Dagli esperimenti di Jan Bastiaans agli studi recenti di Carhart-Harris, l’atteggiamento nei confronti dell’LSD come sostanza terapeutica sta lentamente cambiando. Ne abbiamo parlato con la giornalista Agnese Codignola, che ha appena pubblicato un libro sulla droga psichedelica più famosa di sempre.
L’LSD, sintetizzata la prima volta nel 1938 dal chimico svizzero Albert Hofmann, ha vissuto una storia pluridecennale travagliata, da oggetto di ricerca scientifica a simbolo della controcultura hippie, fino alla messa al bando e al divieto, sancito nel 1971 dall’ONU, di condurre nuove sperimentazioni.
Nonostante lo stigma, molti studiosi e appassionati, da Amanda Feilding a Jan Bastiaans, passando per Federico Fellini, Steve Jobs, Michel Foucault e Carlo Rovelli, hanno continuato a condurre esperimenti e a consumare la dietilammide-25 dell’acido lisergico fino ai nostri giorni in cui, soprattutto grazie alle ricerche di un giovane medico inglese, Robin Carhart-Harris, si può parlare ora di un vero e proprio Rinascimento psichedelico.
Lsd — l’ultimo libro, pubblicato da Utet, della giornalista scientifica Agnese Codignola — racconta la storia dell’acido dalla sua nascita fino alle ricerche più recenti, svelando il potenziale terapeutico di una sostanza che è stata a lungo demonizzata. Abbiamo incontrato l’autrice per farci raccontare passato, presente e futuro dell’LSD.
Da cosa è nato l’interesse per l’LSD? E com’è andata la gestazione del libro?
L’interesse è nato prevalentemente da quello che faccio tutti i giorni: per lavoro seguo le riviste scientifiche internazionali. Attorno al 2015 ho iniziato a veder apparire una serie di studi, fatti secondo i criteri scientifici moderni, sugli allucinogeni, ma soprattutto sull’LSD, che sapevo essere una sostanza assolutamente vietata.
Così ho iniziato a leggere e ho scoperto che l’LSD è in grado di curare una serie di patologie, dalla depressione in poi — patologie per cui la farmacologia “normale” non ha ancora, di fatto, trovato soluzioni. Ci sono numerosi studi che dimostrano che gli antidepressivi in commercio non fanno quasi nulla, funzionano per la metà dei pazienti, magari per qualche mese, e poi non funzionano più. Ci sono malattie molto serie che non hanno una soluzione farmacologica. Quando ho visto che esiste una sostanza che può curarle con una somministrazione che non dà dipendenza e che non ha effetti tossici, mi sono naturalmente incuriosita.
Nel 2016 c’è stata una svolta con la pubblicazione dello studio di Robin Carhart-Harris, in cui per la prima volta sono stati spiegati gli effetti neurologici dell’LSD. Così, da divoratrice di tomi scientifici quale sono, ho iniziato ad approfondire il tema e ho deciso, senza avere ancora un editore, di scriverne.
Ma se la sperimentazione, sin dal 1971, è vietata, come si fa a passare dalla scienza?
Gli scienziati che studiano l’LSD, infatti, fanno molta fatica. Sono dovuti ricorrere a ogni genere di cavillo legale e sopravvivere a un pesante sottofinanziamento.
Sei laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche: questo ha influito, immagino, nel proporre un approccio più scientifico e meno “mistico” (alla Timothy Leary). Come si conciliano questi due aspetti nella narrazione dell’LSD?
Sono due aspetti totalmente diversi. Più che la mia laurea, ha influito il mio lavoro. L’LSD è già stato raccontato in tanti libri seguendo l’approccio “mistico.” Ma se c’è una minima possibilità che queste sostanze arrivino ad essere fruibili, è solo attraverso la scienza. Pensa ad Amanda Feilding: quando ho letto la sua storia inizialmente ho valutato di non parlarne perché temevo che sarebbe passata come una “hippie fuori di testa.” Poi andando avanti ho capito che anche lei ha avuto un suo percorso. Alla fine cosa ha fatto? Non ha creato un’accolita di fricchettoni, ha fondato una fondazione che sostiene l’Imperial College, perché anche lei sa benissimo che l’unico modo per arrivare alla legalizzazione è attraverso la sperimentazione scientifica.
Poi l’aspetto creativo è sicuramente interessante e sono tantissime le persone che hanno assunto LSD in gioventù e oggi sono celebrate mondialmente per il loro lavoro. Ho il massimo rispetto per chi ha deciso di provare l’LSD perché affascinato dall’aspetto mistico. Aspetto mistico che tutti quelli che l’hanno provata dividono in quattro fasi: la prima fase sono le visioni, la seconda è associata ai ricordi, la terza è una sorta di morte e rinascita e l’ultima fase, che molto spesso si verifica in persone che hanno già praticato meditazione o che sono comunque predisposte, è un’esperienza un po’ panteistica, una sorta di senso di appartenenza ad un unicum.
Tu l’hai provata? Se non l’hai provata, saresti curiosa di provarla?
No, non l’ho provata e sì, sarei curiosa di provarla, ma con uno psichiatra, perché se mi parte il bad trip voglio che mi fermino — e soprattutto non la proverei comprandola da uno spacciatore. Sarò un po’ vigliacca, ma temo che anche il più rinomato degli spacciatori possa vendermi delle schifezze.
Tra l’altro le persone che si fanno di LSD non è che continuino a calarsi — già prenderla una volta è una cosa che ti cambia la vita. Anche Carlo Rovelli, che ha letto il libro e lo ha recensito con favore, ha indicato tra le ragioni della propria creatività l’aver fatto uso di LSD da giovane.
Su Rivista Studio scrivono di te: “Si capisce da che parte stia chi scrive […] Questo prendere posizione è sempre buon segno, il falso mito dell’obiettività imparziale appesta il giornalismo scientifico e spesso contraddistingue quello più superficiale.” Ti rivedi in questa descrizione?
Il giornalismo scientifico italiano è veramente superficiale ed è così perché per tantissimo tempo i giornalisti scientifici erano persone che venivano da ambiti totalmente diversi che da quelli scientifici. All’estero questo non esiste: se fai il giornalista scientifico alla BBC devi avere laurea e master in ambito scientifico e solo così puoi accedere alla professione.
L’altro problema è un po’ di paraculaggine: quando ci si trincera dietro l’obiettività dei dati ci si può anche non esprimere. Però è un equilibrio delicato, entro certi limiti la scienza è composta di freddi dati, ma bisogna essere capaci di inquadrare la realtà in tutte le sue forme.
Io con l’LSD sono impazzita, satura di frasi fatte come “ti brucia il cervello,” a cercare dati che confermassero la sua tossicità e non ho trovato nulla. Questo a livello della notizia, dove l’obiettività è la rappresentazione concreta dei fatti. Non ci si può fermare a dei saperi parziali, non per bigottismo o per moda o per interessi economici. Anche l’obiettività, in questo senso, è parziale, bisogna schierarsi. Io sono per andare avanti e sperimentare senza porsi ostacoli.
Quindi quali sono i benefici e i rischi concreti collegati all’assunzione di LSD, allo stato delle conoscenze attuali?
Un rischio è il bad trip, anche se ha percentuali basse. Il bad trip si verifica quando c’è un problema psichiatrico sottostante, come schizofrenia o bipolarismo. Tutti quelli che propongono l’LSD fanno uno screening a monte: chi lo passa non ha mai il bad trip.
L’altro rischio è una sindrome molto sfuggente, quella che aveva Syd Barrett dei Pink Floyd, in cui continuano a presentarsi allucinazioni visive che non sono dei trip, ma degli sfasamenti. Negli studi clinici questa sindrome non si è mai verificata, quindi si pensa che possa dipendere dall’uso di altre droghe associato all’LSD.
Quanto c’è di vero nell’idea che l’LSD sia una “porta di accesso all’enigma della coscienza”?
Su questo mi sono un po’ fermata, perché sarebbe stato un altro campo e il campo della coscienza è amplissimo e complicatissimo. Quello che posso dire è che, secondo molti, la coscienza ha dei livelli ai quali normalmente non si accede, perché altrimenti si avrebbero troppi stimoli.
Abbiamo, però, delle sostanze che ci permetterebbero di capirne di più, e la mia posizione è che, se ci sono alcune sostanze che fanno emergere stadi di coscienza superiori, sono per provare ad usarle. Penso che la scienza debba capire.
Invece, dal punto di vista terapeutico, ho letto della “cancellazione dell’ego superficiale.” Di cosa si tratta?
Più che dell’ego superficiale, si tratta dell’ego precostituito. Tutte le dipendenze hanno un lato fisiologico, con una trasmissione nervosa da una cellula all’altra, che funziona sempre allo stesso modo. L’LSD annulla questo circolo vizioso che associa A (poniamo, “fuma!”) a B (poniamo, “perché ti dà piacere”), azzerandolo: è come se questo passaggio da A a B fosse annullato.
Quindi se c’è un evento traumatico nel tuo passato è come se il collegamento all’evento venisse troncato…
Esatto. Per questo è molto importante nel trattamento dello stress post-traumatico. A me ha colpito molto la storia del medico olandese Jan Bastiaans che ha somministrato l’LSD a sopravvissuti dei lager nazisti, sempre lavorando in sordina — perché aveva paura che gli impedissero si usare l’LSD, e infatti poi glielo hanno impedito.
Nelle sue memorie racconta del paradosso di queste persone, sopravvissute ai campi di sterminio con un trauma talmente grave da essere incurabili, incapaci di tornare alla vita normale. Grazie all’LSD Bastiaans ha risolto molti casi e salvato decine e decine di persone.
Carhart-Harris dice che è come avere la coscienza bambina: rinasci psicologicamente vergine con un modo di organizzare le cose tutto da ristabilire. Naturalmente si presuppone tu assuma l’LSD più o meno da adulto, con l’esperienza che ti permettere di non ripetere gli errori di una volta. Se mi azzerassero la dipendenza, con la mia esperienza di adulta, per esempio, smetterei di fumare. I tassi di successo dei farmaci per guarire dal tabagismo sono bassissimi, attorno al 30%. Con l’LSD siamo attorno all’80%.
L’LSD come farmaco per curare la depressione non rischia di ridurre questa patologia a un problema esclusivamente individuale, occultandone le motivazioni sociali? Non sarebbe più valido, in fondo, usare l’LSD per scopi ricreativi?
Sono assolutamente d’accordo: non voglio che passi il messaggio, come è stato per il Prozac, che esista una pillola della felicità. L’LSD può essere un facilitatore della terapia, però devi fare psicoterapia prima, dopo e durante l’assunzione. Non è che prendi l’LSD, vedi la madonna di Lourdes e sei contento per sempre. In un programma terapeutico, però, può dare grossa mano. Ciò non toglie che l’incidenza della depressione — che è spaventosa: in tutto il mondo, stando all’OMS, ne sono affette 350 milioni di persone — sia un problema da affrontare a livello di società.
Non si può cercare una sostanza che risolva i problemi della tua vita. Negli Stati Uniti è in voga il microdosing di LSD per “andare felici al lavoro,” ma i problemi della tua vita li devi risolvere tu. Se vuoi usare l’LSD per andare al lavoro stai usando un palliativo per non affrontare i problemi che la vita ti porrà comunque.
Nel caso della marijuana legale in Italia, sono molti a sostenere che il commercio dell’erba ad alto tasso di CBD e limitato tasso di THC non faccia altro che allontanare una depenalizzazione vera, perché permette di bollare la questione dell’“erba legale” come risolta. Cosa ne pensi?
Sono abbastanza d’accordo, questa erba light è un po’ una foglia di fico. A livello terapeutico però per la cannabis sono stati dimostrati solo gli effetti antispastici e antinausea. Con numeri significativi non è stato dimostrato nient’altro.
Quanto all’uso ricreativo, nelle società occidentali è visto male per ragioni ipocrite: l’alcol fa malissimo ma non è affatto vietato. Sono a favore dell’uso ricreativo della cannabis — anche se con delle limitazioni — e sono convinta che il proibizionismo non porti a nulla.
Il dibattito sulle droghe leggere in Italia è ancora dominato da teorie come quella della gateway drug. La generazione precedente alla mia spesso è contro la legalizzazione non perché è informata, ma per un generico pregiudizio. Poi immagino che vivere il boom dell’eroina negli anni Settanta e Ottanta abbia avuto una certa influenza.
Quello ci ha segnati, sapessi quanti amici e conoscenti sono morti. Detto questo, ci vogliono certe esperienze nella vita anche per non idealizzarle più tardi. Ci sono molti locali e bar vicino a casa mia che frequento, con persone della mia età che vanno a farsi la pista in bagno. A me sembra penoso a cinquant’anni farsi di cocaina. Probabilmente sono persone che non lo hanno fatto da giovani e non hanno avuto un percorso di crescita verso il superamento di certe esperienze. Nella mia generazione comunque la cocaina l’hanno provata in tanti, l’eroina l’han provata in tanti, gli acidi ancora un po’ giravano, la ketamina girava.
Oggi, però, almeno per quanto riguarda l’LSD, si tratta di rivalutare delle potenzialità, che sono soprattutto terapeutiche. I metodi ci sono, l’evidenza scientifica anche e ormai in molti paesi, anche se non Italia, l’atteggiamento nei confronti di questa sostanza comincia a cambiare. Se ci pensi, Nixon disse che Leary era l’uomo più pericoloso del mondo. Non siamo più in quel clima lì, per fortuna.
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