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Wawoto Kacel prevede corsi di formazione per migliorare le tecniche di realizzazione dei prodotti e vuole fornire alle donne un sostegno psicologico oltre che economico.

Wawoto Kacel è una cooperativa sociale basata a Gulu che dal 1997 permette a sessanta donne in difficoltà di avere un lavoro. Si tratta di donne sieropositive, portatrici di disabilità oppure che sono reduci di guerra, sopravvissute dopo essere state rapite dall’esercito di Joseph Kony.

L’obiettivo della cooperativa è restituire a queste donne la dignità attraverso il lavoro. Le donne con HIV, disabilità o sopravvissute al bush — viene chiamata così la foresta dove l’esercito di Kony le teneva segregate, usandole come schiave sessuali — sono, infatti, spesso stigmatizzate e isolate. Dar loro una possibilità per vivere una vita normale rappresenta il fine ultimo di Wawoto Kacel, termine che in lingua Acholi significa “camminiamo insieme.” E camminare insieme ne costituisce un ennesimo obiettivo.

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La cooperativa è gestita da Giuseppina D’Amico, una ragazza italiana che vive a Gulu ormai da due anni. Giuseppina si dà un gran da fare mentre ci mostra i diversi reparti.

All’interno della cooperativa, infatti, vi sono diverse sezioni, specializzate nella produzione di manufatti, a partire da materie prime. Il magazzino contiene aghi e fili di ogni genere, con con cui le donne confezionano abiti, borse o cuciono tovaglie e tutto ciò che può essere creato con i tessuti. Tessuti che vengono assemblati con grandi e pesanti telai di legno. Sotto a un porticato Grace e Rose tingono i tessuti cuciti dalle loro colleghe e realizzano svariate fantasie piegando le stoffe attraverso diverse tecniche. Sono proprio queste fantasie a rendere unici i pezzi venduti dalla cooperativa.

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Una stanza contiene numerosissime postazioni con vecchie Singer, macchine da cucire a pedali, dove le donne realizzano borse e le divise per le scuole che vengono loro commissionate.

Un’altra sezione è deputata alla creazione di gioielli: per assemblare i pezzi usano carta, fili e perline colorate. Un’ulteriore sezione, invece, lavora le foglie di platano e la carta, producendo cartoline, quadri, porta–fotografie e sottopentole. Le socie lavorano con tenacia e passione, e il lavoro le ripaga, rendendole resilienti. Molte di loro vivono lontano rispetto al posto di lavoro e per arrivare alla cooperativa impiegano anche un’ora a piedi o, le più fortunate, in bicicletta. Una zona del complesso, proprio per questo, è dedicata al posteggio delle biciclette.

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Gli oggetti prodotti dalle socie di Wawoto Kacel sono venduti nel negozio attiguo alle sezioni, ed è possibile ordinare i prodotti anche dall’Italia. Le vendite permettono di dare uno stipendio alle donne, di comprare le stoffe e mantenere la cooperativa in vita. Diverse attività e organizzazioni nel Nord dell’Uganda vendono i prodotti fabbricati dalle socie, o li sponsorizzano utilizzandoli.



Wawoto Kacel, inoltre, prevede corsi di formazione per migliorare le tecniche di realizzazione dei prodotti e vuole fornire alle donne un sostegno psicologico e spirituale, oltre che economico, dando loro uno stipendio fisso, cosa che in Uganda non rappresenta una certezza.

La cooperativa ha deciso di mescolare le donne all’interno delle varie sezioni, per evitare che venissero nuovamente stigmatizzate. Ogni donna così ha imparato a conoscere il punto di vista e la vulnerabilità delle altre, e condividere i propri vissuti emotivi permette loro di stare meglio.

Basta anche solo poco tempo fra le diverse sezioni per capire che Wawoto Kacel è una famiglia per le sue socie, e non soltanto un posto di lavoro.