Coloro che sono nati in Irlanda del Nord o gli inglesi con almeno un genitore irlandese – in alcuni casi, è sufficiente che uno dei nonni lo sia – hanno automaticamente diritto a richiedere la cittadinanza irlandese.
A partire da gennaio 2017, le richieste inoltrate da parte di residenti in UK per ottenere il passaporto irlandese hanno visto un aumento netto di più del 70%.
Naturalmente il motivo è chiaro: si avvicina il momento effettivo in cui il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea, portandosi dietro anche la tanto discussa Irlanda del Nord.
Come nel resto del Regno Unito, a guadagnarsi la più larga fetta di polemica nelle sei contee del nord è ormai il voto sulla Brexit, il suo esito, le sue conseguenze.
Storicamente, laddove i politici britannici discutevano d’economia, di imposte e servizi pubblici, il dibattito politico in Irlanda del Nord è sempre stato spostato su tutt’altro asse, incentrato sul passato travagliato del Paese e sui conflitti persistenti, all’ombra della paura che quelle bombe tornassero a scoppiare.
Questo non accade nel 2017.
Come Stato libero, l’Irlanda si è sempre detta contro l’annessione delle sei contee del nord al Regno Unito. Le ostilità conseguenti l’annessione — unite alle tensioni tra unionisti e nazionalisti, protestanti e cattolici — hanno portato poi, in Irlanda del Nord, a 30 anni di vera e propria guerra civile, una violenza settaria in cui più di 3.000 persone hanno perso la vita.
In un Paese quantomai diviso al suo interno, la preoccupazione maggiore rimane ciò che potrebbe accadere lungo il confine con la Repubblica d’Irlanda in seguito all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea: le differenze religiose, culturali e sociali continuano silenziose ad alimentare i focolai degli stessi scontri intestini che hanno alimentato i disordini della storia più recente del Paese, e un’ulteriore divisione rischia di esacerbare una situazione di tensione che, nonostante gli accordi di pace sulla carta di fine anni Novanta, rimane per molti aspetti irrisolta.
Risulta evidente che i 60 milioni di votanti che nel 2016 in Gran Bretagna hanno deciso se restare o meno nell’Unione non hanno davvero preso in considerazione il destino dei 6 milioni di persone che vivono nell’Irlanda del Nord e nella Repubblica d’Irlanda, per i quali le conseguenze della Brexit saranno più drammatiche e immediate che per Londra.
Quando l’uscita dall’Ue diverrà effettiva a fine di marzo 2019, Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord si troveranno su due lati opposti di un muro ancora più alto: regole diverse saranno applicate da entrambi i lati del confine sulla libera circolazione delle persone e sul costo dei beni, per via delle differenti regolamentazioni sul commercio.
Un recente studio del governo irlandese ha rilevato che ad oggi esistono circa 200 border crossing points, e circa 177.000 camion, 208.000 furgoni e quasi 2 milioni di persone fanno la spola ogni mese tra l’Irlanda e l’Irlanda del Nord. Nonostante ciò, la questione più spinosa resta il dubbio su cosa significherà l’inasprirsi di una frontiera ancora difficile e delicata da gestire, per ovvie ragioni storiche, e la paura che l’aumento dei checkpoint impedisca di fatto il libero movimento di beni e persone provenienti da Paesi europei verso l’Irlanda del Nord. Provvedimenti simili, immaginati nelle loro estreme conseguenze, porterebbero l’economia ad una condizione stagnante, di stallo, finendo di fatto per isolare il Paese.
Ma oltre a ciò, la questione Brexit pone sul piatto della discussione un’altra tematica sempre calda: sarà indetto un referendum in Irlanda del Nord, come avvenne (e forse avverrà di nuovo) in Scozia, per permettere ai cittadini di decidere se restare nell’Unione Europea, e quindi lasciare il Regno Unito, oppure seguire la Corona?
Nel referendum del 2016, l’Irlanda del Nord ha votato remain, con una maggioranza del 56%. D’altro canto, tutti – anche il repubblicano Sinn Féinn – sanno che è sciocco parlare di un’Irlanda unita senza parlare prima di un’Irlanda del Nord unita: le principali città, Derry e Belfast, risultano ancora divise dai cosiddetti peace walls, muri di separazione che raggiungono gli 8 metri d’altezza. La maggior parte furono costruiti da minoranze cattoliche per difendersi dalle violenze di parte protestante ai tempi dei Troubles e degli attacchi dell’IRA. Furono poi rinforzati e ampliati.
Ancora oggi si registrano disordini lungo queste barriere cittadine, i cui cancelli, costantemente sorvegliati dalla polizia, vengono chiusi ogni notte.
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