Michael Wolff, autore dell’exposé sulla Casa Bianca di Trump che ha riacceso il discorso attorno alla discutibile sanità mentale del presidente degli Stati Uniti, promette in copertina fuoco e furia.
Wolff è il giornalista perfetto per combattere contro Trump. Sempre strillato e raramente ben documentato, combatte contro la macchina ignorante di Trump e dei suoi media alleati ad armi pari: quelle dello scandalismo e della sfrontatezza.
Potreste aver letto delle disavventure di Wolff in precedenza: l’editorialista per USA Today e l’Hollywood Reporter aveva fatto parlare di sé per la tentata e fallita trasformazione della rivista creativa Adweek in una sorta di Mashable d’alto bordo. Il suo profilo di Rupert Murdoch resta una delle biografie piú strane da leggere pubblicate negli ultimi anni, un libro che descrive Murdoch quasi come un artista della truffa — ma che lo fa stimando, quell’artista della truffa. (Merita di essere ricordata anche l’acutissima recensione che ne diede David Carr, giornalista e critico del New York Times mancato ormai quasi tre anni fa, che ci manca sempre)
Insomma, Fire and Fury non è un’inchiesta che nasce sotto gli usuali cliché della retorica giornalistica: non è un grande giornalista inossidabile quello che affronta il presidente degli Stati Uniti, ma un nemico molto più pericoloso: qualcuno disposto a giocare ad armi pari.
Non è chiaro, ad esempio, quante siano effettivamente le fonti di Wolff, in tutto il libro — secondo la portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders si tratterebbe principalmente di Steve Bannon. Ma Wolff sostiene che dietro il libro ci siano 200 interviste e che lo stesso Trump gli avrebbe garantito parte importante dell’accesso alla Casa bianca — che è riuscito ad avere perché quel “genio stabile” del presidente si aspettava che il giornalista gli avrebbe scritto un profilo entusiasta, proprio come aveva fatto per Murdoch.
Come dicevamo, Wolff non è il giornalista che può trovare le prove che facciano partire un processo di impeachment per Donald Trump. No, Wolff ci racconta soprattutto del Trump essere umano, e dei suoi difetti. Di come sia patentemente incapace di guidare una squadra di lavoro, di come non sia in grado di mantenere l’attenzione nemmeno per pochi minuti consecutivi, di come sia innamorato soprattutto delle propria voce.
Una costante in sottofondo all’intera narrativa — Wolff non è certo un campione delle questioni di genere — è la tracotante misoginia che permea ogni aspetto della Casa Bianca e del comportamenti privati di Trump.
Wolff descrive come Trump si circondi di donne — perché le trova più affidabili, soprattutto se belle (!). Ma le costringe alla sola tolleranza: preferisce donne che può ridurre ad assistenti fedeli, mentre vede gli uomini come collaboratori minacciosi. Oltre alla misoginia quotidiana, Trump vanta spesso le proprie avventure sessuali. Il giornalista racconta come secondo il presidente “portarsi a letto la moglie di un amico sia uno dei piaceri della vita.” La propria tecnica preferita? Attaccare bottone con il marito su temi quanto più sconci possibili — “Fai ancora sesso con tua moglie? Non ci credo che non ti fai delle scopate migliori con un’altra donna,” cose così — tenendo la moglie in collegamento telefonico in segreto, per mostrarle che l’uomo di cui si fida è diverso da come lei lo creda.
Trump è ripetutamente descritto come un personaggio televisivo, caricaturale nella vita. Una delle prime spaccature tra il presidente e il suo fidato Bannon? La bocciatura del super aggressivo John Bolton come segretario di stato, rifiutato da Trump perché “non si poteva avere un segretario di stato con quei baffi.”
Bannon è indiscutibilmente il deuteragonista dell’inchiesta, certamente per mano di Bannon stesso, che a prescindere da quanto dica Wolff è certamente una delle fonti principali del lavoro. Dagli episodi raccontati è chiaro che Bannon si ritenesse vero motore ideologico della Casa Bianca. Sue erano le battaglie per lo spostare l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, e sua fu l’idea di attivare il primo muslim ban un venerdì, “così che gli snowflake vadano a far casino fuori dagli aeroporti.”
Il predominio di Bannon sullo staff si spiega facilmente da quanto fosse impreparato il comitato elettorale di Trump alla vittoria. Wolff ricostruisce la storia quasi volendo evidenziare come Trump a tutti gli effetti volesse perdere. Tanto del caos si spiega così: con un presidente sorprendentemente isolato all’interno del gruppo con cui vorrebbe guidare un movimento.
Nel saggio è dato ampio spazio alle fratture interne della squadra di governo e dei rapporti di Trump con i potenti degli Stati Uniti.
Trump secondo Murdoch è “un idiota del cazzo,” proprio quel Murdoch per cui “Trump salterebbe nei cerchi,” secondo l’ex amministratore delegato di Fox News Roger Ailes. Ailes avrebbe continuato: “Stessa cosa per Putin. Se le beve tutte e poi le caga fuori. A volte mi preoccupa un po’ chi gli agiti la catena.”
Secondo un’altra fonte di Wolff, l’ex vicecapa dello staff Katie Walsh, Trump è effettivamente solo “semi-letterato,” e pieno di incertezze e insicurezze.
Che crediate almeno (o meglio, solo) su questo fronte abbia ragione Bannon, e gli incontri tra Russia e Trump jr. siano “sovversivi,“ l’accoglienza al libro di Wolff dice tanto sulla nostra società quanto il testo dice sulla Casa Bianca, nella sua serie di vignette. L’utente Twitter Pixelatedboat, per scherzo, aveva diffuso un finto estratto dal libro in cui si raccontava della passione di Trump per “un canale di gorilla.”
Wow, this extract from Wolff’s book is a shocking insight into Trump’s mind: pic.twitter.com/1ZecclggSa
— pixelatedboat aka “mr tweets” (@pixelatedboat) January 5, 2018
In tantissimi, tantissimi, non sono riusciti a leggere l’ironia del tweet, credendo che sì — perché no — perché non poteva essere possibile? Il gorilla channel, tanto quanto Fire and Fury, ci prepara all’anno appena iniziato, e questa è l’unica cosa sicura, che sarà un anno di fuoco e fiamme.