Non è un grande periodo per l’immagine di IKEA. Dopo decenni in cui il marchio è stato sinonimo di sostenibilità, prezzi accessibili a tutti e passatempo invernale per coppie più o meno giovani, l’azienda svedese sta mostrando un altro volto del suo successo — forse, il proprio vero volto.
In particolare, in Italia, IKEA è stata protagonista di una tristissima vicenda di diritto del lavoro. L’azienda, infatti, ha licenziato Marica Ricutti, una lavoratrice 39enne del punto vendita di Corsico, perché era entrata in contrasto con l’azienda su una questione di turni. Marica, infatti, è single e madre di un bambino disabile, che deve accompagnare ogni martedì mattina a una seduta di terapia. Le sue richieste sono state respinte dall’azienda che, dopo un contenzioso, l’ha lasciata a casa.
La vicenda è esplosa sui media nazionali, fatto che ha contribuito a rovinare l’immagine immacolata di IKEA presso i consumatori italiani. I lavoratori di IKEA hanno organizzato un presidio in suo sostegno il 29 novembre, e il clamore mediatico attorno all’azienda non accenna a diminuire – specie dopo che sono uscite rivelazioni su una presunta evasione fiscale miliardaria da parte di IKEA. Abbiamo parlato con Fulvio Lipari, sindacalista di USB e dipendente dell’IKEA di Carugate da 11 anni, riguardo alla questione.
“Un tempo IKEA non era così con i propri dipendenti,” ci racconta Lipari. “Quando sono entrato io, era ancora la classica azienda scandinava, come da immaginario: maggior attenzione alle esigenze dei lavoratori, quasi socialdemocratica — ad esempio, la paga per le domeniche lavorative era del 70% superiore a quella di un giorno standard, contro il 30% del contratto nazionale.” Le cose però hanno iniziato a deteriorarsi sempre di più con la crisi economica, fino ad arrivare al 2015.
“È stato un lento scivolare, ma forse il punto di non ritorno è stato il rinnovo del contratto integrativo nel 2015,” prosegue Lipari. In quel momento l’IKEA inclusiva e attenta ai propri dipendenti è stata messa in soffitta, lasciando campo libero alla forma aziendale che conosciamo oggi. “IKEA ha deciso di fare la guerra per un nuovo contratto, peggiore di quello precedente. Era l’estate del 2015 ed è stata un estate calda. Alla fine, si è trovata una mediazione a perdere. I vecchi contratti, ad esempio, hanno visto il bonus domenicale ridursi dal 70 al 60%. Mentre i nuovi assunti si devono accontentare del 30 previsto dal contratto nazionale. In questo modo, tra l’altro, si è creata una disuguaglianza tra i lavoratori della stessa azienda.”
La situazione di IKEA, dunque, si inserisce bene nello scenario della crisi economica europea e soprattutto italiana, che ha ridotto ulteriormente il già risicato potere contrattuale dei lavoratori. Le politiche portate avanti dai governi italiani, da ultimo quello di Renzi con il suo Jobs Act, non hanno fatto altro che sancire e premiare il maggior potere delle aziende a scapito dei lavoratori – come spesso accade nei momenti in cui la disoccupazione, in un paese, è elevata.
Il sindacato di Lipari, la USB, non ha aderito come sigla sindacale allo sciopero dei lavoratori della grande distribuzione organizzato dai sindacati confederali il 22 dicembre. “Non abbiamo aderito come sigla perché secondo noi lo sciopero è l’arma estrema di mobilitazione che rappresenta la fine di un percorso di lotta. Invece i sindacati confederali ci sembra non abbiano fatto nulla di reale negli ultimi dodici mesi e questo sciopero sia stato indetto, come l’anno scorso, un po’ per pararsi la faccia.”
Ciononostante, la USB ha lasciato totale libertà di adesione allo sciopero a molti dei suoi iscritti. Molti hanno partecipato al corteo che si è tenuto ieri in centro a Milano, al quale era presente anche Marica, la mamma che IKEA ha licenziato. Secondo Fulvio, è probabile che la vicenda si concluderà con il reintegro di Marica tra i dipendenti. “IKEA sta perdendo molte cause. Nell’ottobre 2016, ad esempio, aveva licenziato un delegato sindacale della sede di Corsico e uno della sede di Carugate. L’azienda ha perso entrambe le cause successive – anche se IKEA farà ricorso. L’obiettivo, ovviamente, è uno: intimidire.”
Il vecchio motto del “colpirne uno per educarne cento,” insomma, non arrugginisce mai.
In effetti il probabile timore di IKEA e delle altre grandi aziende del settore è che i lavoratori riescano a fare causa comune. “E più difficile che i lavoratori di questo settore siano davvero compatti – ad esempio, più dei metalmeccanici, che hanno un’altra tradizione di lotte.” In particolare, un grande centro commerciale come può essere il Carosello di Carugate, che si affaccia sulla stessa gigantesca rotatoria sulla quale si trova l’IKEA, è composto da una miriade di negozi. “Ci sono 2500 lavoratori. Se riuscissimo a essere presenti in ogni negozio dell’area commerciale si potrebbe davvero cominciare ad avere un peso. Immagina di bloccare quella rotonda.”