foto CC-BY Óglaigh na hÉireann
A inizio giugno, la Commissione europea ha presentato una nuova proposta per replicare la logica dell’accordo stipulato tra Unione Europea e Turchia in oltre 16 paesi tra Africa e Medio Oriente. MSF, in segno di protesta, aveva già dichiarato che non avrebbe più accettato fondi dalla Comunità europea.
La proposta — discussa al Consiglio europeo tra le giornate di ieri e oggi — ha incontrato subito la forte opposizione di diverse ONG, che hanno diffuso un documento in cui si dichiarano profondamente contrarie alla direzione che stanno prendendo le politiche europee in materia migratoria:
“Questo nuovo modus operandi rischia di cementare uno spostamento verso una politica estera che serve un unico obiettivo: frenare la migrazione, a spese della credibilità europea per quanto riguarda la difesa dei valori fondamentali e dei diritti umani.”
In base all’intesa raggiunta con la Turchia a marzo, i migranti che percorrono la rotta balcanica fino alla Grecia arrivando illegalmente – ovvero tutti, non esistendo di fatto una via legale per farlo – verranno respinti in Turchia, dove saranno costretti a restare. Raggiunto il tetto fissato a 72.000, per ogni siriano respinto ce ne sarà uno ridistribuito attraverso i canali umanitari tra i Paesi membri dell’Unione. In cambio, il governo di Erdoğan, oltre a ingenti finanziamenti europei, ottiene la possibilità della riapertura dei negoziati per l’entrata nella Comunità europea. Le operazioni saranno seguite dall’UNHCR.
Si legge nel documento: “Nonostante l’accordo sia stato pubblicizzato come esempio riuscito di cooperazione, ha effettivamente lasciato migliaia di persone bloccate in Grecia in condizioni disumane e degradanti.”
Le prime vittime di questa situazione sono naturalmente i bambini: centinaia di minori non accompagnati sono stati infatti trattenuti in centri di detenzione in Grecia, costretti a dormire nelle celle della polizia. L’intesa raggiunta con la Turchia rischia di essere oggi un pericoloso precedente: l’Unione Europea non potrà continuare a chiedere a Paesi terzi di abbattere muri e aprire frontiere, finché non sarà disposta a prendersi carico di una parte consistente di quella che erroneamente continua a chiamare emergenza, e delle sue dirette conseguenze.