L’hàkarl è essenzialmente carne di squalo fermentata ed è un piatto tipico della cucina islandese, perché immagino che vivere costantemente in mezzo ai ghiacci provochi nichilismo e pessimo palato.
Oggi vi parlo di questa fantastica pietanza islandese che degli amici mi hanno portato, indovinate un po’, dall’Islanda — non esattamente cibo metropolitano, come recita l’etichetta di questa rubrica, ma ce lo facciamo andare bene lo stesso.
L’hàkarl è essenzialmente carne di squalo fermentata ed è un piatto tipico della cucina islandese, perché immagino che vivere costantemente in mezzo ai ghiacci provochi nichilismo e pessimo palato. Perché proprio putrefatta, vi state chiedendo? A questo risponde la saggia Wikipedia, che compensa la mia ignoranza in biologia:
“La carne fresca dello squalo appena pescato è dura, coriacea e non commestibile in quanto tossica, dal momento che l’animale non possiede un sistema urinario come i mammiferi: l’urea e l’ossido trimetilamminico sono presenti nel sangue degli squali a livelli elevati, per mantenere l’equilibrio elettrolitico dell’organismo degli squali con l’ambiente marino. La carne di squalo può perciò essere consumata solo dopo un lungo processo di trattamento, di cui lo hákarl islandese rappresenta uno dei rari esempi. Lo hákarl trattato ha un forte odore di ammoniaca, non dissimile da quello di molti prodotti per la pulizia domestica.”
Insomma, la lezione importante da imparare in tutto questo è che dovete ricordarvi di andare spesso in bagno o rischiate che qualche popolazione nordica vi chiuda in delle fosse per poi riuscire a mangiarvi senza morire.
RECENSIONE
Quando i miei amici G ed E (di cui non farò i nomi nel caso in cui il governo Islandese decidesse di perseguirmi per questa cosa che sto scrivendo) mi dissero che mi stavano portando dell’hàkarl, pensai “che bello,” anche dopo aver letto di cosa si trattava, perché mi piace provare cose strane e nuove. Mi ero dimenticato però di una frase che mi avevano detto — ma ci arriverò tra un attimo. Era ormai passata una settimana dal loro ritorno da oltre la barriera e finalmente riuscii a incrociarli davanti a questo locale di Porta Venezia.
G arriva con un sacchetto in mano che io apro immediatamente. Fermo immagine. Flashback. Ecco che cosa mi ero dimenticato. Qualche giorno dopo il loro ritorno, G mi aveva detto: “Guarda, dovresti venire a prendertelo perché inizia a fare puzza.” Inizia a fare puzza. Mai nella storia qualcosa è stato così sottovalutato.
Come potete vedere nella foto qui sotto, i due pezzi minuscoli di Hàkarl, grossi quanti un’unghia, erano dentro un contenitore di plastica, dentro un sacchetto di plastica con delle saponette, dentro un altro sacchetto, ma una volta eliminato il primo strato di protezione plastica l’odore mi ha colpito.
E con “mi ha colpito” intendo che è come se mi fosse arrivato letteralmente un cartone in faccia. E non solo a me: nel raggio di un isolato tutti furono colpiti, la gente si girò nella nostra direzione con aria disgustata, dai balconi gli ignari abitanti si affacciarono per capire se fosse esplosa qualche tubatura, un prete che passava da quelle parti si inginocchiò e iniziò a pregare temendo una qualche specie di piaga biblica che comprende pesci morti che cadono dal cielo, tipo quella scena nella prima stagione di Fargo.
Nulla mi aveva preparato a questo, nulla poteva prepararmi a questo. Col mio tipico fare drammatico mi allontanai, un po’ per non lasciare soffrire gli altri, un po’ per non essere linciato, e in disparte lo assaggiai, avendo cura di non toccarlo con le mani perché in fondo non volevo rimanere con l’odore di pesce putrefatto addosso per tutta la sera.
Beh, detto questo passiamo al sapore: non è male. Non so se avete mai mangiato le aringhe affumicate dell’Ikea ma il sapore è essenzialmente lo stesso, forse un po’ forte. Certo non vale la pena rischiare di essere accusati di atti terroristici per poter mangiare una cosa decente. Mi spiace, cari islandesi, mi avete dato delle cose belle tipo Björk e i vulcani, ma a questo giro devo bocciarvi. Ma lo faccio perché vi amo e un giorno mi ringrazierete quando vi sarete fatti un esame di coscienza.