo alla diminuzione dei download a favore dello streaming. E poi abbiamo la fruizione con il supporto fisico. È vero, in questo momento i ragazzi giapponesi acquistano vinili e cassette, ma non credo si tratti solamente di un trend, penso che continuerà nel tempo. Non penso che il vinile riuscirà ad incrementare esponenzialmente le vendite, ma credo rimarrà una presenza costante nel mercato, affiancata alle vendite digitali. È diventato importante per i giovani l’acquisto fisico del prodotto, e non solo vinili e cassette, ma anche il merchandising dell’artista: scelgono accuratamente la musica da ascoltare, seguono gli artisti, lo stile in cui si presentano, come si vestono.
Vendete molte copie in vinile?
U: Attualmente stampiamo poche copie: siamo sulle 500 unità di prodotti particolari come limited edition, un mercato soprattutto per i collezionisti. Gradualmente stiamo iniziando a stampare anche nuovi album, sempre però in numero limitato di copie. La vendita del prodotto fisico, se fosse veramente cospicua, potrebbe realmente dare un contributo importante all’industria discografica. Ma in questo momento è un mercato che non si può sostenere da solo. Il business quindi è un mix di vendite fisiche, vendite digitali, diritti, e quote editoriali.
T: Quando ho iniziato IRMA Japan, vendevo 3000 copie solo in Giappone, come maggiore release. Adesso è davvero difficile, al massimo potrei dire 200 copie, il processo di produzione è molto costoso. Chiediamo sempre all’artista quale formato vuole e lo realizziamo, quindi non vendiamo solo in digitale, stampiamo anche cassette e vinili. Vendiamo principalmente in Giappone. Affianchiamo alle vendite la concessione a IRMA Italia dei diritti, in modo da stampare e distribuire direttamente. Inoltre, concediamo la musica di IRMA Japan per la realizzazione di pubblicità video giapponesi.
C’è qualche nuovo progetto o artista al quale state lavorando e di cui mi puoi parlare?
U: Abbiamo il nuovo album di Papik, il nuovo di Speaker Cenzu. In area dance, stiamo ristampando il nostro storico in vinile, affiancato agli album nuovi con riscontri molto buoni, sia nel digitale che nel prodotto fisico: nel mondo del clubbing il vinile va sempre.
State preparando qualcosa in particolare per festeggiare l’anniversario?
U: Non prevediamo nulla prima dell’estate, sicuramente prima di Natale ci saranno delle raccolte selezionate.
T: Per il ventennale avevamo prodotto una compilation. Per il nuovo compleanno, vorrei collaborare insieme a IRMA Italia per distribuire in Giappone.
Se dovessi spiegare in due parole cos’è IRMA Records, cosa diresti?
U: La mia vita.
T: Creative unit based on music.